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MATTEO LUNELLI: FERRARI, TRADIZIONE, INNOVAZIONE ED ECCELLENZA NEL BICCHIERE

Chi ha detto che le bollicine sono francesi e che si brinda solo a champagne? Identità soprattutto: un italico spumante Ferrari. Che è presente, istituzionalmente, nei brindisi del Quirinale e delle ambasciate italiane nel mondo, ma anche nella notte degli Oscar, nei Mondiali di calcio del 2006 e del 1982, nei cin cin dell’impero austro-ungarico di cui faceva parte Trento, dove il Ferrari è nato nel 1902. E di questa casa ultrasecolare, insieme ai cugini Marcello e Camilla, oggi è alla guida Matteo Lunelli, 35 anni, con il ruolo di amministratore delegato della Lunelli spa, la holding alla quale fanno capo le Cantine Ferrari di cui è vicepresidente.

Domanda. Ha sempre lavorato nell’azienda di famiglia?
Risposta. Dopo l’università Bocconi, mi sono specializzato a Londra e, rispondendo a un’offerta, sono entrato nella banca d’affari Goldman Sachs, lavorando prima a Zurigo poi a Londra e, infine, a New York. Lo stesso consiglierò anche ai miei figli: se si vuole entrare nell’azienda di famiglia, è opportuno e doveroso compiere un’esperienza formativa al di fuori, che permette di rientrare in patria con migliore consapevolezza e metodo di lavoro. All’inizio non avevo neanche la certezza che sarei tornato; poi 6 anni fa mio zio Gino Lunelli, presidente delle Cantine Ferrari, mi offrì l’opportunità di cominciare a lavorare nell’azienda di famiglia. Colsi l’occasione al volo, rientrai a Trento ed eccomi qua.

D. In un Gruppo che porta il suo nome e in cui le sono state assegnate crescenti responsabilità, quanto conta la presenza sua e dei suoi cugini rispetto all’apporto di collaboratori esterni?
R. Io, con i miei cugini, rappresento la terza generazione dei Lunelli. Noi crediamo fermamente nel ruolo della famiglia come garante della nostra cultura, dei valori del nostro marchio e di un certo modo di vedere l’impresa, ma siamo convinti che sia necessario e positivo che un’azienda attragga e mantenga anche collaboratori esterni, professionisti e manager di talento cui affidare responsabilità e deleghe operative. Siamo, dunque, orgogliosi di essere un’azienda familiare, ma questo non impedisce di dare spazio a manager con altre esperienze. Ritengo che questo sia l’unico modo per poter attuare ambiziosi progetti di crescita e di sviluppo.

D. Quali sono gli obiettivi della terza generazione Lunelli?
R. Continuare sulla strada tracciata dalla prima e dalla seconda generazione e puntare alla costituzione di una grande holding che rappresenti l’eccellenza del bere. Siamo già un bel Gruppo che coinvolge, oltre al Ferrari, l’acqua minerale Surgiva, una distilleria che ha il nome glorioso di Segnana e vini fermi creati nel Trentino che portano il nostro nome Lunelli, in Umbria nella tenuta di Castelbuono e in Toscana in quella di Casale Podernovo. Tutte le nostre creazioni hanno un’unica filosofia che si rivela nell’eccellenza, nella tradizione e in un forte legame con il territorio.

D. Non solo bollicine ma anche acqua, grappa, vini rossi. In che modo rinnovate pur restando nella tradizione?
R. Tenendo saldi i nostri valori. Il Ferrari, innanzitutto, è solo Trento Doc, fatto in Trentino con uve della nostra provincia e con il Metodo Classico. Dirò di più: tutte le uve chiamate a diventare bollicine Ferrari vengono o dai vigneti di proprietà o da nostri conferenti, sotto uno stretto controllo dei nostri agronomi. La Surgiva è un’acqua minerale dedicata esclusivamente alla ristorazione, che proponiamo soltanto in bottiglie di vetro. È una scelta radicale, perché crediamo che il vetro sia un materiale più coerente con la destinazione che vogliamo dare alla nostra acqua, la ristorazione ad alto livello, e anche il contenitore più idoneo a mantenere inalterate le caratteristiche di qualità di un’acqua leggerissima, minimamente mineralizzata e purissima, che viene da un ambiente incontaminato, come il parco naturale Adamello Brenta. Così è stato sin da quando l’abbiamo acquisita nel 1988, e da allora rispettiamo in maniera molto rigida questa strategia. La Segnana, invece, è la più antica distilleria trentina: l’abbiamo acquistata nel 1982 e di recente l’abbiamo rilanciata, dopo un lungo lavoro di ricerca, ampliando la gamma dei distillati e rivedendo completamente il packaging, con l’obiettivo di farne il più italiano dei distillati, una creazione d’eccellenza destinata agli ambienti più raffinati.

D. Perché «Ferrari» e non Lunelli?
R. La storia delle Cantine Ferrari è ultracentenaria: furono fondate nel 1902, quando Trento faceva ancora parte dell’impero austro-ungarico, da Giulio Ferrari, trentino di nobile famiglia che possedeva molti terreni. Cultore e grande esperto vivaista, dopo aver studiato Enologia nell’istituto agrario di San Michele all’Adige, andò a specializzarsi a Montpellier in Francia, quindi maturò un’esperienza che lo portò ad avere un’intuizione: che in Trentino si potessero creare, grazie alle uve figlie di una terra straordinaria, grandi bollicine ispirate a quanto di meglio aveva visto in Francia. E, una volta rientrato nella propria regione, portò per primo in Italia alcune barbatelle di Chardonnay, le piantò nei dintorni di Trento e cominciò a «fare champagne», come allora si poteva dire. Giulio Ferrari aveva l’ossessione della qualità, produceva poche migliaia di bottiglie l’anno, ognuna era un’opera d’arte e il suo nome divenne un mito. Avere un Ferrari era trendy all’inizio del Novecento, un piacere che pochi raffinati potevano permettersi.

D. Quando la vostra famiglia è entrata a far parte della storia del Ferrari?
R. Nel 1952. Quando mio nonno, Bruno Lunelli, pagando una cifra spropositata, comperò la cantina da Giulio Ferrari. Non avendo eredi, il fondatore cercava qualcuno che potesse portare avanti la sua creazione. E tra i tanti pretendenti scelse mio nonno: era l’unico trentino, e Ferrari voleva passare la mano a un trentino che, come lui, avesse l’ossessione della qualità. Mio nonno, che aveva una mescita nella quale aveva educato i trentini al buon bere, s’indebitò fino al collo per acquistare quella che allora era un’azienda di piccole dimensioni. Anche dopo aver passato la mano, Ferrari rimase vari anni nell’azienda curando il settore tecnico-produttivo; mio nonno portò, invece, lo spirito imprenditoriale. La loro unione permise la crescita negli anni successivi, sino all’esplosione con la seconda generazione, che portò le Cantine Ferrari ad essere l’azienda leader in Italia per il Metodo Classico e presente in 40 Paesi in tutto il mondo.

D. Quanto è cambiata la vostra società nei passaggi generazionali?
R. Se guardiamo alla ricerca dell’eccellenza, la Ferrari non è mai cambiata. I cambiamenti si sono avvertiti nella quantità. Oggi Ferrari è tra le prime case europee di bollicine Metodo Classico e la mia generazione, oltre a consolidare la presenza del marchio in Italia, deve guardare oltre i confini. Questa è la nostra sfida, nel rispetto del passato e quindi della tradizione, dell’identificazione nel territorio e dell’eccellenza. I valori che hanno fatto grande il Ferrari.

D. Ma se si vuole innovare, non si devono soprattutto rompere le tradizioni?
R. Innovazione oggi significa, prima di tutto adeguare la propria attività a un mercato che continua a cambiare, e puntare sulla ricerca per quanto riguarda le nostre creazioni. Mi piace citare Aristotele: «L’eccellenza non è un atto, ma un’abitudine». È il risultato di un processo rigoroso fatto di piccoli passi, un lavoro compiuto su ogni singolo dettaglio, come la conquista dell’ultimo decimo di secondo nella Formula Uno. Si tratta di migliorare la qualità dell’uva a partire dal vigneto, di usare un metodo di coltivazione che punti sempre di più al rispetto della natura e al prodotto biologico e biodinamico, di curare tutto dalla cantina fino al packaging, perché al vino di eccellenza sia abbinata anche una veste di prestigio.

D. Che riscontri avete in relazione alla vostra conduzione?
R. Il vino ha un ciclo di produzione pluriennale, e un grande Metodo Classico è sempre frutto di una lunga maturazione sui lieviti. Dopo oltre 100 anni di Metodo Classico, blanc de blanc, creato con sole uve Chardonnay, lo scorso anno abbiamo lanciato per la prima volta un Ferrari blanc de noir, il Perlé Nero, creato con uve di solo Pinot nero, vinificate in bianco. Le bottiglie della vendemmia 2002 sono state vendute su prenotazione e immediatamente esaurite. Questo dimostra la fiducia e l’attenzione dei consumatori nei confronti del Ferrari ed è anche il segno che, nonostante la crisi economica, quando c’è qualcosa di distintivo il mercato è ancora estremamente recettivo.

D. In che modo ha inciso la crisi economica sul consumo dello spumante?
R. È un momento particolare. Molti ristoratori nostri clienti hanno risentito della crisi, denunciando un calo di coperti. Problemi si avvertono anche nella grande distribuzione. Insomma, il 2009 sarà un anno complicato, ma io continuo ad essere molto ottimista per il futuro, e Casa Ferrari avrà un grande avvenire. Noi veniamo da un periodo di crescita molto significativo che ci ha portati a superare nel 2007 i cinque milioni di bottiglie, un trend che nel 2008 ha rallentato; il 2009 sarà un anno di riflessione, ma sono convinto che già dal 2010 vi sarà lo scatto.

D. Vi sono pochi soldi da spendere e molti prodotti da acquistare: perché il consumatore deve scegliere il Ferrari?
R. Perché è il Ferrari, perché è il frutto di una lunga tradizione e della passione di una famiglia, di uomini e donne che da oltre cento anni vogliono creare bollicine di eccellenza. In breve, perché ha una grande storia, perché è espressione di una grande terra, perché è un grande nome. Se poi si tiene conto che le bollicine piacciono sempre di più come aperitivo, come momento di aggregazione, di amicizia e a tutto pasto, allora si può ben comprendere perché si possa preferire il Ferrari.

D. Cos’altro c’è nel vostro futuro?
R. Conquistare il mondo femminile. Le donne sono in aumento tra i tifosi delle bollicine Metodo Classico. Sono in aumento anche tra i sommelier. Insomma, giocando con le parole, vedo molto rosa nel futuro.

D. Si riferisce forse allo spumante rosé?
R. Proprio così, in questo momento il rosé, e parlo di bollicine, ha un grande mercato e la domanda è anche al di sopra della nostra disponibilità. Si tratta di un grande vino che è stato sottovalutato per molti anni: bollicine raffinate, di grande fascino.

D. Il Ferrari, come ha detto lei, punta molto all’estero. Qual’è oggi la situazione? In che modo è visto lo spumante negli altri Paesi?
R. Purtroppo la parola spumante all’estero è spesso associata a bollicine di bassa qualità, e non esiste una parola che identifichi in modo univoco il Metodo Classico italiano. Come Ferrari rappresentiamo una piccolissima parte dell’export totale di spumante, ma il 40 per cento delle esportazioni se si considerano solo le bollicine Metodo Classico. E possiamo fare anche di più tenendo presente che in molti Paesi il consumo pro capite di bollicine Metodo Classico è molto elevato. Ovviamente ogni discorso va fatto sul lungo periodo: è una grande sfida per una grande opportunità.

D. E all’estero avete come rivali lo champagne?
R. Teniamo innanzitutto presente che lo champagne è nato quasi tre secoli prima di noi. Ma al di là dell’anzianità, non abbiamo complessi di inferiorità. Vi sono grandi champagne e vi sono grandi bollicine italiane: il nostro Giulio Ferrari in più di una degustazione ha trionfato sui miti francesi. Ciascun vino deve essere espressione del proprio territorio, poesia della propria terra, rappresentazione della propria tradizione e gente. Noi vogliamo rappresentare il Trentino e siamo orgogliosi della nostra personalità e identità.

D. Torniamo all’estero. Dove se la sente di scommettere di più?
R. In Germania, Stati Uniti, Russia e Giappone, tutti Paesi che sono già nostri grandi clienti e nei quali si respira un intenso amore per lo stile di vita italiano e per il Made in Italy di Alta Gamma. Il Nord Europa ha mercati interessanti ma particolari e nel lungo periodo vedo bene il Brasile, la Cina e l’India. Mi piace comunque ricordare che siamo già presenti sulle tavole dei ristoranti più famosi del mondo, da New York a Tokyo, tanto che, in una classifica mondiale, una rivista tedesca due anni fa ha giudicato il Ferrari il miglior Metodo Classico.

D. Quali sono i primi risultati dell’anno in corso?
R. Secondo i dati del 2008, il Gruppo Lunelli ha fatturato circa 70 milioni di euro, di cui 56 milioni vengono solo dal Ferrari che ha una quota di mercato superiore al 25 per cento. Seguono, per fatturato, l’acqua minerale Surgiva, la grappa Segnana e i vini delle nostre tenute in Umbria e Toscana. Tenute che abbiamo acquistato poiché, volendo produrre vini rossi, riteniamo quei territori estremamente vocati. In particolare, in Toscana abbiamo scommesso su una zona innovativa, quella delle colline pisane, mentre in Umbria ci ha spinto l’innamoramento di mio cugino Marcello per quella regione e per il Sagrantino di Montefalco, un vitigno autoctono che dà origine a un vino unico di grande potenza.

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