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GIACOMO PONTI: CI PENSIAMO NOI, CON L'ACETO, A FAR RINVENIRE LE SIGNORE

Giacomo Ponti aceto

Nel 1867 - anno in cui nella parrocchia di Sizzano in provincia di Novara, alla voce «professione» Giovanni Ponti segnò sul proprio certificato di matrimonio «produttore di aceto di vino e di vino» - si suole riportare la fondazione dell’azienda Ponti, quella dell’aceto ma anche della peperlizia e delle verdurine in barattolo. Tutto ebbe inizio molto prima, con l’«homez» della Bibbia che poi passò per l’Egitto dipinto su un vaso prefaraonico di diecimila anni fa, compì un salto in Grecia nella bevanda popolana «oxycrat» mischiato ad acqua e miele, e fu prescritto da Ippocrate come cura in caso di ferite, piaghe e malanni dell’apparato respiratorio. La «posca» romana a base di aceto dava forza («Posca fortem, vinum ebrium facit»), l’«agresto» medievale rimediava al grasso eccessivo dei condimenti e l’aceto a Marsiglia combatteva la peste permettendo ai monatti di manzoniana memoria di saccheggiare impunemente la città perché immunizzati da abluzioni e gargarismi.
Usato contro il colera, annusato dalle signore per rinvenire quando oppresse dal busto e rinfresco per la toeletta di re e regine, oggi a tutto questo pensano i discendenti di Giovanni Ponti. Tre in particolare: i fratelli Cesare e Franco, e il figlio di quest’ultimo Giacomo. Che Specchio Economico ha intervistato per sapere di più del prodotto di una tradizione millenaria e di una società per azioni familiare da cento milioni di euro, rimasta interamente italiana, che detiene il 50 per cento del mercato dell’aceto. La quinta generazione, rappresentata da Giacomo, spiega il successo di aceto di vino e altre delizie Ponti.

Domanda. Il 1867 è l’anno in cui fissate la nascita della vostra azienda secolare. Com’era la situazione dell’aceto in quei tempi? Molte cose devono essere cambiate da allora.
Risposta. La fissiamo al 1867 sulla base del certificato di matrimonio del mio trisavolo, ovviamente considerando che egli era attivo anche prima nella lavorazione e produzione dell’aceto di vino: ma non solo. Si occupava anche di solo vino in quanto all’epoca l’aceto di vino era venduto in damigiane ed era un mercato tipicamente estivo, mentre la produzione del vino serviva a controbilanciarne la stagionalità. Il figlio di Giovanni Ponti, Antonio, sviluppò ulteriormente l’attività concentrandosi nel settore dell’aceto e abbandonando quelle attività agricole che erano della famiglia; quindi mio nonno Guido ha dato un impulso ulteriore alla produzione dell’aceto e nel 1939 ha acquistato un’azienda di Milano che poi, per eventi bellici, è stata trasferita a sud di Sizzano, cioè a Fara Novarese. Questa azienda, che produceva sottolio e sottaceti, nel dopoguerra è cresciuta e, durante il boom economico degli anni Sessanta, ha condotto il marchio di aceto di vino al livello nazionale. Dal 1965 circa mio padre Franco e mio zio Cesare hanno dato un ulteriore impulso allo sviluppo dell’azienda puntando, per quanto riguarda il mercato dell’aceto, alla crescita esterna. Infatti, durante gli anni 70 e 80 sono state acquisite circa 15 aziende concorrenti che, da sole, non riuscivano a far fronte alle alte spese in cui il nostro settore incorre.

D. Avete dovuto ampliare, quindi, anche gli impianti?
R. L’aceto è sostanzialmente un prodotto povero, molto pesante e voluminoso, con elevati costi di logistica. Da qui la decisione felice di affiancare alla storica sede di Ghemme a Novara, e al suo acetificio, altri due stabilimenti che producono aceto di vino e ridistribuiscono le verdure, uno a Dosson di Casier, in provincia di Treviso, l’altro ad Anagni, in provincia di Frosinone. È grazie a questo decentramento produttivo tra il Nord e il Centro Italia e ai relativi magazzini di distribuzione che tutti i nostri clienti possono essere serviti abbattendo i costi di trasporto nelle varie zone d’Italia. Ulteriori tappe hanno portato a creare altri stabilimenti oltre ai tre già presenti: un secondo a Ghemme e uno a Vignola, quest’ultimo dedicato esclusivamente all’aceto balsamico di Modena.

D. Le campagne pubblicitarie del marchio Ponti oggi sono molto efficaci; l’ultima di esse vede come protagonista Ricky Tognazzi. Quando è cominciato questo processo di visibilità?
R. La comunicazione nazionale a livello televisivo, che dà chiaramente un’immagine della Ponti, è cominciata all’inizio degli anni Ottanta, e vuole mostrare come la nostra azienda sviluppi soprattutto quei prodotti di più alta qualità.

D. La linea Peperlizia ha avuto un successo elevato. Com’è nata l’idea di un prodotto agrodolce dall’aceto?
R. La linea Peperlizia è stata lanciata dopo i prodotti di aceto di vino invecchiati e, nei primi anni 80, ha rappresentato una rilevante innovazione nel mercato perché, oltre a quelle sottolio e sottaceto, apparivano le verdure in agrodolce, inizialmente con i peperoni, da cui deriva anche il nome («peperone» e «delizia»), quindi le cipolline piatte, il cocktail di verdure, i cetrioli. Peperlizia, però, non poteva rappresentare solamente i prodotti con ricetta agrodolce perché avrebbe limitato enormemente l’offerta, quindi è stata ripresentata nei primi anni 90 come marchio a se stante, con la garanzia di Ponti. Peperlizia in questo momento rappresenta un’area di gusto nella quale le verdure sono naturalmente conservate in olio e aceto, ma in agrodolce assumono caratteristiche particolari per i consumatori più attenti, perché si basano su ricette innovative e sono il frutto di un grande impegno da parte dell’azienda nella selezione dei fornitori e delle materie prime, nonché un grande impegno finanziario.

D. Qual è il vostro ruolo in questo singolare comparto?
R. Dal mese di settembre, periodo di raccolta dei peperoni, siamo responsabili di questo prodotto sino all’anno successivo, dovendo immagazzinare e conservare verdure che saranno vendute per almeno dodici mesi, aggiungendovi anche l’aleatorietà della raccolta che nel prossimo anno potrebbe essere in anticipo o in ritardo, più scarsa o molto abbondante. Lavoriamo le verdure fresche perché da esse otteniamo prodotti finiti completamente diversi, consentendo ad essi di acquisire le caratteristiche tipiche del marchio Ponti quali profumo, consistenza, colore, sapore e il tipico aspetto che noi chiamiamo «vetrosità», che è ciò che si sente quando vengono masticate.

D. È il prodotto più venduto?
R. Circa il 45 per cento dei nostri prodotti è rappresentato dalle verdure sott’aceto, che costituiscono una parte importantissima della composizione del nostro fatturato, e che si rivolgono a mercati dalle caratteristiche diverse rispetto a quello proprio dell’aceto, che costituisce il 55 per cento della nostra produzione. A partire dagli anni 80 si è sviluppato il mercato dell’aceto offrendo aceti di vino invecchiato, detti anche speciali, introducendo le due nuove specialità dell’aceto di mele e dell’aceto balsamico. L’aceto di mele, l’unico che in Italia è consentito vendere a 5 gradi di acidità invece che a 6, era già presente sul mercato ma in canali specializzati, quali quello delle erboristerie e delle farmacie. Ponti l’ha introdotto capillarmente nella grande distribuzione a un prezzo logicamente più basso rispetto a quello corrente. Con queste caratteristiche rappresentiamo il 65 per cento del mercato italiano.

D. Qual è il mercato dell’aceto balsamico?
R. Sul finire degli anni 80 abbiamo avuto un grande impulso anche nelle esportazioni con un prodotto vincente: l’aceto balsamico di Modena. È stato un lancio a livello nazionale, accompagnato dal 1998 da una campagna pubblicitaria che ha sregionalizzato un prodotto molto diffuso nell’area emiliana e l’ha portato in tutta l’Italia. L’aceto balsamico ha ottenuto un grande successo, innanzitutto perché è un prodotto tipicamente italiano ma anche per il suo sapore agrodolce, meno acido rispetto all’aceto di vino, caratteristica che ha consentito di accostarsi a questo diverso sapore a molti consumatori che non facevano uso di aceto di vino.

D. Perché vi siete allargati alla produzione di aceto balsamico?
R. Proprio in ragione dell’andamento delle vendite, positivo anche grazie all’ottimo rapporto tra prezzo e qualità, abbiamo acquistato un’azienda dedicata esclusivamente alla produzione di aceto balsamico. A Vignola lo stabilimento modello Modenaceti ha una cantina di invecchiamento che, in botti di rovere e di essenze diverse, contiene più di quattro milioni di litri, garantiti con legge disciplinare dal marchio Ponti.

D. Quale quota di mercato detiene?
R. Il 50 per cento del mercato dell’aceto in Italia, tanto quello classico, con sei gradi di acidità, quanto quello speciale, fino a sette gradi, nel quale rientrano l’aceto aromatico, quello di mele con il 75 per cento di quota di mercato, quello balsamico di Modena con il 50 per cento. Nel settore delle verdure abbiamo la maggior quota di mercato grazie a prodotti quali il condimento dell’insalata di riso o, per l’agrodolce, il nostro Carcioghiotto. Abbiamo concorrenti significativi quali Saclà, Cirio, Acetificio Aretino, Guerzoni, a seconda dei vari prodotti; inoltre altri concorrenti minori, a causa della polverizzazione del mercato.

D. Cosa rappresentano le esportazioni nel vostro fatturato?
R. Svolgono un ruolo fondamentale: su circa 100 milioni di euro di incassi, il 12 per cento è rappresentato proprio da esse. Tale successo si basa fondamentalmente sull’aceto balsamico, cui è riconosciuta un’italianità all’estero e che ha incontrato il gusto dei consumatori di qualsiasi Paese, dal Giappone all’Australia, dagli Stati Uniti al Sud America, in quanto simbolo della cucina italiana nel mondo insieme alla pasta, al prosciutto di Parma e al Parmigiano Reggiano. Esportiamo in 50 Paesi e principalmente in Germania, Svizzera, Stati Uniti. Il prodotto è apprezzato ovunque e siamo molto soddisfatti perché stiamo diffondendo il marchio in tutto il mondo: presso singoli clienti per i quali personalizziamo l’etichetta, e presso grandi catene.

D. Ci sono prospettive di allargamento del capitale sociale?
R. Ponti rimane, nonostante tutto, un’azienda familiare. La direzione generale è affidata a mio padre Franco e a mio zio Cesare; il primo si occupa di tutti gli stabilimenti dell’aceto e delle materie prime, nonché del settore commerciale, il secondo del settore dei sottaceti e dell’amministrazione. Io personalmente mi occupo del marketing, della comunicazione e dei mercati esteri. Mi sono dedicato al restyling del marchio e delle etichette, un lavoro piuttosto oneroso in termini finanziari e di tempo, che ha richiesto anche l’adeguamento degli stabilimenti alle nuove bottiglie ed etichette.

D. Avete certificazioni di qualità?
R. Le abbiamo tutte e seguiamo un sistema molto rigoroso, che ha come cardine la sicurezza alimentare e la rintracciabilità del prodotto, garantito con modalità informatiche. Attraverso i numeri abbinati a ciascun tappo possiamo rintracciare le materie usate e ricostruire il percorso che ha compiuto il prodotto dal momento in cui è uscito dal nostro magazzino fino a quello in cui è giunto al magazzino del nostro cliente, registrando anche a che ora è stato caricato, trasportato ecc. La tracciabilità è completa. Disponiamo di certificazioni anche internazionali per lavorare con i clienti all’estero, e riceviamo il massimo del punteggio nei test ripetuti ogni anno. Dal punto di vista industriale della sicurezza, siamo assolutamente all’avanguardia anche perché dal 2000 al 2005 abbiamo ristrutturato gli stabilimenti rinnovando e introducendo la tecnologia disponibile sul mercato che, tengo a sottolinearlo, è italiana; ed anche costruendo un magazzino centralizzato che genera, nella parte automatica, 10 mila elementi contro i 3.500 della parte tradizionale, per dare spazio ai nuovi fabbisogni.

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