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FOOD E MOTOR VALLEY: A MODENA DINAMISMO CON GUSTO

Un territorio che si distingue da altrettanto belle province italiane per un aspetto finora poco evidenziato: il fatto di essere punto di partenza -e di arrivo- per numerose aziende del made in Italy, quel saper fare che qui trova naturale espressione nell’agroalimentare e nell’automotive. Una provincia che taglia in due una regione messa di traverso che prende il nome da una strada, la via Emilia: bisogna per forza passarci. È della provincia di Modena che stiamo parlando, nella quale trovano luogo il buon mangiare e i sogni di velocità. Universalmente noti infatti i marchi tipici che qui hanno origine e diffusione: l’aceto balsamico, il lambrusco, il parmigiano reggiano, amarene e ciliegie; e non c’è bisogno di citare Ferrari e Maserati, in grado di attrarre un turismo dall’estero spinto dalla potenza, non solo su strada, di questi brand. Così nel 2011 è nato “Piacere Modena” al fine di promuovere il territorio e le sue tipicità, che in Emilia Romagna si esprimono nel cibo con il più alto numero di prodotti a marchio DOP e IGP, ben 44 (la metà a Modena), il cui valore inclusi i prodotti agroalimentari non certificati è pari a circa il 10% del pil della provincia, secondo i dati della Camera di Commercio modenese. Al progetto aderiscono i principali consorzi di tutela delle DOP e IGP provinciali oltre al consorzio “Modena a tavola” e il tour operator Modenatur. Tutelati inoltre i 27 prodotti tipici minori riuniti sotto il marchio collettivo “Tradizione e sapori di Modena”.

Un binomio, quello tra motor e food valley, reso ottimamente dallo slogan “fast cars, slow food” e molto evidente nell’azienda zootecnico-casearia Hombre, fondata nel 1974 dall’imprenditore Umberto Panini (sì, quelli delle figurine). L’aveva voluta e chiamata così per via degli anni in Venezuela, calandola però nel territorio modenese poiché allevava vacche per  produrre parmigiano reggiano DOP. Ceduta nel gennaio 2020, la famiglia Raguzzoni che l’ha rilevata si è trovata pertanto ad affrontare le fasi iniziali di un’acquisizione del genere in pieno lockdown. Ciò nonostante, si è piano piano proceduto ad estendere l’azienda da 264 a 500 ettari, al fine di un maggiore controllo di molte fasi della filiera: “Siamo per il ciclo chiuso, già ora è tutto di produzione interna a parte il foraggio, che comunque per il 60% viene dalle nostre coltivazioni, estese per circa 300 ettari. I nostri 700 capi sono di razza frisona bianca olandese ma siamo intenzionati al recupero della bianca modenese, la razza autoctona del territorio”, racconta Francesco Raguzzoni, che prosegue l’excursus in azienda: “La frisona bianca olandese produce circa 10 litri di latte al giorno e per fare una forma di parmigiano reggiano ne servono 450, poiché più stagiona più si asciuga. Di questi tempi una forma finita costa il 20% in più tra materie prime e aumento energetico”. Il mestiere del casaro è molto specifico e quindi molto ricercato, a fronte di una professionalità che va scomparendo; in azienda non riescono sempre a coprire le esigenze: “Il problema non è solo trovare i casari ma trovarne che inoltre garantiscano una continuità lavorativa. Feste, Natale e compleanni, la mucca produce e va munta e il latte non si può tenere in caldaia: un casaro si alza alle 5, è un lavoro molto faticoso”.

All’interno di Hombre trova luogo la Collezione Umberto Panini, che espone la più completa raccolta di automobili Maserati costruite tra il 1934 e il 1996, collezionate da Umberto Panini. Anche qui, una storia rocambolesca di partenze su circuito, e non solo: una sarebbe stata fatale e fortunatamente è stata impedita. Fondata a Bologna nel 1914 da Alfieri Maserati, nel 1993 la casa automobilistica passò di proprietà dal Gruppo De Tomaso alla Fiat; la collezione rimase invece di proprietà della Società Officine Alfieri Maserati. Nel 1996 l’ingegnere De Tomaso richiese indietro automobili e motori: alcuni esemplari vennero acquistati dalla Maserati mentre 19 automobili, una volta restituite a De Tomaso, stavano per partire alla volta di Londra per essere battute all’asta. Resosi conto dell’immensa perdita, Umberto Panini si attivò, riuscendo a recuperare le auto, da allora esposte nel padiglione in stile Liberty all’interno di Hombre (ma pare comunque che troveranno una nuova collocazione). Come racconta il figlio di Umberto, Giovanni: “Questo luogo si deve alla visione di papà, meccanico in Maserati, ma anche alla sua notevole sensibilità artistica, di cui è un esempio il monumento, ad opera del modenese Wainer Vaccari, dedicato alla mamma Olga Cuoghi, vedova nel 1943 di nonno Antonio con 8 figli”. Classe 1930, Umberto era emigrato in Venezuela nel 1957 ma nel 1964 venne richiamato dal fratello Giuseppe, che nel frattempo aveva avviato l’azienda di figurine con i fratelli Franco e Benito, affinché risolvesse il problema dell’imbustamento, all’inizio fatto a mano, e finalizzato a evitare duplicati nelle bustine. Il resto è storia: grazie alle doti meccaniche e ingegneristiche inventò la “fifimatic”, dove “fifi” è il dialetto per “figurina”, un’idea nata senz’altro grazie anche all’edicola gestita dal 1945 da mamma Olga in corso Duomo. Oltre a prototipi mai realizzati come la Chubasco del 1990 e vetture più “familiari” come l’Alfa Romeo Giulietta del fratello, concessionario a Modena a fine anni 70, tra gli esemplari più notevoli della collezione figurano la Maserati 6C 34 di Tazio Nuvolari, la 250F di Jean Manuel Fangio, l’A6GCS 53 berlinetta Pinin Farina, la Ghibli coupé disegnata da Giorgetto Giugiaro.

E proprio Giugiaro nel 1987 fu incaricato dalla Camera di Commercio di disegnare una bottiglietta, divenuta unica garanzia di autenticità dell’aceto balsamico tradizionale di Modena DOP, che può essere imbottigliato solo nel contenitore da 100 ml ideato dal designer piemontese. Se si chiedesse quale è il prodotto modenese più rappresentativo, sicuramente tutti citerebbero l’aceto balsamico. Sbagliando: la dicitura cambia a seconda del tipo di produzione. Infatti l’aceto balsamico tradizionale di Modena DOP e l’aceto balsamico di Modena IGP sembrano lo stesso prodotto ma in realtà sono assai diversi. A spiegarlo è Giuseppe Pedroni, il cui nome omaggia il fondatore, nel 1862 a Rubbiara di Nonantola, dell’omonima azienda agricola di famiglia, che li produce entrambi. Sulle pareti dell’acetaia compare l’albero genealogico dei Pedroni, sette generazioni nell’aceto balsamico se consideriamo anche i figli dell’attuale titolare Giuseppe, che ci spiega come da più di un secolo si tramandino l’arte del mosto di Trebbiano di Spagna e del rincalzo nelle botti. La vocazione familiare all’aceto balsamico si intreccia con la storia: nel 1638 il duca di Modena Francesco I d’Este portò da Trebujena, in Spagna, alcune barbatelle di una varietà ribattezzata “Trebbiano di Spagna”, molto zuccherina ma assai debole, tanto da essere ormai scomparsa. Il papà di Giuseppe, Italo, dal vitigno pregiato e creduto scomparso, ma rinvenuto nella vigna ereditata, trae un ottimo mosto cotto, primo passaggio della lenta lavorazione che oggi attira tanti curiosi e golosi.

A grandi linee, l’aceto balsamico di Modena IGP è ottenuto da un processo di invecchiamento più veloce e in botti di grandi dimensioni, quindi per maggiori quantitativi, utilizzando come materia prima una miscela di mosto di uva concentrato o cotto e aceto di vino. Il balsamico tradizionale di Modena DOP è invece frutto di un unico ingrediente, il mosto cotto, che subisce un invecchiamento in botticelle via via più piccole, custodi del processo di fermentazione e di ossidazione dell’alcol che man mano si forma; ogni anno se ne preleva una quantità travasandola dalla botticella più grande a quella successiva più piccola, nella quale il prodotto si miscela e continua la lunga lavorazione: da disciplinare, minimo 12 anni ma oltre 25 per l’extravecchio. Per quanto riguarda invece l’IGP, dopo 60 giorni di affinamento in tini di legno, può andare incontro a un ulteriore periodo di invecchiamento che, se superiore a tre anni, gli farà guadagnare il titolo di “invecchiato”. Specifica Giuseppe: “La DOP si centellina goccia a goccia mentre l’IGP viene usata anche per cucinare. Quest’ultima fattura oltre un miliardo di euro per 100 milioni di litri certificati IGP, di cui il 92% è esportato in 120 paesi; se pensiamo che la DOP fattura solo 5 milioni di euro per diecimila litri certificati, ci rendiamo conto che la denominazione di origine protetta è una nicchia”. E sicuramente molto fascinosa: visitare le acetaie nelle case dei produttori, perché posizionate nelle soffitte e nei sottotetti, è un’esperienza bellissima che ancora una volta evidenzia l’artigianalità diffusa in questa provincia, già famosa proprio per le capacità nel settore meccanico. “Il dinamismo della motor valley si avverte anche in queste acetaie, dove il prodotto DOP non resta fermo ma viene spostato da una botte all’altra” -continua- “e la ricchezza delle famiglie che producono l’aceto balsamico tradizionale risiede anche nel numero e nella fattura delle botticelle. Usanza vuole che, alla nascita di una figlia, si predisponesse una batteria di botti in modo tale che, in età da marito, 25 anni dopo, si avesse già una produzione di extravecchio da lasciare in dote”.

È circa in 45 minuti che avviene la separazione della parte liquida dalla solida dell’uva: il mosto, per diventare vino, andrà incontro alla fermentazione, altrimenti viene cotto per trasformarsi in aceto. L’IGP si riduce di due terzi dopo un giorno e mezzo di cottura, mentre il balsamico tradizionale DOP di un terzo dopo una cottura di 24 ore, che avviene in caldaie a cielo aperto, quindi a pressione ambiente, a fuoco diretto, tra 95 e 70 gradi, man mano che per evaporazione ne aumenta la concentrazione zuccherina. Il mosto cotto viene lasciato raffreddare e poi avviato a fermentazione a opera di lieviti e fermenti selezionati nella singola acetaia; viene quindi utilizzato per alimentare le “botti madre”, dove l’alcool prodotto è trasformato dagli acetobacter in acido acetico, portando alla produzione di aceto base in botti di legni diversi: in genere rovere, castagno, ciliegio, gelso e ginepro. E senza aggiunta di sostanze aromatiche: “Gli unici ingredienti della ricetta sono il mosto, la cottura, il legno e l’ambiente, ossia le acetaie, poste nelle soffitte perché calde e umide in inverno, che è la stagione del rincalzo. I legni della batteria di vaselli sono il rovere che, come anche il gelso, è poroso mentre il ciliegio e il ginepro rilasciano aromi: il ciliegio sarà dolce mentre il ginepro più speziato. Infine il castagno regala una colorazione intensa”. Inoltre, una volta per tutte, Giuseppe Pedroni sfata il mito della “madre dell’aceto”, quella patina di cellulosa che secondo alcuni attiva il processo di acetificazione grazie alla colonia di acetobatteri che ospita: “i batteri presenti non sono tutti quelli utili al nostro fine anzi, normalmente nella madre sono presenti alcuni che consumano l’acido acetico e, trasformandolo in CO2 e acqua, danno origine a un aceto scadente: la madre fa calare l’acidità mangiando se stessa”.

A conclusione di questo viaggio nelle artigianalità italiane, commenta il presidente di “Piacere Modena” Enrico Corsini: “L’unione di due eccellenze del territorio come il cibo e i motori è per noi una prova di volontà, sia da parte pubblica che privata, di fare il bene del territorio. Sia il cibo che i motori infatti, rappresentano due elementi di cultura economica e storica per Modena ed entrambi sono per volume d’affari settori trainanti dell’economia dell’Emilia Romagna”, da valorizzare in tempi duri di pandemia, per attrarre ancora più turisti. Nella regione gli arrivi nel 2021 sono aumentati del 40,7%, per un totale di 7.984.213 presenze: rispetto al 2019 un saldo ancora negativo, con un calo del 31,2%. I dati sul turismo 2021 diffusi dalla Regione Emilia Romagna mostrano, com’era prevedibile, un percorso irto di difficoltà: gli arrivi complessivi sono aumentati del 40,7% (quasi 8 milioni): rispetto al 2019 un saldo ancora negativo, con un calo del 31,2%, ma la provincia di Modena supera il trend regionale, con 476.959 presenze pari a un incremento tendenziale del 48,8% (-33,9% 2019). L’andamento mensile rispecchia chiaramente l’evolversi dei contagi e delle relative restrizioni, con il minimo afflusso fino ad aprile e un parziale ritorno alla normalità da maggio in poi grazie ai vaccini e alla bella stagione, che hanno consentito il picco di 63.000 presenze nel mese di ottobre. In provincia, hanno maggiormente beneficiato della ripresa dei flussi turistici Campogalliano (+57,5%) e Maranello (+48,0%). Dall’estero, maggior affluenza da Paesi Bassi, Francia e Germania; quote minori dai paesi europei non UE e gli extraeuropei trainati in primis dagli Stati Uniti (+184,4%). Al fine di aumentare la permanenza nel territorio, Camera di Commercio di Modena, Apt Emilia Romagna e Modenatur hanno già dallo scorso anno lanciato l’offerta “Welcome to Modena” che premia chi soggiorna almeno due notti, prenotando sul sito ufficiale dell'iniziativa, grazie a voucher fino a 100 euro per esperienze enogastronomiche, culturali, sportive. Gli sforzi sono tutti al recupero dei flussi turistici persi; in questo senso la Regione Emilia Romagna si era mossa già nel 2020 cooptando fino al 2023 Stefano Accorsi per la campagna di promozione realizzata da Apt servizi, in attesa di avere la conferma definitiva sui grandi eventi sportivi nella regione quali tour de France e coppa Davis. Mentre si guarda al futuro con auto e kart elettrici: la stessa Ferrari sta progettando un modello, nonostante anni fa avessero negato fermamente l’eventualità di una vettura completamente elettrica.

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