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FILIPPO BERSELLI: UN SALONE PER UMANIZZARE E MIGLIORARE LA GIUSTIZIA

Filippo Berselli Giustizia

Nato a Bologna, residente a Montefiore Conca in provincia di Rimini, laureato in Giurisprudenza e avvocato di professione, il senatore Filippo Berselli, attualmente presidente della Commissione Giustizia del Senato, ha una lunga esperienza di attività legislativa e una profonda conoscenza di vari settori, in particolare dei problemi della Difesa e della Giustizia. È stato eletto, infatti, parlamentare ininterrottamente in otto legislature, in cinque delle quali alla Camera dei Deputati e in tre al Senato. Ha ricoperto vari incarichi. Ha fatto parte delle Commissioni Agricoltura e Foreste, Affari Esteri e Comunitari, Bilancio e Programmazione, Difesa; della Commissione d’inchiesta sulla Loggia massonica P2, della Giunta delle elezioni e immunità parlamentari, del Comitato per i procedimenti d’accusa; ha fatto parte, inoltre, del primo, del secondo e del terzo Governo Berlusconi dall’aprile 2005 al maggio 2006, rivestendovi la carica di sottosegretario di Stato per le Finanze prima e per la Difesa poi. In questa intervista fa il punto in particolare sull’attività che la Commissione da lui presieduta ha svolto e sta svolgendo in questo scorcio di Legislatura caratterizzato dai provvedimenti emanati dal Governo Monti.

Domanda. Quale bilancio può delineare dell’attività del Governo Monti in questo lasso di tempo sul tema della Giustizia?

Risposta. Il Governo Monti ha svolto alcune azioni positive ed altre non del tutto condivisibili. Tra le positive voglio ricordare i provvedimenti presentati al Parlamento e approvati, diretti ad evitare il carcere per coloro che vi avrebbero soggiornato qualche giorno e poi sarebbero stati rimessi in libertà; così si elimina quel turn over di persone che, arrestate, dopo un paio di giorni venivano rimesse in libertà. Cosa assolutamente da evitare. Era un problema sia per l’Amministrazione carceraria sia per chi, costretto a subire il dramma del carcere, dopo pochi giorni ne era fatto uscire. Un provvedimento senz’altro condivisibile. Poi si è parlato di pene sostitutive; le proposte sono all’esame della Camera, vedremo in che consistono. Abbiamo un numero eccessivo di detenuti, sono contrario a nuovi indulti e amnistie ma è indispensabile affrontare obiettivamente questa situazione. I detenuti sono costretti a vivere in numero spropositato in una stessa cella, in condizioni indegne per un Paese civile. L’unica soluzione sarebbe una vasta depenalizzazione dei cosiddetti reati minori, che non destano particolare allarme sociale; ma nello stesso tempo bisogna puntare su pene alternative al carcere, ed estendere il ricorso agli arresti e alla detenzione domiciliare.

D. In base a quali elementi?

R. Le statistiche ci dicono che in Italia il 98 per cento delle persone che finiscono agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare, quando sono stati già condannati, non violano la legge; solo una percentuale irrisoria, pari al 2 per cento infatti, evade. Costoro possono ottenere anche la possibilità di uscire, ma possono essere obbligati a non incontrare determinate persone, anche della propria famiglia, secondo il reato commesso. Se questo è grave, è ovvio che non si finisce agli arresti domiciliari. Una soluzione da prendere in considerazione è la «messa alla prova», un istituto che deriva dal diritto minorile. Se ne parla insistentemente tra le misure che la Camera dovrebbe approvare. Ritengo che il diritto minorile ci suggerisca soluzioni che, rivedute, potremmo adottare, in quanto hanno dato ottimi risultati. Non c’è davvero nulla da inventare, basta introdurre nel sistema penale formule che hanno dato ottimi risultati nel sistema minorile.

D. Quali altri provvedimenti ha approvato la Commissione?

R. La revisione delle circoscrizioni giudiziarie, che non mi convince. Per rendere più razionale il sistema sono stati soppressi circa mille uffici giudiziari di prossimità, non solo disattendendo la legge delega con un decreto legislativo, ma non prendendo in alcuna considerazione i pareri espressi dalle Commissioni Giustizia del Senato e della Camera. Sono state eliminate tutte le Sezioni distaccate operanti nel Paese; alcune andavano chiuse, ma non tutte. È stato soppresso l'80 per cento dei giudici di pace. I tribunali di città non sedi di provincia non dovevano essere falcidiati così come è stato fatto; e mentre essi sono stati eliminati in zone caratterizzate da insediamenti mafiosi, come a Lucera o a Rossano Calabro, sono stati salvati in altre, ove è presente lo stesso fenomeno. Si diceva che questo decreto legislativo avrebbe dovuto consentire risparmi di spesa per lo Stato, ma abbiamo i casi clamorosi di Chiavari, dove va chiuso il nuovo tribunale per il quale sono stati spesi 14 milioni di euro, e di Bassano del Grappa, dove pure va chiuso il tribunale per il quale sono stati spesi 12 milioni di euro più 8 milioni per la presidenza.

D. In tutto questo, però, continua a mancare la certezza del diritto e della pena. Cosa fa il Governo?

R. Questa non è colpa del Governo, ma dei tempi biblici della giustizia, anche se alcuni uffici giudiziari funzionano bene e in tempi rapidi ed altri male o malissimo, nonostante le medesime carenze di personale. A capo degli uffici giudiziari vengono nominati troppo spesso «scienziati» del diritto, mentre avremmo bisogno di manager e di buoni organizzatori. Il presidente di una Corte d’Appello non deve essere uno scienziato del diritto, ma un grande organizzatore. Nella magistratura vi sono persone adatte a svolgere questi compiti, ma si preferisce non tenerli in considerazione.

D. I problemi della giustizia non dipendono anche dagli avvocati?

R. Certo, sono quasi 260 mila, ed è ovvio che, più sono, più aumenta il contenzioso. Dobbiamo ridurre il numero degli avvocati, ma come? Non si può imporre il numero chiuso, perché vincoli comunitari non lo consentono. Allora dobbiamo intervenire sui corsi universitari, e l’idea del ministro della Giustizia Paola Severino è condivisibile: interveniamo sulla Facoltà di Giurisprudenza con un triennio per tutti, e un biennio, a numero programmato, riservato a chi desidera fare il magistrato, l’avvocato, l’avvocato dello Stato, il notaio. Potrebbe essere una soluzione; e bisogna rendere più severo l’esame di Stato, perché abbiamo troppi avvocati. Con un numero sempre crescente scade il livello qualitativo della professione e aumenta il contenzioso, perché molti avvocati ricorrono al giudice anche quando non è necessario.

D. Come rimediare al fatto che il malfunzionamento della giustizia civile scoraggia gli investimenti esteri?

R. Gli investitori stranieri si guardano dall’investire in Italia perché i tempi della giustizia civile sono talmente lunghi che gli conviene investire più nel Ghana che da noi. Occorre una riforma organica della giustizia, quindi più magistrati, più cancellieri, più personale amministrativo. Ma senza risorse finanziarie è un’illusione.

D. Cosa pensa di un’amnistia per contenere l’emergenza carceri?

R. Sono contrario. La situazione delle carceri è indegna di un Paese civile, ma l’amnistia non risolve il problema, e inoltre costituisce un’offesa alle parti civili. E fra dopo tre anni ci si ritrova con lo stesso numero di detenuti. C’è chi propone di rinviare nei loro Paesi gli extracomunitari detenuti, ma è un problema complesso perché in carcere finiscono gli extracomunitari irregolari. Quelli regolari hanno casa, lavoro, assistenza sociale, e si comportano come gli italiani. I clandestini, senza un lavoro regolare, non hanno tutto ciò, o chiedono l’elemosina ai semafori o vanno ad ingrossare i ranghi della criminalità comune e organizzata.

D. E quindi?

R. Il nostro sistema di ingresso ha maglie troppo larghe, in Italia entrano tutti. L’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi aveva stretto accordi con la Libia e con l’Albania, per cui il flusso proveniente da questi due Paesi si era notevolmente ridotto. Per contrastare le partenze per l’Italia dobbiamo concedere a tali Paesi contropartite soprattutto economiche, altrimenti hanno tutto l’interesse a lasciarli partire. Occorrono accordi bilaterali per far scontare nei Paesi d’origine le pene cui sono stati condannati in Italia. Un detenuto ci costa moltissimo, se otteniamo di fargli scontare la pena a casa sua, conseguiamo dei risparmi, ma occorrono risorse e volontà politica, che in questo momento non mi sembra che ci siano.

D. Quali sono i provvedimenti in esame alla Commissione Giustizia?

R. Ne abbiamo esaminati numerosi, basti pensare alle norme anticorruzione che ci hanno impegnato a lungo e che la Camera ha approvato definitivamente con il voto di fiducia. Si tratta di un testo equilibrato e condivisibile, nato da un disegno di legge del precedente Governo, presentato dall’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano. Recentemente modificato dalla Camera, è stato poi esaminato dalla Commissione Giustizia del Senato. Quando ci è arrivato, quelli che oggi lo criticano sostenevano che avremmo dovuto approvare il testo nella stessa formulazione della Camera, senza modificarne una virgola. Il che abbiamo fatto, tranne qualche modifica marginale e qualche miglioramento che nessuno ha criticato. Ma, tornato il provvedimento alla Camera, tutti si sono messi a criticarlo e a chiederne il cambiamento.

D. Per quale motivo?

R. Per nessun motivo. Prima sembrava che senza questa legge la corruzione sarebbe dilagata, si parlava di un costo di 60 miliardi di euro all’anno. Io ho sempre osservato che quel testo andava migliorato e approvato in tempi brevi, ma pensare che con questa legge di colpo la corruzione sarebbe scomparsa era illusorio. Purtroppo in Italia, per quante leggi possano vararsi, non si risolve il problema. Bisogna cominciare dalla famiglia, poi dalla scuola quindi dall’Università, perché la legalità deve essere inculcata ai giovani. In presenza di un così elevato tasso di illegalità non dobbiamo meravigliarci se esplodano fenomeni corruttivi. Una legge non li elimina per incanto; ad essere ottimisti la corruzione potrà ridursi, ma non scomparire.

D. Quali i temi affrontati e le novità del IV Salone della Giustizia dal 29 novembre all’1 dicembre?

R. Il Salone ha tre temi fondamentali: la giustizia, la legalità e la sicurezza. La giustizia chiama a raccolta i giuristi e il Ministero della Giustizia; la legalità coinvolge gli studenti e il Ministero dell'Istruzione; la sicurezza interna è vista nell'ottica delle Forze dell'ordine e del Ministero dell'Interno; quella internazionale, delle Forze armate e del Ministero della Difesa.

D. Che cosa è cambiato dal primo?

R. Intanto è migliorata la qualità delle presenze alla manifestazione, perché le due prime edizioni si svolgevano a Rimini, dove era scomodo arrivare da Roma. Raggiungere invece la Fiera di Roma è più facile, anche se l’area è molto lontana dal centro della città. I lavori saranno aperti dal ministro della Giustizia Paola Severino e conclusi dal ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri; parteciperanno i ministri della Salute Renato Balduzzi, delle Politiche agricole Mario Catania, dell’Istruzione Francesco Profumo, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà. Inoltre rappresentanti delle istituzioni, degli ordini professionali, dell'avvocatura, della magistratura, delle Forze dell'Ordine e delle Forze Armate, nonché il governatore dello Stato di Buenos Aires e i rappresentanti del Consiglio Superiore della Magistratura argentina.

D. A che si deve quest’ultima partecipazione?

R. All’interesse per il Salone e al loro proposito di realizzare un’analoga iniziativa a Buenos Aires. Questo a conferma del grande successo che sta suscitando anche all'estero il nostro Salone. 

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