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ISTITUTI DI PENA. MISURE ALTERNATIVE PER EVITARE IL SOVRAFFOLLAMENTO CARCERARIO

di COSIMO MARIA FERRI, componente del Consiglio Superiore della Magistratura

 

Il problema del sovraffollamento carcerario è dovuto a un concorso di ragioni quali: l’edilizia penitenziaria ormai vetusta; il notevole incremento della popolazione detenuta di origine extracomunitaria; la massiccia presenza di soggetti condannati per pene detentive brevi, anche di pochi mesi, per i quali il ricorso alle misure alternative è ostacolato da preclusioni normative. Il piano di edilizia penitenziaria recentemente presentato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (con un incremento di circa 17 mila posti) costituisce un buon punto di partenza ma non è in grado di risolvere il problema nell’immediato; dovrebbe andare a regime solo nel 2012, sempreché siano reperite le notevoli risorse finanziarie necessarie.
È quindi opportuno riflettere sul potenziamento del sistema delle misure alternative, riprendendo per esempio alcune proposte avanzate anche sul piano politico: quella del rafforzamento degli strumenti della detenzione domiciliare per le pene inferiori ai 2 anni (anche a mezzo di particolari forme di controllo quali il braccialetto elettronico), e quella dell’espulsione degli stranieri condannati per pene inferiori ai 2 anni disposta dal magistrato di sorveglianza ai sensi del decreto legislativo n. 286 del 1998.
Ancor più concretamente si potrebbero, a mio avviso, apportare alcune piccole modifiche all’ordinamento penitenziario tendenti a rimuovere alcune di quelle preclusioni normative che negli anni hanno reso più arduo il ricorso, da parte della magistratura di sorveglianza, all’applicazione di misure alternative idonee a garantire un adeguato contenimento della pericolosità sociale del condannato. È il caso della detenzione domiciliare, che consente ai condannati per pene inferiori ai 2 anni di scontarle presso il proprio domicilio.
Rispetto a questa misura, infatti, mentre appare giustificata, in ragione del maggior tasso di pericolosità sociale, la preclusione per quanti siano stati condannati per delitti quali ad esempio mafia, omicidio, spaccio di ingenti quantità di stupefacenti, rapina aggravata, violenza sessuale ed altri, non pare invece ineliminabile la preclusione in forza della recidiva reiterata. Tale divieto, infatti, non sempre è giustificato da un’effettiva pericolosità sociale del condannato.
In altri termini: se un recidivo reiterato, condannato per violenza sessuale o rapina aggravata, si può ritenere portatore di un grado di pericolosità sociale tanto elevato da non poter essere contenuto neanche con una detenzione domiciliare, difficilmente si può pensare che anche un ricettatore, un truffatore o un contrabbandiere, recidivi reiterati, siano portatori di una pericolosità sociale tale da non poterla contenere con una detenzione domiciliare.
Invece, in concreto, accade che per molte condanne, anche per pene brevi inferiori ai 3 anni e per reati di modesto allarme sociale, per il solo fatto che sia stata applicata la recidiva reiterata (ex art. 99 comma 4 del codice penale), non operi il meccanismo di sospensione dell’ordine di carcerazione da parte del Pubblico Ministero. In tali casi il condannato viene tradotto in carcere anche per scontare condanne di pochi mesi, e non può neanche beneficiare della detenzione domiciliare quale forma di esecuzione alternativa della pena.
Si potrebbe inoltre potenziare l’effetto deterrente della detenzione domiciliare facilitando il ricorso a più stringenti forme di controllo a distanza. Si tratta, invero, di una possibilità già prevista, ma nella prassi operativa dei vari tribunali di sorveglianza avviene di rado che siano applicate forme di controllo del detenuto domiciliare, anche per la ragione che tali strumenti di controllo non sono, all’atto pratico, disponibili in numero adeguato presso le forze dell’ordine. Si potrebbero istituire reparti o sezioni speciali della polizia penitenziaria dedicati al controllo dei condannati in esecuzione di misure alternative alla detenzione (sul modello statunitense del «poliziotto di sorveglianza» assegnato al detenuto ammesso alla libertà vigilata, del quale controlla i movimenti).
Quanto alla presenza di extracomunitari nell’ambito della popolazione detenuta, potrebbe essere potenziato lo strumento dell’espulsione quale sanzione alternativa applicabile da parte del magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 16 comma 5 del decreto legislativo n. 286 del 1998. Così come è oggi strutturato, questo strumento perde ogni effetto deflattivo perché non riesce a superare alcuni problemi applicativi: la difficoltosa identificazione certa dello straniero e del Paese di provenienza; il lungo lasso di tempo che passa prima che venga eseguito il decreto di espulsione, spesso tale da sopraggiungere nel momento in cui lo straniero abbia terminato di espiare la pena. Andrebbero snellite e accelerate le procedure esecutive dell’espulsione con particolare riguardo alle fasi di identificazione e di accompagnamento del detenuto alla frontiera da parte delle Questure competenti.
In ogni caso, la ricerca di soluzioni in merito a questo delicato tema non può prescindere dalla ripresa del dialogo con gli operatori chiamati ad applicare concretamente le norme, in un clima di costruttiva collaborazione che potrebbe essere favorita, credo, dall’istituzione di forme permanenti di consultazione, consentendo l’indispensabile apporto tecnico alla politica cui è demandata la responsabilità della sintesi legislativa.

Tags: codice penale diritto penale amministrazione penitenziaria Cosimo Maria Ferri magistratura Febbraio 2010 carceri

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