Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

AZIENDA ITALIA, ANDREA MINAZZI SUL PIANO PER L'EXPORT DEL GOVERNO

In merito alla recente presentazione del piano per l’export del Governo, il segretario generale di Azienda Italia Andrea Minazzi, interrogato al riguardo, ha espresso il pensiero dell’associazione: “Dalle premesse, le intenzioni sono buone ma è il sistema per raggiungere l’obiettivo che è sbagliato, in quanto il ministro Di Maio parla di una fine dell’emergenza sanitaria e questo purtroppo non è ancora vero. Senz’altro quest’ultima è strettamente collegata al vero problema generato dal Covid-19, ossia l’emergenza socio-economica: oggi ancora non ne vediamo gli effetti ma ci sono delle braci accese sotto una polveriera che esploderà a settembre-ottobre. Un fatto questo ormai acquisito, che tutti gli studi di settore danno per assodato: 500 mila posti di lavoro già persi, un milione e mezzo di posti a rischio reale, e il problema è che questi lavoratori cercheranno del lavoro che non c’è più”.

Per Minazzi il marchio dell’eccellenza italiana non va rinnovato ma confermato: “Dobbiamo specificare cosa vogliamo rinnovare in termini di marchio, prima di parlare di Made in Italy e rebranding e di usare delle parole che pochi imprenditori conoscono, poiché bisogna ricordare che ci confrontiamo con un sistema imprenditoriale eccellente, valido, pieno di innovazione e risorse ma ancora un sistema nato negli anni Cinquanta e Sessanta. L’Italia non ha bisogno di un rinnovo di immagine del Made in Italy: piuttosto ha bisogno di un’affermazione: un brand positioning, un posizionamento del marchio Made in Italy su un’altra fascia, come riuscito ai produttori di vino italiano negli ultimi 20 anni”. Figure come il temporary export manager lasciano il tempo che trovano: “L’imprenditore italiano in generale è maestro di export: non abbiamo bisogno del temporary export manager perché siamo noi stessi responsabili dell’internazionalizzazione delle aziende, noi imprenditori e manager operativi nei settori ormai espressione delle eccellenze italiane, qualsiasi esse siano. Non abbiamo bisogno di e-commerce, perché concetto già assodato: noi tutti stiamo lavorando in quella direzione”. E ancora: “Chiaramente più di un miliardo di euro di aiuti è una cifra enorme, che però mal destinata rischia di diventare una promozione dell’immagine di un governo o di una fascia politica, e che a nulla serve alle imprese anche perché l’accessibilità ai fondi è come al solito legata a meccanismi estremamente complicati e poco verificabili”.

Andrea Minazzi acutamente osserva che “prima di parlare di export bisogna parlare di re-import: riportiamo le produzioni italiane in Italia. È qui che si origina l’export, dalle produzioni che sono state delocalizzate perché l’ambiente Italia non è enterprise-friendly. Queste produzioni vanno riportate in Italia con politiche di investimento, di infrastrutture, di rivalutazione dei distretti industriali. Quello che sull’export posso dire al Governo, e lo direi a qualsiasi Governo, è di lasciar fare a noi, ne siamo capaci: è inutile parlare con più di 20 associazioni di categoria con necessità tutte diverse difficilmente coniugabili con un provvedimento di questo tipo”.

Cosa propone quindi Azienda Italia? “Abbiamo un programma per l’export che, subordinato al rientro delle produzioni, aiuta l’impresa con una forma di credito fiscale per i prodotti 100% Made in Italy che rispettano una logica di filiera: produco in Italia, lego il mio prodotto a una filiera interamente italiana e, come da oltre vent’anni avviene in altri Paesi europei, lo Stato mi aiuta con un credito di imposta, anche differenziato per categorie: moda, agroalimentare, materiali edili, tecnologie… quei prodotti fondamentali per il funzionamento del sistema industriale. Inoltre, per ragionare di export, bisogna prevedere un programma che disincentivi l’importazione di determinati prodotti, non da un punto di vista punitivo ma di regolamentazione: se esportatori stranieri vogliono ‘occupare’ il mercato italiano possono farlo ma, come già accade all’estero, purché nei loro paesi di produzione rispettino le condizioni imposte ai produttori italiani: normative ambientali, sul lavoro e via dicendo. A quel punto si è certi di importare un prodotto certificato da un istituto italiano, come l’NF francese (norme française) che assicura 20 mila posti di lavoro in Francia: non disincentivo nessuno, anzi, incentivo tutti incluso il rispetto delle regole, ponendo fine alla concorrenza sleale dell’estremo Oriente che non rispetta le nostre stesse norme. In questo modo il prodotto di bassa qualità a basso costo avrà vita difficile sul mercato italiano”.

 

Tags: made in italy credito eCommerce export Giugno 2020 MAECI - MINISTERO AFFARI ESTERI COOPERAZIONE INTERNAZIONALE Azienda Italia

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa