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imprese giunte sull’orlo del fallimento: come favorirne la «ripartenza»

di LUCIO GHIA

Il trittico, in realtà tre bozzetti, da me dedicato alla nuova legislazione concorsuale italiana in progressiva formazione dal 2005 si conclude con una riflessione sull’ultimo «quadro» dedicato al debitore civile, all’imprenditore «sotto soglia», al consumatore, alla famiglia sovraindebitata. Nello Specchio Economico di dicembre 2012 ho offerto una rappresentazione dei modelli concorsuali che ci provengono dall’esperienza e dalle «best practices» statunitensi; nel numero di gennaio 2013 ho sottolineato l’importanza delle nuove procedure, e dei procedimenti di ristrutturazione che il legislatore ha offerto alle imprese per uscire da fasi critiche e sottrarsi a prospettive d’insolvenza irreversibile, sottolineate dalle oltre 35 dichiarazioni di fallimento al giorno. Gli imprenditori che giungono al suicidio perché non riescono a far fronte alle obbligazioni assunte, provano che siamo in un periodo estremamente critico e recessivo per l’economia. In tempi come questi, gli strumenti a disposizione del grande debitore e ancor più del piccolo sono elementi di valutazione preziosa per migliorare le sorti di debitori individuali e di imprese in difficoltà, per individuare legittime vie d’uscita dalla crisi e salvare il proprio futuro e l’impresa. Abbiamo esaminato, sia pure senza pretese di esaustività, le innovazioni introdotte dal legislatore dal 2005 in poi, quasi prevedendo le difficoltà in cui si sarebbero trovate le imprese italiane, ponendo a disposizione dei debitori numerosi strumenti per uscire dalla crisi, per far sì che il fallimento non sia necessariamente dietro l’angolo e che l’impresa in difficoltà possa alleggerirsi di parte dei debiti diluendoli nel tempo, o proponendo un pagamento parziale ai creditori, ovvero offrendo agli stessi la partecipazione all’impresa e «ripartire». Al riguardo, non appare più condivisibile l’osservazione di taluni studiosi americani, che vedono nel fallimento delle imprese indebitate una liberatoria «distruzione creativa», come l’incendio nella foresta. Gli alberi sopravvissuti cresceranno più forti; ma quando l’incendio divampa così violentemente e investe la gran parte dei settori produttivi, se non si pone mano a interventi concreti di contenimento e superamento della crisi, si rischia di distruggere quell’indispensabile tessuto connettivo fatto di finanza, servizi, istituzioni, fornitori e clienti, senza i quali è difficile «ripartire». Si procede, allora, in una drammatica spirale che abbiamo già visto affiorare in strutture industriali anche più rilevanti delle nostre: fallimenti, disoccupazione, chiusura di fabbriche, minori entrate fiscali, abbassamento della qualità della vita. Ecco perché le misure messe a punto dal Governo già con la legge n. 3 del 27 gennaio 2012 e di recente integrate con l’ultimo «decreto Sviluppo» sono estremamente significative. Ammonisce l’esperienza americana: «Non è drammatico cadere, ma è importante quanto tempo impieghi per rimetterti in piedi». Questa pragmatica constatazione è tanto più calzante e realistica se pensiamo alle difficoltà in cui si dibattevano, prima della disciplina in esame, il piccolo imprenditore, la famiglia e il consumatore indebitato: fino a un anno fa, dopo la riforma della legge fallimentare, erano da considerare come cittadini «dimezzati», per dirla con Italo Calvino. Infatti il debitore sopra la soglia prevista dall’articolo 1 della nuova disciplina della Legge fallimentare, ovvero con debiti non ancora scaduti per 500 mila euro, assets patrimoniali e investimenti per 200 mila euro e 300 mila euro di incassi medi nell’ultimo triennio, potevano ottenere, dopo la liquidazione fallimentare, l’eliminazione dei debiti non pagati, ovvero l’«esdebitazione». I debitori piccoli o «sotto soglia» non avevano la possibilità di accedere alle procedure concorsuali: erano sottoposti all’azione esecutiva individuale, al pignoramento dei beni, alla vendita all’asta giudiziaria. Il ricavato veniva distribuito tra i creditori i quali per la parte rimasta impagata potevano continuare a «perseguire» il loro debitore, fino all’integrale soddisfacimento dei crediti. Questa discrasia, che presentava anche profili di grave incostituzionalità per la disparità di trattamento riservata dalla legge alla categoria dei debitori «sotto soglia», proprio sotto il profilo «esdebitatorio», ovvero della liberazione dai debiti residui, è stata colmata dalla legge del 27 gennaio 2012 n. 3, così come rivista e migliorata con gli innesti inseriti nel «decreto Sviluppo». Vediamo ora quale sia la definizione, che la legge fornisce, di famiglie, imprenditore e consumatore sovraindebitati. L’articolo 6 descrive il sovraindebitamento assoggettabile alle vigenti procedure concorsuali come una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte; e nella definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni, ovvero nella tradizionale definizione dell’insolvenza. La soluzione sistematica si rivela, pertanto, flessibile ed ampia includendo situazioni di crisi anche prospettiche e non solo già acclarate, o peggio irreversibili. Fatta questa premessa, ritengo che l’approfondimento delle possibilità offerte per risolvere questi gravi problemi debitori costituisce un’occasione da non perdere per dare un contributo in termini di conoscenza, fornire speranze ai debitori di superare periodi critici, guardare al futuro proprio e della propria famiglia con maggiore ottimismo. Chi si trovi in una situazione che rientri nei parametri sovra descritti può proporre un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano che assicuri: a) il regolare pagamento dei creditori estranei dell’accordo stesso; b) l’integrale pagamento dei titolari di crediti privilegiati ai quali gli stessi non abbiano rinunciato neppure parzialmente; la legge disegna una soluzione basata sul negoziato e sull’accordo tra il debitore e la maggior parte dei suoi creditori; c) almeno il 60 per cento dei creditori dovrà accettare il piano, che sarà omologato dal Tribunale. Un’ulteriore novità il legislatore ha introdotto, sulla scorta di esperienze anche più antiche in Paesi anglosassoni: la previsione di un organismo specifico creato per il superamento della crisi da sovraindebitamento. Viene introdotto nel nostro sistema concorsuale una sorta di «London approach» quale entità terza che deve accompagnare, consigliare e coadiuvare il debitore nell’attuare il piano e l’accordo con i creditori. Questo compito, in attesa che la materia venga regolamentata dal Ministero della Giustizia e vengano forniti gli elenchi degli organismi deputati a tale attività, è stato dalla legge demandato a professionisti, prevalentemente notai ed avvocati. Il loro compenso sarà particolarmente contenuto per non aggravare la crisi del debitore. In questa prima fase il legislatore ha così posto in risalto sia il particolare valore aggiunto tecnico e professionale, sia il più generale obbligo di solidarietà sociale ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, che caratterizza tale attività. Ma come si inizia un procedimento del genere? Il debitore che si trova nelle condizioni previste dalla legge può presentare un accordo di ristrutturazione e un piano per il superamento della crisi al Tribunale competente; questo nominerà un giudice delegato che fisserà un’udienza in contraddittorio tra debitore e creditori; se il piano sarà approvato dalla maggioranza del 60 per cento dei creditori, il giudice omologherà l’accordo. Ma con la presentazione dell’accordo e del piano in Tribunale il debitore potrà chiedere un provvedimento inibitorio per i creditori di procedere ad atti esecutivi sui suoi beni, per 120 giorni. In questo periodo nessun creditore potrà agire esecutivamente nei confronti del debitore, né potranno essere eseguite ipoteche, pegni, pignoramenti. La sua situazione patrimoniale resterà congelata, per non depauperare il residuo patrimonio che egli mette a disposizione dei creditori e rispettare la loro par condicio. Se viene raggiunta la maggioranza prevista per legge, il piano di composizione della crisi verrà attuato nei tempi e alle condizioni approvate. Anche i creditori estranei all’accordo potranno essere pagati, se il piano lo prevede, con un anno di moratoria. Questa disposizione potrebbe sollevare qualche dubbio di costituzionalità. L’organismo della composizione della crisi prescelto dal debitore dovrà vigilare sull’esecuzione del piano e dell’accordo. Nel caso in cui questo non venisse rispettato o si manifestassero comportamenti fraudolenti del debitore, esso sarà revocato o annullato. Questa sintetica rappresentazione del nuovo istituto giuridico che il legislatore ha inteso offrire al debitore per consentirgli di superare la propria crisi, va guardato con favore, perché si tratta di strumenti che possono fornire effettivamente una spinta verso il raggiungimento di traguardi che ordinamenti concorrenti hanno da tempo già conseguito. La crisi economica e finanziaria del debitore viene considerata dalla legge e da creditori e debitori non come il risultato di comportamenti illegittimi, ma come l’esito negativo di una fase ciclica che fa parte della vita dell’impresa, come di ciascuno di noi. Agire preventivamente per il superamento delle crisi significa non aggravarla e non renderla irreversibile. Porre più strumenti a disposizione dei più deboli, dei meno informati, dei più esposti ai problemi finanziari significa aumentare il livello di civiltà giuridica del Paese; penso a coloro che non riescono a pagare le rate del mutuo, le carte di debito, le rate di rimborso dei prestiti al consumo, ai protagonisti di piccoli dissesti. L’iniziativa legislativa in esame, quindi, è lodevole, ma potrebbe non dare i risultati sperati. Cosa non funziona? Possiamo imparare da altre legislazioni. In primis il tempo necessario per uscire dalla crisi. Oggi, con la normativa vigente, questi piccoli concordati producono l’effetto della liberazione dei debiti solo nel momento in cui vengono compiutamente eseguiti. Se per eseguirli occorrono anni, il debitore resterà segnato da un’etichetta di inaffidabilità che difficilmente lo restituirà alla pienezza di iniziative lavorative ed economiche. Il «new fresh start» americano non si realizzerà e più tempo passa, più è difficile che si realizzi. Questo può costituire un ostacolo alla tempistica emersione dallo stato di crisi. Vedrei bene una risposta normativa coraggiosa e anticipatoria: ad esempio, all’omologazione del piano consegue da parte del Tribunale l’esdebitazione, ovvero la liberazione dai debiti che non saranno pagati. Dopo l’accordo e l’omologazione si aprirà una fase liquidatoria ed esecutiva che andrà controllata dall’organismo di composizione della crisi; mentre in caso di comportamenti scorretti o di gravi inadempimenti del debitore l’esdebitazione potrà essere sempre revocata dal Tribunale. Riterrei opportuno inoltre, specie per le famiglie sovraindebitate e il consumatore ma anche per l’imprenditore sotto soglia, condizionare l’esdebitazione al compimento di corsi di educazione economica e finanziaria, come l’esperienza anglosassone e statunitense insegna. Non comprendo inoltre perché, una volta costituito, ideato, e accettato il funzionamento degli organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento, non si possa considerare questo organismo responsabile anche della fase che oggi la norma affida al Tribunale. Non si comprende, ad esempio, perché sia necessaria un’udienza della quale debbano essere avvisati tutti i creditori, con immaginabili difficoltà per chi non abbia un’amministrazione e una contabilità adeguata; penso alle famiglie sovraindebitate e al consumatore, né comprendo perché non si possa affidare all’organismo stesso la pienezza dei rapporti con i creditori, la stessa fase di formazione della maggioranza e l’approvazione del piano. Manca una cornice di fondo che tuteli la necessità del debitore di non risultare discriminato rispetto a quella di reperire mezzi finanziari proprio per dar vita a nuove iniziative. Fin quando non vi saranno, in seguito a tali misure legislative, soggetti competitivi dotati di cultura specifica e necessaria per favorire le «ripartenze» o il «new fresh start», avremo buoni propositi legislativi ma anche strumenti zoppicanti che non rappresenteranno la soluzione definitiva e globale, efficace e stimolante per il debitore, la sua famiglia, i creditori e i terzi. 

Tags: Febbraio 2013 famiglie consumatori imprese Lucio Ghia imprenditoria fallimento

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