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PIETRO ANTONIO MIGLIACCIO: SCIENZA E MODE NELL’ALIMENTAZIONE UMANA

Il prof. Pietro Antonio Migliaccio, Presidente  della Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione

a cura di
ANNA MARIA BRANCA

Docente in Scienza dell’Alimentazione, medico nutrizionista, dietologo, specialista in Gastroenterologia ed esperto in Auxologia, il prof. Pietro Antonio Migliaccio non avrebbe immaginato, quando si laureò a Roma in Medicina e Chirurgia negli anni 50, di dover svolgere la propria carriera e attività prima in un mondo di «maggiorate» fisiche, apprezzate nel cinema e nella vita di tutti i giorni, poi via via un altro di semi-anoressiche, non meno desiderate non solo nell’alta moda ma in famiglia, in ufficio, in fabbrica, alla cassa, al mare, in città.
Per oltre 25 anni ricercatore dell’Istituto Nazionale della Nutrizione, oggi Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, ha visto le quotazioni proprie e della propria categoria aumentare parallelamente ai bisogni di una nuova società sempre più desiderosa e alla ricerca di praticità, rapidità, efficienza fisica. Presidente della Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione, componente di vari organismi specializzati, è autore di varie pubblicazioni scientifiche in materia, tra le quali il «Manuale di nutrizione umana tra presente e futuro», giunto alla tredicesima edizione. Ha svolto e continua a svolgere anche una utilissima e richiestissima opera di divulgazione dei problemi alimentari anche in tv.
Domanda. In questi ultimi anni è cambiato il modo di nutrirsi degli italiani?
Risposta. L’alimentazione della popolazione italiana non è radicalmente cambiata negli ultimi decenni. Il modello della dieta mediterranea si è mantenuto nelle abitudini della stragrande maggioranza degli italiani. Tuttavia, si è verificato un aumento delle disponibilità e del consumo di alimenti e una riduzione del dispendio energetico che ha determinato un incremento graduale degli individui in sovrappeso ed obesi. L’Istat ci informa che il 9 per cento degli italiani è obeso. Tuttavia, rispetto alla situazione mondiale siamo tra i Paesi con minor incidenza di sovrappeso ed obesità. Infatti le ricerche statistiche riportano dati allarmanti in vari paesi del mondo: il 31 per cento della popolazione degli Usa è obesa così come il 23 per cento degli individui in Gran Bretagna. Anche in Messico il 24 per cento della popolazione è obesa. Anche l’obesità infantile è aumentata negli ultimi decenni: in Italia un bambino su tre, tra i sei e gli undici anni, ha un peso eccessivo rispetto alla propria statura, e circa il 12 per cento dei bambini è obeso. Dunque il problema sovrappeso-obesità ci deve spronare a un intervento di politica alimentare rivolto al miglioramento dello stato di nutrizione e di salute. Al riguardo è importante diffondere i principi della nostra Dieta Mediterranea che, tra l’altro, il 17 novembre 2010 è stata proclamata dall’Unesco bene immateriale e culturale dell’umanità; la sua qualità è ottima, il problema sono le «quantità»: ossia, diciamo sì alla pasta all’amatriciana e alla pizza napoletana ma insegniamo a tutti a mangiare in modo corretto e nelle giuste dosi.
D. Cosa è cambiato in particolare?
R. Ricorriamo molto più di un tempo al self service. Non si torna più a pranzo a casa, mediamente si consumano 5 o 6 pasti alla settimana fuori e l’assenza di una corretta educazione alimentare può favorire l’aumento del peso corporeo. Spesso si ritiene di aver mangiato poco, mentre un panino fornisce dalle 300 alle 400 calorie, quasi come un pasto; o anche si può fare l’errore di mangiare in modo smisurato. I bambini, rispetto al passato, consumano spesso il pranzo nelle refezioni scolastiche; i menù delle scuole sono controllati da commissioni formate da nutrizionisti e dietisti, tuttavia è sempre opportuna un’interazione tra i genitori e la mensa per informare i primi sui pasti somministrati e le quantità realmente consumate.  
D. Quindi l’alimentazione dei bambini è corretta?
R. Solo in teoria, in pratica i genitori si devono informare su ciò che consumano i figli e nel pasto successivo compensare con quei nutrienti essenziali che non sono stati assunti. La Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione sta combattendo l’abitudine al consumo delle bevande zuccherine, specialmente nei soggetti in età evolutiva. Queste bevande talvolta hanno etichette ingannevoli sulle quali è riportata la dicitura «senza zuccheri aggiunti», eppure apportano comunque gli zuccheri naturalmente presenti nella frutta, se presente, e le relative calorie. Una lattina di bevanda zuccherina da 330 millilitri contiene mediamente 34-35 grammi di zuccheri semplici, che vengono facilmente assorbiti. Il loro consumo quotidiano aumenta il rischio di sovrappeso ed obesità e, attraverso specifici meccanismi biologici, può indurre una resistenza insulinica con conseguenze metaboliche anche importanti, come l’insorgenza del diabete.
D. Come possono, i genitori, combattere potentissime multinazionali produttrici di bibite gassate o zuccherate?
R. Personalmente mi sono impegnato in questa battaglia, sperando quanto meno in una tassazione, che non avrebbe lo scopo di arricchire le casse dello Stato ma di ridurre il consumo di questi prodotti. Inoltre abbiamo invitato le industrie a ridurre la quantità di zuccheri semplici presenti nelle bevande. Se si scende dall’11 al 7 per cento la bibita sarà ugualmente gradevole. Va attuata anche una campagna di educazione alimentare diretta ai genitori, per contrastare il consumo di queste bevande. Un’altra iniziativa è quella di impedire la moltiplicazione dei distributori automatici.
D. La diminuzione dei consumi non ridurrebbe gli introiti dello Stato proprio in un momento di gravi difficoltà delle finanze pubbliche?
R. Sì, ma bisogna anche calcolare quanto costano allo Stato, sotto forma di spesa sanitaria, la malnutrizione, l’obesità, il sovrappeso e, in prospettiva, patologie come il diabete, l’ictus, le dislipidemie, le protesi dell’anca e del ginocchio, queste ultime dovute al sovrappeso che gli arti devono sopportare. Molti necessitano di dimagrire per effettuare un intervento di protesi all’anca o alle ginocchia; dopo un dimagrimento di 15 chilogrammi, spesso non ne hanno più bisogno, e comunque, in caso di intervento, la riabilitazione è più rapida e le spese minori. Non dobbiamo pensare solo al presente ma avere una visione prospettica.
D. È possibile attuare la prevenzione nella difficile situazione in cui versa attualmente la sanità?
R. Ritengo possibile un’azione di prevenzione delle malattie collegate alla nutrizione anche in situazioni di difficoltà economica quali sono quelle del Paese e della sanità. I fenomeni sono legati tra loro, ma il «mangiare bene» è fondamentale, soprattutto in un periodo di crisi economica nel quale le disponibilità finanziarie sono ridotte e molte famiglie non possono puntare tanto alla qualità. Ma questo è vero in parte; se il consumatore conoscesse i principi della scienza dell’alimentazione potrebbe fare delle scelte corrette e poco costose; e se nell’alimentazione osservassimo l’etica, cioè se introducessimo la giusta quantità di calorie con il giusto apporto tra i vari nutrienti ed i corretti rapporti fra di loro, avremmo un minor numero di obesi e di soggetti in sovrappeso, e si ridurrebbe il ricorso ai farmaci con un conseguente risparmio della spesa pubblica sanitaria. Inoltre se le indicazioni nutrizionali fossero chiaramente esposte e le pubblicità meno incalzanti, si venderebbero meno prodotti alimentari ma le scelte sarebbero più oculate.
D. Ne farebbero le spese le case farmaceutiche?
R. Sì, ma esse potrebbero dedicare risorse, studi e ricerche ad altre patologie, e ne guadagneremmo tutti. Un’alimentazione corretta riduce l’incidenza di molte malattie; una dieta mirata può e deve anche essere utilizzata di più per curare le malattie.
D. Come avere la certezza che i prodotti in commercio siano sani?
R. In Italia sono tali e tanti i controlli che possiamo stare tranquilli. Ciò non toglie che siano sempre possibili le truffe e purtroppo avvengono. Per la conoscenza del prodotto che desideriamo consumare esiste l’etichetta dove è indicato tutto ciò che riguarda l’alimento. In particolare nell’etichetta nutrizionale veniamo a conoscenza dei quantitativi di proteine, carboidrati, grassi e delle calorie contenuti in 100 grammi di prodotto. Le indicazioni sono precise e semplici. Ma se aggiungiamo all’etichetta sodio, potassio, vitamine e sali minerali, l’interpretazione è più difficile.
D. Come dovrebbe essere l’etichetta?
R. Io sono per l’etichetta semplice, comprensibile, scritta a caratteri grandi, con poche notizie ma chiare ed essenziali. Ma questo non dipende dai nutrizionisti, noi possiamo solo avanzare proposte. Tuttavia i medici e i nutrizionisti hanno la responsabilità nella formulazione di diete corrette ed equilibrate ed il compito di spiegare l'interpretazione delle etichette nutrizionali, specialmente alle categorie interessate a particolari patologie. 15 anni fa ho scritto un articolo dal titolo «La dieta, una questione anche morale», rivolgendomi ai medici e non ai pazienti. Anche la FeSIN, Federazione che riunisce sei società italiane di nutrizione, della quale faccio parte, ha diffuso un decalogo di regole da seguire per la terapia dell’obesità.
D. Ne ha parlato anche in televisione?
R. Lo spazio che la televisione mi concede mi consente di illustrare i nostri problemi, di dare indicazioni, di diffondere i principi di una corretta alimentazione, educando e dando voce alle varie società di nutrizione per diffondere la scienza dell’alimentazione. Molte malattie possono essere curate esclusivamente con una dieta corretta ed equilibrata specifica; in altri casi la dietoterapia permette di ridurre l’assunzione di specifici farmaci. Molte trasmissioni tv, invece, diffondono ricette ipercaloriche senza spiegare che possono praticarsi sporadicamente, che non possono essere utilizzate da tutti, e che non è il modo corretto di mangiare quotidianamente.
D. Vi interessano anche le condizioni ambientali?
R. Dovremmo impegnarci anche nella salvaguardia dell’ambiente perché esiste un rapporto tra alimentazione, inquinamento e riscaldamento del pianeta; la dieta mediterranea ha un basso impatto sull’ambiente e rispetto alle altre diete produce un effetto serra inferiore del 50 per cento. Ciò perché contiene meno proteine di origine animale. Infatti, il gas serra aumenta in relazione all’incremento degli allevamenti, soprattutto di bovini.
D. Il dietologo e il nutrizionista in passato non esistevano; perché ora sono così conosciuti?
R. Perché oggi siamo a conoscenza dell’importanza che ha l’alimentazione per la salute dell’uomo. Per questo effettuiamo studi nell’ambito della nutrizione umana da sempre e continuiamo a farlo. Abbiamo subito un ridimensionamento delle possibilità di ricerca con il passaggio dell’Inran, l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, al Cra, che è una struttura del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali; speriamo che possa mantenere quelle che erano le sue prerogative istituzionali. L’Inran oltre a svolgere attività di ricerca nutrizionale si è sempre adoperato a svolgere campagne di educazione alimentare rivolte sia ai medici che ai cittadini. Tuttavia un problema attuale consiste nell’ «addestramento» degli insegnanti. L’esame di Scienza dell’alimentazione non è obbligatorio in tutte le facoltà e nella specializzazione sono disponibili per ogni università solamente 14-15 posti. Nelle facoltà, che portano all’insegnamento scientifico, l’alimentazione non è al primo posto e non è previsto un esame per accertare la capacità di chi dovrà insegnare questa materia. Non è un problema semplice.
D. Che cosa avviene all’estero nei riguardi della Dieta Mediterranea?
R. L’Istituto Italiano di Cultura ha organizzato a New York delle conferenze nella sede dell’istituto stesso, in una scuola italo-americana e a Standford, nel Connecticut. La stessa cosa è stata fatta a Dublino e a Madrid, nonché a Buenos Aires e Rio de Janeiro. Dovunque ho sentito il desiderio da parte dei presenti di conoscere la nostra dieta; al termine delle conferenze mi sono state poste infinite domande non soltanto sulla dieta mediterranea ma anche sui prodotti italiani che vengono considerati, giustamente a mio avviso, un’eccellenza. Nella scuola italo-americana un giovane mi ha domandato se la dieta priva di glutine fa dimagrire: è una falsa credenza che si è andata diffondendo nei giovani sia negli Usa che in Italia. Ciò è dovuto al fatto che in tv e nelle radio vengono spesso invitate e interpellate persone non esperte nel campo della nutrizione, ma perché sono «macchiette» che fanno audience e che purtroppo diffondono notizie prive di basi scientifiche. Inoltre chi ascolta è più portato a dar retta alla magia piuttosto che alla realtà scientifica. La stampa, la tv, tutti i mezzi di comunicazione dovrebbero scegliere con molta attenzione le persone da invitare per comunicare in un campo scientifico così difficile come la nutrizione e così dovrebbe essere in tutte le nazioni. In realtà dagli Usa, dalla Francia e da altre nazioni giungono in Italia non insegnamenti per mangiare meglio e stare meglio ma diete dimagranti senza nessuna validazione scientifica, come se già non bastassero le nostre.  
D. Qual è  la differenza tra dietologo e nutrizionista?
R. C’è molta confusione in questo ambito. In relazione a quanto proposto dalla FeSIN in un glossario di Alimentazione e Nutrizione Umana il dietologo è un medico specialista in scienza dell’alimentazione o specialista in branca equipollente ma con documentata esperienza, che opera nella dietetica e nella dietoterapia. Invece, il nutrizionista è un laureato con diversa formazione culturale che, grazie a percorsi formativi specifici e riconosciuti, acquisisce competenze nel campo della nutrizione umana. Dunque il nutrizionista, se non è medico, non può prescrivere analisi del sangue o misurare la pressione e può elaborare diete per individui in sovrappeso o obesi che non abbiano particolari malattie. In quest’ultimo caso sarà il medico a fare la diagnosi della malattia e a prescrivere il tipo di dieta che potrà essere elaborata anche dal nutrizionista.
D. La donna di moda oggi è molto magra, quasi anoressica. Come combattere questa mania?
R. In tanti anni di professione non ho mai sentito un uomo dire ad una donna «Quanto mi piacciono le tue ossa piccole e fragili». Per l’uomo la donna dovrebbe essere ben fatta, con un bel seno per allattare e un bel bacino per procreare. Sino a poco tempo fa la donna e le sue forme erano indice di bellezza e femminilità. Invece attualmente il modello proposto dai mass media è cambiato, prevale l’estetica della magrezza assoluta, con il pericolo per queste donne di mancare di femminilità e di libido, ed inoltre di soffrire di osteoporosi e di andare incontro all’infertilità. Un modello sbagliato del quale sono responsabili il cinema, gli alti guadagni e la fama delle modelle che vengono imitate, gli stilisti. Nell’anoressia cosiddetta mentale le cause sono costituite spesso da problemi di ordine psichico.
D. L’obesità non ha cause analoghe?
R. L’anoressia non c’è nelle aree in cui vi è carenza di cibo ma nelle società ricche e opulente; l’obesità è in tutto il mondo, e nei Paesi poveri vi sono molti obesi nelle classi ricche. Quindi le cause di questi due aspetti opposti della malnutrizione sono riconducibili a motivazioni differenti. L’obesità è dovuta principalmente a una riduzione del dispendio energetico e a un aumento delle disponibilità e dei consumi alimentari; automobili, ascensori, telefoni sono tutti mezzi che riducono la spesa giornaliera di energia.
D. Che tipo di alimentazione consiglia per arrivare a 100 anni in buona salute?
R. Consiglio la dieta mediterranea che, nella sua concezione dinamica e non statica, comprende non solo cereali, olio extravergine di oliva, frutta e verdura, pesce e carni bianche, ma anche nuovi alimenti derivati dalla ricerca nutrizionale e dall’industria, prodotti che forniscono nutrienti utili e spesso indispensabili. In Italia abbiamo una carenza di iodio che è alla base, spesso di tireopatie o dell’ipotiroidismo; quindi attraverso un intervento di fortificazione alimentare, si è messo a disposizione il sale iodato per tutta la popolazione. Ricordo poi i prebiotici e probiotici, come yogurt e latti fermentati che contengono micronutrienti ed altre molecole in grado di migliorare lo stato di salute.
D. Quali sono i cibi fondamentali?
R. Carne, pesce, uova, formaggi, olio extravergine di oliva e prodotti di origine vegetale quali pane, pasta, legumi, frutta e verdura. Si devono preferire i piatti unici che con l’aggiunta di frutta e verdura, contengono tutti i nutrienti necessari all’organismo; va limitato il consumo dell’alcol e quando si è abituati a consumare bevande alcoliche è meglio farlo durante i pasti e preferire quelle a bassa gradazione alcolica come il vino o la birra. I dolci vanno consumati in modeste quantità.
D. Cosa ci riserva il futuro?
R. Alimenti più sicuri dal punto di vista biologico, con il giusto apporto di nutrienti, ma che offrano le giuste gratificazioni. Quello che spero è che il futuro non ci riservi la nutrizione in compresse o a base di barrette sostitutive, perché alterano il metabolismo e la secrezione dei succhi dell’apparato digerente, atrofizzando anche le mucose, e possono modificare i giusti rapporti tra i vari ormoni. È una delle ragioni per le quali combatto contro queste metodiche che trovo anti-fisiologiche e non gratificanti. Per quanto riguarda gli OGM, ovvero gli organismi geneticamente modificati, sono ancora in corso in tutto il mondo ricerche scientifiche ed è sempre viva la discussione nella quale s’intersecano motivi politici, ideologici, scientifici, economici. Personalmente sono a favore della loro produzione se non alterano le caratteristiche del prodotto. Una direttiva UE del 2013 stabilisce che quando la presenza di OGM in un prodotto supera la quantità dello 0,9 per cento è obbligatorio riportarlo sull’etichetta nutrizionale. Questo è importante affinché il consumatore sia messo in grado di compiere delle scelte.    

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