Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

BANCA CENTRALE EUROPEA. AL SERVIZIO DELLE BANCHE, NON DEI CITTADINI

VICTOR_CIUFFA_GIORNALISTA_EDITORE-SPECCHIO_ECONOMICO.jpg

di Victor Ciuffa

Immersa nei rituali della crisi di Governo, la classe politica italiana, pur essendo perfettamente a conoscenza della languente situazione economica nazionale, della stagnazione delle attività e della pratica impossibilità di una pur minima ripresa produttiva, sembra non aver prestato molta attenzione a due fatti verificatisi negli ultimi giorni dello scorso gennaio, importantissimi per l’economia mondiale e quindi anche per quella italiana. Il primo è costituito dalla robusta riduzione del tasso di sconto deciso dalla Federal Reserve statunitense, la banca centrale americana; il secondo, dalla conseguente negativa posizione adottata dalla Banca centrale europea, che impone la politica monetaria ai Governi dei Paesi membri dell’Unione Europea.

Oltre all’ampiezza della riduzione pari a 75 punti base che hanno abbassato il tasso stesso al 4 per cento con la prospettiva di un ulteriore taglio entro brevissimo tempo, la decisione della Fed è stata improvvisa e, per trovarne una simile, occorre risalire ai primi anni 80; questo indica l’importanza della misura adottata e, soprattutto, i notevoli effetti che il Governo americano si ripromette di ottenere sul piano della ripresa degli investimenti produttivi e quindi dell’occupazione, dei consumi e del benessere della popolazione. Una misura tempestivamente adottata per fronteggiare e anzi per bloccare in anticipo la recessione che stava per innescarsi nell’economia americana nonostante il rapporto di cambio tra il dollaro e l’euro favorevolissimo al primo, i grandi investimenti e le ingenti spese effettuate per le industrie belliche a causa dell’impegno militare Usa in Afghanistan e in Iraq.

Nello stesso tempo però, anche e forse soprattutto a causa di tale rapporto di cambio estremamente penalizzante per le economie dei Paesi dell’Unione europea, il fantasma della recessione si profilava, e si profila, anche per l’economia italiana, trascurata dai governanti e dai politici impegnati piuttosto nella lotta per l’invenzione e l’instaurazione di un sistema elettorale capace di garantire loro una lunga permanenza e una tranquilla stabilità al potere. Anzi, definire «trascurata» dai nostri governanti l’economia italiana non è proprio esatto perché in realtà se ne sono occupati ma per adottare negli anni una serie di provvedimenti che, aggiungendosi ai fattori internazionali come l’aumento del costo del petrolio e delle materie prime in generale, l’apprezzamento dell’euro e la concorrenza dei Paesi emergenti, hanno accelerato e aumentato il pericolo di una recessione. Quali provvedimenti in particolare hanno avuto questo effetto?

Quasi tutti, a cominciare dalle privatizzazioni e dalle svendite del ricchissimo patrimonio produttivo nazionale, che hanno sottratto allo Stato aziende non solo produttrici di reddito ma che costituivano validi strumenti di politica economica tramite i loro investimenti e interventi nel mercato, utili ed anzi indispensabili, in tempi di stagnazione, per stimolare la ripresa, aumentare i redditi aziendali e familiari, incrementare l’occupazione, sostenere i consumi e quindi la produzione; unici investimenti capaci di rimettere in moto, insomma, un circolo virtuoso di espansione economica.

Una seconda serie di provvedimenti favorevoli alla recessione sono stati gli aumenti fiscali e delle tariffe dei servizi pubblici: sia visibili, sia invisibili. Quelli visibili sono sotto gli occhi di tutti; quelli invisibili sono soprattutto le imposte indirette di cui il fisco beneficia silenziosamente lucrando su quella disgrazia nazionale che si chiama inflazione reale. Perché, se aumentano i prezzi a causa di fattori internazionali e di aumenti di tariffe e di imposte dirette, aumentano anche le imposte indirette che lo Stato e gli enti locali percepiscono: in parole semplici Iva, addizionali e sovraddizionali. Un tempo il problema era dibattuto quotidianamente da associazioni di consumatori, sindacati, partiti di opposizione. Era stata importata un’apposita terminologia, «fiscal drag», ovvero drenaggio fiscale. Chi ha sentito più parlare in questi ultimi anni di fiscal drag? Chi ha calcolato il gettito fiscale da esso derivante? I Governi, in particolare l’ultimo, si sono attribuiti invece il merito di aver aumentato il gettito fiscale grazie alla lotta contro l’evasione, ma hanno tenuto segrete le maggiori entrate derivanti, ad esempio, da ogni aumento del prezzo della benzina. E tutti sanno che una grande parte dell’incasso della «colonnina» del distributore va al fisco, non alle compagnie petrolifere.

Gli automobilisti e in generale tutti i consumatori sono convinti che la Guardia di Finanza compia ogni sforzo per scovare gli evasori, ma magari riuscisse a fare anche i miracoli. Glielo impediscono due motivi: la scarsità di mezzi - stipendi, autoveicoli, carburanti per farli marciare - posti dal Governo a sua disposizione, come del resto avviene per altri meritori Corpi dello Stato e dei Comuni, Polizia, Carabinieri, Vigili urbani, impegnati in servizi essenziali per i cittadini come la sicurezza e la lotta contro le illegalità; e la reazione dei contribuenti che, ritenendosi tartassati dal fisco, contestano gli accertamenti ricorrendo alla Giustizia tributaria i cui tempi non sono di molto inferiori a quelli della Giustizia civile o penale.

Ma torniamo alla politica monetaria della Banca Centrale Europea che ha deciso di non seguire, come invece dovrebbe, la maxi-riduzione del tasso di sconto attuata dalla Fed, tenendo ancora più alto pertanto il costo del denaro e causando in Europa, e in particolare in Italia, un’ulteriore riduzione di investimenti pubblici e privati, allontanando ancor più la ripresa economica e produttiva e l’aumento dell’occupazione, dei salari e dei consumi. Se l’Italia non avesse aderito all’Unione monetaria europea, se la politica monetaria fosse rimasta di competenza del Governo nazionale e quindi della Banca d’Italia, questa avrebbe seguito quasi automaticamente la Fed. Ma qualche beneficio, anzi qualche gigantesco beneficio la politica monetaria della Banca Centrale Europea comporta per qualcuno: se non per i lavoratori e i consumatori, certamente per le grandi banche.

Tags: Europa banca consumatori banche Unione Europea Victor Ciuffa moneta investimenti fisco Banca d'Italia Guardia di Finanza Febbraio 2008

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa