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ADEGUARE GLI INCENTIVI PER I VOLONTARI CON LE STELLETTE

gen. D. Luigi Francesco De Leverano

In collaborazione con lo Stato Maggiore della Difesa

del gen. D. Luigi Francesco De Leverano, capo Ufficio generale del capo di Stato Maggiore della Difesa


Da un po’ di anni a questa parte il termine «volontario» ha invaso il campo della comunicazione, andando a coinvolgere, di fatto, anche ambienti storicamente non proprio avvezzi a questo tipo di linguaggio, quali, ad esempio, quello militare. Il volontariato sorge in Italia nel 1991 con la legge n. 266 che regola quello organizzato e istituisce delle strutture per il suo sviluppo e la sua crescita su base regionale, i Centri di Servizio per il Volontariato.
Tali organizzazioni furono sostanzialmente ideate per fornire gratuitamente alle organizzazioni richiedenti servizi nel campo della promozione, della consulenza, della formazione, della comunicazione così come in campi specifici, in quei settori normalmente riservati a persone in difficoltà, alla tutela della natura e degli animali, alla conservazione del patrimonio artistico e culturale. Il volontariato, come lo intendiamo oggi, nasce proprio in quel periodo quale risultante della spontanea volontà dei cittadini di porre rimedio a problemi irrisolti, o non affrontati, o mal gestiti dalle Istituzioni e anche dal mercato in senso lato.
È per questo motivo che il volontariato si inserisce nel «terzo settore» insieme ad altre organizzazioni che non rispondono alle logiche del profitto o del diritto pubblico. Le forme attuative attraverso le quali si può manifestare il volontariato sono diverse: può essere prestato individualmente, in modo più o meno episodico, e in ogni caso all’interno di una organizzazione strutturata che possa garantire la formazione dei propri componenti, il relativo coordinamento e la continuità dei servizi forniti.
Per la legge italiana, il volontariato organizzato in associazioni ha le seguenti caratteristiche, previste dalla legge n. 266 del 1991: gratuità assoluta delle prestazioni fornite dai volontari in modo personale e spontaneo e divieto assoluto di retribuzione degli operatori quali soci di associazioni. La stessa legge prescrive che le associazioni di volontariato debbano ispirarsi a principi di democraticità della struttura e contemplare l’elettività e la gratuità delle cariche associative.
Nel panorama degli enti affini a questo tipo di associazioni ne esistono anche altri che non sono giuridicamente organizzazioni di volontariato perché non sono enti autonomi (sono parastatali o controllati dalla Chiesa, quindi le cariche non sono elettive e la struttura non è definibile come democratica), nel cui interno vi è un mix di persone che prestano l’attività volontariamente accanto ad altre che la svolgono dietro remunerazione. Altri ancora, non prevedendo il vincolo assoluto della gratuità della prestazione, possono remunerare parte dei soci facendo operare gratuitamente la restante parte.
Il 5 dicembre di ogni anno ricorre la Giornata internazionale del Volontariato; lo scorso dicembre a Roma, in concomitanza con essa, fu lanciata la campagna «Capaci di intendere e di volere» che pose al centro della manifestazione la figura del volontario sottolineando, da un lato, la consapevolezza che ognuno di loro ha del proprio ruolo, dall’altro, quella del valore etico ma anche economico che ogni loro scelta porta con sé. Quanto alle Forze Armate, il termine «volontario» era comparso già nel 1986, cinque anni prima della legge del 1991, contribuendo, con molta probabilità, a ingenerare un po’ di confusione con le analoghe categorie del servizio civile, nonché con le molteplici associazioni di volontariato.
Tale provvedimento va necessariamente correlato con il recente riconoscimento normativo, auspicato soprattutto dalla base del personale operante nelle Istituzioni militari, che ha portato all’introduzione definitiva della categoria dei «graduati» all’interno del Codice dell’Ordinamento Militare che, di fatto, ora comprende i volontari in servizio permanente (VSP), dal «primo caporal maggiore» a «caporal maggiore capo scelto». E questo nonostante che nelle Forze Armate anche i volontari in ferma prefissata (VFP) - cioè il personale assunto con contratto a tempo determinato a cui viene data la possibilità di transitare in servizio permanente dopo un certo numero di anni - siano, per certi aspetti, anch’essi provvisti di grado funzionale.
Per meglio comprendere le dinamiche intercorse nella Difesa sulla figura del «volontario», e non soltanto sul piano meramente terminologico, si può agevolmente affermare che gli sforzi finora condotti sono serviti principalmente per arginare i tentativi di equiparazione condotti dalle altre Amministrazioni, tenendo conto anche dell’eccessiva strumentalizzazione da parte di organismi, enti e dicasteri volta a conseguire l’assimilazione del servizio civile volontario con quello militare, onde fruire dei medesimi benefici soprattutto di ordine economico e di stato giuridico.
E precisamente: allinearsi alle Forze di Polizia ad ordinamento militare (Arma dei Carabinieri e Corpo della Guardia di Finanza), vera e propria cerniera del Comparto Difesa e Sicurezza; identificare meglio la categoria che non esisteva all’atto dell’emanazione del Regolamento di Disciplina Militare; distinguere tra il personale che prestava servizio di leva e le varie fattispecie di volontario (in ferma prefissata, in servizio permanente ecc.); allineare la struttura gerarchica piramidale esistente alle possibilità di carriera offerte ai volontari; conferire al ruolo una propria connotazione specifica nei riguardi soprattutto dell’accezione comune, mettendolo al riparo da equiparazioni che ne sminuiscano la valenza, ad esempio volontario del servizio civile o precariato ecc., trattandosi anche di ruolo novizio.
Per conferire maggiore forza concettuale a quanto asserito, giova osservare che il volontariato, quale forma unica di reclutamento risalente al 2004, è la forma più idonea per dar vita a Forze Armate aventi la fisionomia di corpi di spedizione quindi proiettabili, cioè impiegabili agevolmente fuori dal territorio nazionale in operazioni sotto l’egida della Nato e dell’Onu anziché essere destinate a difendere il territorio; corrisponde ad una visione della Difesa come pubblico servizio più che come funzione istituzionale fondamentale dello Stato.
Inoltre è più costoso per il bilancio della Difesa, sia perché non consente una congrua dilatazione delle strutture, sia perché ai volontari devono essere offerte condizioni compatibili con il mercato del lavoro; attinge necessariamente dai ceti sociali e dalle regioni a più basso sviluppo economico e sociale; al contrario della coscrizione che tende ad aumentarla per le perturbazioni che comporta nell’attività lavorativa o di studio del singolo, contribuisce all’assorbimento della disoccupazione e consente un investimento sul capitale umano per le possibilità di miglioramento culturale, sociale e professionale dei giovani volontari.
Ed ancora: è più idoneo della coscrizione a formare personale tecnico ed ha un miglior rapporto costo/efficacia soprattutto per la preparazione del personale operante con i sistemi d’arma più complessi; risulta di maggiore flessibilità per l’impiego proprio di forze militari che sono deputate ad agire in teatri operativi a sostegno della pace, in quanto è strutturalmente più idoneo a formare personale per operazioni di lunga durata e di bassa intensità, senza rischiare di perdere, specie nei Paesi democratici, il consenso popolare all’impiego delle Forze Armate all’estero.
Per rendere appetibile, da parte dei giovani, l’accesso alla figura professionale del «volontario» nella Difesa, occorre tuttavia meglio riconoscere e valorizzare la loro professionalità; dar loro un’adeguata remunerazione, la possibilità di una consona qualità della vita e reali sbocchi occupazionali sia all’interno delle Amministrazioni Pubbliche (militari e non) sia attraverso accordi con il mondo privato qualora non riescano a transitare in servizio permanente.
Affinché un volontario possa mantenere un rendimento lineare e soddisfacente, deve sentirsi motivato non solo in relazione alla specifica attività da svolgere, ma anche per ciò che ha determinato la sua scelta; a questo può contribuire un appagamento in termini economici ma anche nella considerazione sociale, nonché l’acquisizione di una professionalità utilizzabile anche in altri contesti organizzativi e che rappresenti, realmente, un sano compromesso tra le aspettative e le attitudini individuali e le esigenze funzionali delle medesime Istituzioni.
L’attuazione di tale modello richiederà sforzi notevoli, soprattutto nella previsione delle esigenze finanziarie per realizzare un «sistema rodato e consapevole» in cui la figura del «volontario» risulti centrale. Se i «volontari con le stellette» vorranno godere di un successo non effimero, tali sforzi dovranno «obtorto collo» passare, oltre che per l’acquisizione e l’ammodernamento di mezzi ed equipaggiamenti, attraverso la realizzazione e il mantenimento di infrastrutture appropriate e consone al ruolo rivestito, e volte a garantire una soddisfacente qualità della vita non solo all’interno dell’ambiente di lavoro - basi, caserme ecc. -, ma anche all’esterno, attraverso una lungimirante e sostenibile politica alloggiativa a favore dei nuclei familiari, soprattutto dei più giovani, la cui serenità è la chiave di volta in termini sia di rendimento sia di sincera disponibilità verso l’Istituzione militare.

Tags: volontari Ministero della Difesa forze armate pubblica amministrazione P.A. volontariato Carabinieri Difesa Guardia di Finanza giugno 2012 Luigi Francesco De Leverano SMD - Stato Maggiore della Difesa

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