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le mie soluzioni al sovraffollamento delle carceri

di COSIMO MARIA  FERRI Segretario Generale di Magistratura Indipendente

La questione del sovraffollamento carcerario, per le dimensioni drammatiche che ha assunto, esige soluzioni rapide. In questa prospettiva riformatrice è opportuno, anzi necessario, aprirsi a un confronto con tutti gli interlocutori: la politica, il mondo delle associazioni e del volontariato, i rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria e delle forze dell’ordine, le rappresentanze dell’avvocatura. La questione carceraria e la sua funzione in un ordinamento moderno non possono essere affrontate concependo il carcere come una «discarica sociale», espressione risalente agli anni 70, né con strumenti ispirati da considerazioni di tipo sociologico. Le «vecchie» impostazioni non possono che condurre alle «vecchie» soluzioni, che hanno contribuito ad aggravare il degrado della situazione carceraria. Il problema del sovraffollamento ha molteplici cause e non può essere affrontato se non intervenendo nella convergente direzione di ampliare la ricettività degli istituti di pena, ma soprattutto di elevare gli standard detentivi a livello delle raccomandazioni europee, e di limitare il flusso in entrata, sottolineando il ruolo di extrema ratio dello strumento detentivo. È utile riproporre una seria riflessione sui seguenti temi.

Il piano delle misure cautelari
Occorre ripensare il sistema delle misure cautelari, assegnando alla custodia cautelare in carcere la funzione di neutralizzare una pericolosità non altrimenti fronteggiabile, affiancando all’attuale ventaglio di misure forme di cautela ulteriori, quali la cauzione o misure interdittive.

Il piano della sanzione penale
Occorre recuperare il concetto che la pena detentiva, e soprattutto la pena scontata in carcere deve costituire l’extrema ratio in un sistema che avrà sempre meno risorse per gestire e concludere un processo penale (giudici, cancellieri, ecc.); e per assicurare condizioni di detenzione conformi al senso di umanità. Ciò non comporta il depotenziamento del deterrente costituito dalla pena, perché in tal caso lo Stato abdicherebbe ad una funzione essenziale che è quella di garantire la sicurezza e la tranquillità dei cittadini. Ciò si traduce concretamente nell’esigenza che la pena detentiva sia riservata ai casi più gravi, ai delitti di allarme sociale. Ma occorre sviluppare, oltre a un massiccio sfoltimento delle fattispecie di rilievo penale come i reati di ingiuria o minaccia di natura bagatellare il ricorso ampio a pene pecuniarie per i reati di scarso allarme sociale come avviene in Germania, affidando agli enti locali la competenza ai fini dell’esazione delle pene e assegnando loro il ricavato. È necessario sviluppare anche lo strumento dell’espulsione: il problema del sovraffollamento è legato soprattutto all’alta percentuale di detenuti stranieri che non hanno risorse e quindi non possono fruire di misure alternative; non ha senso intervenire con la pena detentiva su soggetti per i quali non è facile ipotizzare un reinserimento sociale. Il ricorso alla detenzione domiciliare o agli arresti domiciliari è anch’esso utopistico se guardato come la soluzione al sovraffollamento: presuppone infatti assenza di pericolosità e prima di tutto la disponibilità di un domicilio effettivo e idoneo. Quanti detenuti stranieri, quanti tossicodipendenti possono contare su una soluzione abitativa esterna? In tale prospettiva dovrebbe essere rafforzato l’istituto dell’espulsione a titolo di sanzione alternativa al carcere, rafforzando altresì i meccanismi di raccordo tra le direzioni penitenziarie e gli organi di Pubblica Sicurezza incaricati degli accertamenti e dell’esecuzione della misura.

Il piano dell’esecuzione penale e delle misure alternative
L’obiettivo della riduzione della popolazione carceraria può essere perseguito attraverso la de-burocratizzazione della fase dell’esecuzione penale e penitenziaria. In tale prospettiva è opportuno ripensare il sistema di preclusioni normative, che limita la possibilità del giudice di valutare nel merito la possibilità di ammettere il detenuto a forme di espiazione della pena esterne al carcere, coniugando esigenze di sicurezza dei cittadini e finalità deflattive. È altresì utile rafforzare le possibilità di applicazione delle misure alternative da parte del giudice monocratico, sia all’esito del procedimento di merito sia in sede di esecuzione penale, in relazione a condanne di limitata entità; e ripensare il ruolo della magistratura di sorveglianza, liberandola da tutti i residui compiti amministrativi che la impegnano, per rafforzarne il ruolo di giudice dei diritti in posizione di terzietà nei confronti dei detenuti e dell’amministrazione penitenziaria, ed accrescerne l’efficacia sui tempi delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione. È inoltre necessario intervenire per il rafforzamento dello status professionale della magistratura di sorveglianza. L’attività di questa, a differenza della giurisdizione di cognizione che si incentra in primo luogo sulla ricostruzione del fatto, è caratterizzata principalmente dalla valutazione prognostica della futura condotta del condannato. Del resto, in un sistema in cui poco più di 150 giudici, su oltre 9 mila in organico, debbono occuparsi dell’esecuzione (in corso o sospesa) del cento per cento delle infinitamente numerose sentenze penali, oltreché di numerosissime altre competenze, è auspicabile un miglioramento dell’organizzazione strutturale (ferma nel tempo) che permetta alla magistratura di sorveglianza di meglio fare fronte ai propri, esponenzialmente aumentati impegni anche attraverso un rafforzamento degli organici e la copertura delle attuali vacanze nelle piante organiche.

Il piano delle condizioni detentive e di esecuzione di pena
È necessario che il Consiglio Superiore della Magistratura promuova, anche attraverso circolari, la diffusione di «buone prassi» organizzative per asseverare la legittimità di alcune soluzioni già adottate in alcuni Uffici di sorveglianza (ad esempio in materia di rateizzazione della pena pecuniaria o di remissione del debito); come l’attivazione di prassi organizzative e processuali volte all’aggancio dell’imputato, condannato tossicodipendente, da parte del Ser.T., così da favorire l’eventuale applicazione di una misura cautelare domiciliare presso comunità terapeutiche o strutture sanitarie, propiziando l’esecuzione dell’eventuale pena nelle forme dell’affidamento terapeutico (art. 94 del dpr n. 309/90). Occorre promuovere lo sviluppo del volontariato da parte dei detenuti (ad esempio in occasione di calamità naturali ma anche per lo svolgimento di progetti di tutela ambientale o dei beni culturali), quale forma privilegiata di sistema rieducativo e agevolativo dell’accesso alle misure alternative alla detenzione; e assicurare la pronta ottemperanza delle decisioni della magistratura di sorveglianza da parte dell’Amministrazione penitenziaria; è quindi necessario assicurare l’adeguatezza degli organici del personale di quest’ultima (corpo di Polizia penitenziaria e personale dell’area educativa) e delle loro condizioni di impiego. 

Tags: Febbraio 2013 Cosimo Maria Ferri magistratura carceri

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