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Volkswagen: ingannare non rende proprio a nessuno

Massimiliano Dona, segretario generale dell’unione nazionale consumatori

Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre», diceva Lincoln. Nel 1965 l’avvocato Nader mise sotto accusa, ironia della sorte, una casa automobilistica, la General Motors, per aver prodotto un modello «insicuro ad ogni velocità». Oggi la storia si ripete.

Evidentemente alla Volkswagen non conoscono l’aforisma di Abraham Lincoln: «You can fool all the people some of the time, and some of the people all the time, but you cannot fool all the people all the time» (Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre). Si erano illusi di poterla fare franca, grazie a test di omologazione inadeguati e superati, aggirabili con trucchetti elementari, come pneumatici più stretti o gonfi per ridurre i consumi di carburante, fatti in laboratorio, senza traffico, invece che su strada, in centri scelti a piacimento dalla casa automobilistica.
Già, perché attualmente, grazie alla direttiva-quadro europea, la 2007/46, il costruttore può richiedere l’omologazione in qualsiasi Paese dell’Ue e, automaticamente, tutti gli altri Stati membri sono tenuti ad immatricolare qualsiasi tipo di veicolo e marca sulla base del certificato di conformità, se non provano una violazione della direttiva. Cosa di per sé giusta, in nome della libera circolazione delle merci, a condizione che il fabbricante non possa richiedere l’omologazione dove gli pare e dove, magari, i controlli sono meno ferrei. Perché? Proprio questo il punto: le prove devono essere eseguite da organismi tecnici pubblici, soprattutto terzi rispetto al costruttore. E non solo per gli inquinanti, ma anche per i consumi di carburante. Ma alla Volkswagen non avevano fatto i conti con l’America, dove le cose funzionano un po’ meglio e dove, oltre a Lincoln, è nata anche la «class action».
Nel 1965, 50 anni fa, l’avvocato Ralph Nader mise sotto accusa, ironia della sorte, proprio una casa automobilistica, la General Motors, colpevole di aver prodotto un modello, la Chevrolet Corvair che, come recitava il titolo del suo bestseller di denuncia, era «Unsafe at any speed» (insicura a qualsiasi velocità). Non per niente Nader fu invitato a ritirare il «Premio Vincenzo Dona» nel 2007, anno in cui l’Unione Nazionale dei Consumatori, per ricordare il proprio fondatore, istituì il riconoscimento. È interessante notare come la class action, che molto ha spaventato industriali e politici tanto da essere ridotta ai minimi termini, senza danno punitivo e con procedure macchinose, ora che riguarda un’industria tedesca è invocata da tutti, politici in testa.
Lo stesso ministro dei Trasporti Graziano Delrio, rispondendo alla domanda se sia ipotizzabile una class action da parte dello Stato, ha risposto: «Valuteremo tutte le azioni che tutelano le iniziative che abbiamo preso: se siamo stati ingannati o truffati è giusto che ci sia un riscontro o risarcimento, ma le modalità con cui questo può avvenire le valuteremo». Bene, siamo lieti di questo, perché in realtà la class action premia gli imprenditori onesti e lungimiranti, che sono poi la stragrande maggioranza, scoraggiando i comportamenti scorretti che rovinano la categoria e allontanano i consumatori dal mercato. Certo, non garantisce che episodi analoghi non si ripetano.
La messa sotto accusa del gruppo Volkswagen, per aver utilizzato dei software per aggirare le norme sulle emissioni antismog, è solo l’ultima di una lunga serie di scandali, richiami e risarcimenti. Solo per dare uno sguardo agli ultimi anni, passiamo dalla Firestone, che tra il 2000 e il 2001 fu costretta ad un maxi richiamo di milioni di pneumatici, alla Ford, che nel 2008 richiamò 12 milioni di veicoli per un interruttore a rischio di surriscaldamento; dalla Toyota, che per colpa di un acceleratore che rischiava di bloccarsi richiamò 10 milioni di auto, alla GM-Opel, con 7,6 milioni di auto con problemi al blocchetto di accensione. La casa di componentistica Takata effettuò un maxi-richiamo di airbag: 34 milioni di veicoli, compresi 2,2 milioni di pick-up Chrysler. La verità è che anche questi ritiri «spontanei» sono, spesso, «incentivati» dal rischio di essere puniti nelle aule di Tribunale con maxi multe da miliardi di dollari.
Insomma, la class action come deterrente agli abusi funziona e finisce con il premiare l’imprenditore vero, quello che non ragiona in un’ottica di breve periodo, carpendo acquirenti con messaggi ingannevoli, trucchi, pratiche commerciali scorrette, aggressive; quello che non tradisce la fiducia del consumatore, ma investe in affidabilità, qualità e attenzione al cliente. La tutela del consumatore stimola l’innovazione e soprattutto è un affare vantaggioso.   

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