VIRGILIO LILLI E ALTRI: SCRITTI DA FAR STUDIARE A SCUOLA
L’opinione del Corrierista
La ristampa del romanzo “Una donna s’allontana” di Virgilio Lilli da parte delle Edizioni La Conchiglia di Capri e la sua presentazione avvenuta il 22 novembre scorso nella sala del Carroccio del Campidoglio - grazie al meritorio interessamento della famiglia del grande scrittore e inviato del Corriere della Sera, scomparso nel 1975 -, offrono l’occasione per un raffronto tra lo stile vigente all’epoca in quel giornale e quello attuale, e forse tra il giornalismo di ieri e quello di oggi.
Virgilio Lilli apparteneva a quello stuolo di firme che hanno reso famoso il Corriere nei primi decenni del dopoguerra: grandi giornalisti, scrittori, critici, inviati come Cesco Tomaselli, Vittorio G. Rossi, Dino Buzzati, Eugenio Montale, Corrado Alvaro, Orio Vergani, Indro Montanelli, Egisto Corradi, Domenico Bartoli, Gaetano Afeltra, Enzo Grazzini, Giovanni Mosca, Max David, Silvio Negro e molti altri. Nomi che finiscono via via dimenticati, perché il primo a non ricordarli, e a non ricordarseli, è proprio il giornale che loro resero grande, autorevole, insuperato.
Tra le altre opere, ad esempio, Virgilio Lilli scrisse, nel 1959, questo romanzo che non è un romanzo, è storia d’Italia, anzi del mondo perché la commovente e umana vicenda d’amore in esso descritta è ambientata nel secondo conflitto mondiale, e in buona parte in una Roma occupata dai tedeschi. “Arrivavano sopra la città dopo aver bombardato i Castelli, o Civitavecchia, o Viterbo, o i paesi della Sabina. I piloti venuti dall’Ohio, dal Massachusetts, dal Texas, dalla California e così via, non sapevano resistere alla tentazione di un’escursione su Roma, anche a rischio di una morte gratuita... Di giorno, il remoto fragore dei bombardamenti lontani si confondeva con il frastuono del traffico. Non fosse stato il grido delle sirene...”: questa è storia. I libri e gli articoli di Lilli e gli altri grandi del Corriere dovrebbero essere fatti leggere a scuola. Scivolano invece nell’oblio, come gli scritti dei loro predecessori d’anteguerra.
Ma che fa il Corriere per conservare e diffondere, come un museo, questo grande patrimonio di cultura, di esperienza di vita spesso drammatica e irripetibile, di vero giornalismo? A mio parere poco o niente. Ha dedicato appena un annuncio di qualche riga, dopo ripetute sollecitazioni, alla presentazione del libro di Lilli, fatta peraltro da un altro esimio giornalista-scrittore del Corsera, Giovanni Russo, che vinse il premio Viareggio per il suo libro “Baroni e contadini” nel 1955, appena un anno dopo la sua assunzione al Corriere.
E questo è niente. Ho voluto volontariamente partecipare il 30 maggio scorso, senza essere stato invitato, a una cerimonia riguardante un altro grande del Corriere, Luigi Barzini jr, alla cui memoria il comune di Orvieto, sua città natale, istituì 17 anni fa un premio giornalistico destinato agli inviati speciali, patrocinato dallo stesso Corriere che fa anche parte della Fondazione Barzini. Andare a Orvieto una volta l’anno, magari dalla redazione romana distante un centinaio di chilometri, è così faticoso?
Ebbene, nonostante la sfilza di ben 20 giurati, ne era presente solo uno; non si sono presentati, pertanto, neppure i due relatori Miriam Mafai e Arrigo Levi, figuranti entrambi nella giuria; quest’ultimo, anzi, è anche ex corrispondente da Mosca del Corriere della Sera e vincitore nel 1995 dello stesso premio Barzini. Perché questi giurati e premiati - chi è premiato entra a far parte automaticamente della giuria -, si fanno mettere in programma come relatori e poi non partecipano né in una veste né nell’altra? Nella stessa occasione la commemorazione di un altro grande del Corsera, Gaetano Afeltra, già presidente della giuria, scomparso il 9 ottobre 2005, è stata affidata a Stefano Folli, direttore del Corriere per un anno appena dal maggio 2003 al maggio 2004, che aveva conosciuto sì e no Afeltra. Tanto che ha raccontato solo pochi episodi, e di terza mano.
Il premio è andato a Franco Venturini, pure del Corriere, esperto in politica estera, ma non è stata una manifestazione degna del nome dei due Barzini, senior e junior, che hanno diffuso invece, soprattutto il senior, il nome del Corriere nel mondo. È stata talmente ignorata che, visto il disinteresse così smaccatamente dimostrato da tante firme del giornalismo di oggi verso le grandi firme del giornalismo di ieri, senza mezzi termini la stampa locale orvietana ha parlato di strada del tramonto per la prestigiosa manifestazione culturale. Di più: in riferimento a tale débâcle, esponenti locali hanno addirittura coniato il logo “Premio Barzini tra quattro gatti”.
Le intuizioni di un Afeltra appaiono impensabili tra i giornalisti o meglio tra i dirigenti del Corriere di oggi. Come quella, ad esempio, di “precettare” i grandi del Corriere della Sera inducendoli a collaborare con il Corriere d’Informazione, brillante quotidiano del pomeriggio del Gruppo, di cui egli era nominalmente caporedattore ma sostanzialmente direttore. Afeltra chiedeva loro articoli dei quali egli stesso dettava la “scaletta” descrivendone a voce o per telefono, punto per punto, il contenuto che il collega precettato avrebbe dovuto scrivere.
E che solitamente scriveva, con lo svantaggio di non essere pagato adeguatamente trattandosi di un giornale dello stesso Gruppo, ma anche con molti vantaggi: aver fatto un favore ad Afeltra, non sentirsi più chiedere un altro articolo per un paio di settimane, e soprattutto apparire in una veste di giornalista o scrittore diversa da quella solita, più viva, più interessante, più umana, più d’avanguardia, più spiritosa. Basta rileggere, ad esempio, la rubrica affidata a Giovanni Mosca intitolata “I nostri discorsi”, o quella assegnata a Dino Buzzati dal titolo “La boutique di Buzzati”.
Virgilio Lilli era uno di questi. Come non avrebbe potuto esserlo, del resto, un giornalista, scrittore e poeta come lui? Uno che, pur raccontando gli orrori della guerra, dalla Russia in cui fu soldato all’Italia occupata e poi liberata, pervase il proprio romanzo autobiografico di sentimento e umanità? E che lo concluse con il racconto della disperata ricerca, da lui compiuta in bicicletta, di 20 litri di benzina - concessigli poi da un sergente della V armata americana -necessari per portare al cimitero la moglie morta e in attesa da 4 giorni di essere sepolta in quel torrido agosto del 1954. Pagine che il Corriere, come quelle di altri suoi giornalisti, dovrebbe pubblicare anziché offrire a tante idiozie televisive lo spazio per rendere idioti, oltre ai telespettatori, anche i lettori del giornale.
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