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CORSERA STORY. GAETANO AFELTRA, L’OCCULTO CREATORE DELLA DOLCE VITA

Gaetano Afeltra

L’opinione del Corrierista

 

Il vero, occulto creatore e motore della Dolce Vita romana a cavallo degli anni 50-60 fu Gaetano Afeltra, il grande giornalista scomparso il 9 ottobre scorso. Il 5 aprile 1956, quando fui chiamato nella redazione romana del Corriere della Sera, Mario Missiroli dirigeva sia questo giornale sia il Corriere d’Informazione. Di fatto però quest’ultimo era diretto da Gaetano Afeltra, anche se questi aveva solo la qualifica di caporedattore: per rispetto e affetto verso Missiroli non aveva mai rivendicato la nomina a direttore.

Missiroli si occupava del Corriere d’Informazione solo quando vedeva pubblicata qualche vignetta politicamente audace di Giovanni Mosca: perché in quegli anni il Corriere osservava una linea ortodossamente centrista, mentre Afeltra sul Corriere d’Informazione sosteneva la politica «aperturista» ed era favorevole all’entrata dei socialisti nella maggioranza, soprattutto dopo l’invasione sovietica di Budapest del 1956 e la spaccatura del Psi in due correnti: gli «autonomisti» di Pietro Nenni, contrari all’intervento in Ungheria dei carri armati russi, e i «carristi» di Lelio Basso, favorevoli.
Quando Afeltra era a Roma e a mezzogiorno, appena stampata a Milano la prima edizione del Corriere d’Informazione, brevemente detto Corinform, sentiva chiamarsi al telefono da Missiroli, prima di rispondere telefonava in redazione a Milano e si faceva descrivere la vignetta di Mosca fresca d’inchiostro: sicuramente Missiroli lo cercava per protestare con lui perché Mosca, approfittando della sua assenza da Milano, aveva «rifilato» al giornale qualche battuta politicamente irriverente.

Ma che c’entra la Dolce Vita? C’entra perché Afeltra era un singolare personaggio. Nato ad Amalfi ed emigrato a Milano all’inizio degli anni 40 dove l’aveva preceduto il fratello maggiore Cesare, aveva conservato lo spirito degli scugnizzi napoletani tanto che, nei rapporti redazionali tra il Corinform e il Corsera, Silvio Negro, il grande vaticanista capo dell’Ufficio romano del Corriere, lo chiamava bonariamente «il pirata amalfitano».

A Milano, tra la guerra e il lavoro al Corriere, Afeltra non aveva potuto soddisfare certe sue curiosità: ad esempio quelle suscitate da una grande città affascinante e piena di vita e di contraddizioni come Roma, regno assoluto, soprattutto all’epoca, del mondo del cinema, della moda e della nobiltà. Per cui gli erano sempre rimasti il desiderio, la suggestione, l’interesse per le luci di questa città, per la magia dello spettacolo, per il fascino delle belle signore, soprattutto aristocratiche e, possibilmente, di sangue reale.

Per questo, quando Afeltra si accorse di avere a disposizione uno come me che, anche grazie alla precedente esperienza nel Momento Sera di Roma, conosceva bene quel mondo, ne approfittò abbondantemente chiedendo sempre più notizie e dedicando sempre più spazio a quelle cronache. Nacquero così, accanto a servizi, a reportages e ad articoli, una serie di rubriche quotidiane o settimanali come: «Gli spilli di Via Veneto», «Il Gazzettino pettegolo», «Roma-bene Roma-male», «Aria di Roma».

Fu la stagione più felice del Corriere d’Informazione il quale dové il successo a due grandi intuizioni di Afeltra: la scoperta ante litteram di Via Veneto e gli scippi di grandi firme da lui perpetrati al Corriere della Sera. Era infatti abilissimo nel chiedere e ottenere, il più delle volte a titolo di favore personale e quindi spesso sottopagati o addirittura gratis, articoli a tutte le grandi firme del Corsera.
Erano i tempi della Milano capitale morale d’Italia, dello slogan anti-Roma «Capitale corrotta, nazione infetta» lanciato dall’Espresso, della tradizionale, tenace, puntigliosa polemica di un Nord serio, onesto e lavoratore, contro un Centro-Sud vagabondo, lavativo, parassita e dissipatore; e soprattutto contro Roma, contro i politici romani e i romani in generale. Per cui a Milano chi parlava male di Roma aveva successo; e tanto più chi ne scriveva male. Soprattutto in un giornale come il Corriere della Sera o nella sua edizione pomeridiana Corriere d’Informazione. Negli anni 60 ci furono addirittura giornalisti del Corriere che, accortisi di questo fenomeno, lo sfruttarono scrivendo deliberatamente male di Roma, esagerandone i difetti e perfino inventandoli, pur di compiacere il lettore lombardo e quindi il direttore e l’editore.

Ma per quanto riguardava Via Veneto e il mondo del cinema romano, non c’era bisogno di esagerare. Anche se spesso, sotto le pressanti richieste di Afeltra che mi chiedeva di trasmettergli un articolo «con l’arrizzo» per vivacizzare la terza pagina del giorno seguente, ero costretto a «gonfiare» qualche episodio e talvolta addirittura a crearlo istigando i paparazzi; normalmente però bastava descrivere le imprese dei frequentatori di Via Veneto e dintorni per soddisfare il sentimento anti-romano dei milanesi e dei settentrionali in generale.

Per i quali, del resto, tutto quanto sapeva di cinema, di spettacolo, di cafè society, di nobiltà, era scandaloso; i protagonisti erano considerati poco seri, poco impegnati, impuntuali, inaffidabili. All’industria cinematografica nazionale, localizzata tradizionalmente e pressoché esclusivamente a Roma non era riconosciuta neppure la dignità di industria; e anche con qualche fondamento, visti i matematici insuccessi dei tentativi della finanza settentrionale di cimentarsi nel settore.

Ma si generalizzava il giudizio, perché gli insuccessi nel cinema erano fisiologici, si registravano ovunque e quindi anche a Roma, ove metodicamente nuovi finanzieri o industriali di tutta Italia si improvvisavano produttori cinematografici, investivano nella realizzazione di film capitali che regolarmente perdevano e, delusi dal botteghino ma soddisfatti dall’effimera frequentazione di prosperose e accondiscendenti stelle e stelline, si ritiravano in silenzio lasciando il set libero ad altri illusi finanziatori.

Afeltra, l’uomo che dettava l’idea e la «scaletta» degli articoli a giornalisti come Dino Buzzati e Indro Montanelli, ebbe anche il merito, a tanti oggi erroneamente attribuito compreso il grande Federico Fellini e da tanti infondatamente rivendicato, di aver creato la Dolce Vita: fu lui che, pubblicando ogni giorno le cronache di quel mondo, fece non solo conoscere ma scoppiare il fenomeno, inducendo perfino gli altri giornali a nominare un loro «inviato speciale» in Via Veneto.

 

di Victor Ciuffa

Victor Ciuffa

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