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marco venturi: confesercenti, ridurre la pressione fiscale e ascoltare gli imprenditori

Marco Venturi, presidente della Confesercenti

Fondata a Roma nel 1971, la Confesercenti è una delle principali associazioni imprenditoriali italiane ed è membro fondatore di Rete Imprese Italia. Rappresenta più di 350 mila piccole e medie imprese del commercio, del turismo, dei servizi, dell’artigianato e dell’industria, capaci di dare occupazione ad oltre un milione di persone, riunite in oltre 70 federazioni di categoria. Con oltre 5 mila addetti, 120 sedi provinciali, 20 regionali e oltre mille territoriali, sono un punto di riferimento per le imprese su tutto il territorio nazionale che, con il loro dinamismo, danno un contributo ineguagliato al Pil e all’occupazione in Italia. La Confesercenti promuove proposte su cui coinvolge le istituzioni e le forze sociali italiane ed europee.
La forte domanda di rappresentanza, di tutela, di sostegno alla crescita ed all’innovazione da parte delle piccole e medie imprese, che aveva spinto nel 1971 l’Anva (commercio ambulante), la Faib (distributori di carburanti), l’Uncic (commercio a posto fisso) e la Fiarc (agenti di commercio), che insieme contavano all’epoca circa 80 mila iscritti, a unirsi, è la stessa motivazione che muove l’attuale Confederazione e il suo presidente, Marco Venturi, soprattutto in un momento di crisi che eccede la prospettiva storica e non sembra placarsi. Non certo dinnanzi agli atti del Governo e del Parlamento, che con leggi, decreti, regolamenti etc. spingono le imprese a chiudere, i cittadini a non consumare, pretendendo che con la tassazione si trovino risorse per interessi non pubblici, bensì privati, evitando accuratamente di tagliare dove possibile, come negli stipendi dei parlamentari o dei governanti, ma sempre muovendo la propria forbice sulle tasche vuote degli italiani. Così facendo, è venuta meno non solo la capacità economica del cittadino di darsi da fare creando occupazione e Pil, ma anche la sua stessa capacità psicologica. E proprio sul profilo psicologico interviene la Confesercenti laddove istituisce il servizio «Parla Impresa», uno strumento digitale al servizio degli imprenditori, che mai come adesso hanno bisogno di aiuto perché oberati da crisi, problemi nell’accesso al credito e da una elevatissima pressione fiscale: un servizio web disponibile online sul sito www.parlaimpresa.it, pensato come uno spazio completamente libero, aperto a tutti gli imprenditori in cui parlare e raccontare le proprie esperienze, delusioni, dubbi, preoccupazioni per poi condividerle con altri. E, soprattutto, ricevere risposte e assistenza dagli esperti professionisti, territoriali e nazionali, della Confesercenti, grazie a una squadra al servizio degli imprenditori e dell’impresa.
Preso atto dell’impossibilità per le imprese che rappresenta di proseguire nelle loro attività, così come dei consumatori di acquistare e consentire un rilancio dell’economia, mantiene fermo il proprio punto: la necessità di ridurre la pressione fiscale. Ma anche «liberare la domenica», ad esempio, richiesta che si è risolta in una proposta di legge di iniziativa popolare depositata in Parlamento con il sostegno di oltre 150 mila firme di cittadini in tutta Italia, in cui si chiede di procedere ad una revisione della legge sulle liberalizzazioni sfrenate del commercio introdotte dal decreto Salva Italia, riportando la competenza in materia di orari e dei giorni di apertura delle attività alle Regioni, difendendo rispetto allo strapotere della grande distribuzione il ruolo fondamentale delle attività commerciali di vicinato.
Anche in Europa, la confederazione ha aperto un ufficio di rappresentanza a Bruxelles, con il compito di rappresentare l’organizzazione presso le massime istituzioni europee: Parlamento, Commissione europea e Consiglio e di tenere continui contatti con i funzionari delle istituzioni e dell’Unione europea dell’artigianato e delle piccole e medie imprese di cui la Confesercenti è membro effettivo dal 2001.
Domanda. Confesercenti non è solo commercianti, è vero questo?
Risposta. Siamo una confederazione di imprese, e veniamo definiti associazione dei commercianti: il nostro nucleo fondamentale in effetti sono le piccole e medie imprese del commercio, del turismo, dei servizi, ma in realtà ormai rappresentiamo tutte le tipologie d’imprese.
D. Cosa vi distingue dalle altre rappresentanze delle imprese?
R. Ad origine tutte le associazioni erano nate in collegamento con la politica, e così questo diventava uno degli elementi distintivi: noi eravamo considerati quelli di sinistra, la Confcommercio democristiana, e così via. Ma questo è un mondo del passato. Ciò non significa che non abbiamo rapporti istituzionali, ma ci rapportiamo con tutti i partiti e i gruppi parlamentari, per svolgere il nostro compito di tutela e rilancio delle imprese e dell’economia del Paese. Ci distinguiamo per ciò che facciamo, con le nostre proposte per una politica di sviluppo e, per fare un altro esempio, con la lotta alla criminalità. Fummo noi a fare il «treno contro l’usura» nella seconda parte degli anni Novanta, e con quello forzammo la mano al Parlamento e fu approvata la legge sull’usura. Siamo un’associazione che si è mossa a tutto campo, sul piano della legalità, sul piano della tutela delle imprese e molto anche sul piano della crescita del Paese.
D. Cosa distingue la crisi di oggi con altre crisi già verificatesi in Italia?
R. Siamo coscienti che se non c’è crescita non c’è tutela. Non è un caso che in questi ultimi anni si sia registrata la chiusura di tantissime imprese, e questo avveniva anche prima, ma con saldo positivo, ossia ne aprivano più di quante ne chiudevano. Ora invece accade il contrario, ne chiudono più di quante ne aprono e si bruciano lavoro e ricchezza. Ciò ci impone di rivendicare una serie d’interventi che possano allentare questa morsa, consolidando le imprese e dando un contributo al Paese anche in termini di crescita economica e di occupazione: è un punto per noi vitale, dobbiamo fare di tutto per non far chiudere le aziende.
D. Quale crede sia l’intervento prioritario da chiedere alle istituzioni?
R. La proposta principale su cui da anni ci stiamo battendo è la partita fiscale, legata a una situazione economica difficile ma che rischia di essere un cane che si morde la coda, perché se noi non riusciamo a ridurre la pressione fiscale le imprese restano in difficoltà, non investono e non occupano. Dobbiamo rompere questo cerchio negativo per cercare di creare un circuito positivo. È fondamentale anche ottenere una riduzione della pressione fiscale, tante volte è stata promessa ma poco si è fatto.
D. Quale è, per lei, il principale problema italiano?
R. Gli sprechi. Alla base della nostra azione abbiamo una richiesta: che il Paese funzioni. Ciò è impossibile a causa dell’eccesso di tassazione che supera anche la media europea. Non ne abbiamo ricavato grandi benefici, anche a causa degli sprechi e da spese pubbliche non legate esclusivamente agli interessi  della cittadinanza. Abbiamo denunciato per anni gli sprechi nella Pubblica amministrazione e la situazione istituzionale italiana. Ora la politica vuole intervenire sulle Province, quando da decenni noi sosteniamo la necessità di abolirle, e ci siamo espressi anche sull’assurdità di avere micro-Comuni di 38 abitanti. Queste anomalie e questa rappresentanza servono solo alla politica, tutto ciò va superato, e va semplificato l’intero sistema per ridurre i costi e lasciare più risorse alle imprese per investire e alle famiglie per consumare. Io non conosco formule diversa da questa. In questi anni abbiamo visto una falcidia di piccole e medie imprese a saldo negativo: stiamo perdendo ricchezza e lavoro.
D. Che servizi fornite?
R. Siamo presenti in tutta Italia, abbiamo sedi in tutte le province italiane ma anche nei Comuni, poiché oltre a fare rappresentanza prestiamo servizi che richiedono una presenza capillare nel territorio, da quelli semplici di adempimento come contabilità, dichiarazione dei redditi, libri paga, fino ai servizi più avanzati, quindi dal credito all’innovazione. Abbiamo i patronati come tutti. L’imprenditore che si rivolge alla nostra associazione trova non solo tutela ma anche una serie di opportunità.
D. Siete giunti a Bruxelles, cosa fa la Confesercenti in Europa?
R. Facciamo parte di un’associazione europea delle piccole e medie imprese, perché le nostre PMI più strutturate e dinamiche hanno bisogno anche di una rappresentanza presso l’Unione europea; ciò ci consente di attivarci per rispondere alle esigenze delle imprese.
D. L’associazione «Rete Imprese Italia» nasce come evoluzione del Patto del Capranica stretto tra Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti. Di cosa si tratta?
R. Siamo tra i suoi promotori e l’abbiamo costituita con le altre quattro associazioni delle piccole e medie imprese. Tutta la parte istituzionale di massimo livello, come per esempio l’incontro con il Governo, la portiamo avanti come Rete Imprese Italia, nella quale si ha anche una rotazione semestrale dei presidenti e ciascun presidente in carica parla a nome di tutti. È un grande passo che in Italia non era mai stato fatto per la tendenza, tuttora presente, a scindersi per mantenere il proprio «regnetto». Le nostre associazioni insieme hanno un peso anche come strutture, considerato il fatto che non facciamo solo rappresentanza ma diamo molti servizi e abbiamo migliaia di dipendenti, riuscendo così anche nel territorio a servire le nostre piccole e medie imprese. Abbiamo una forza maggiore come Rete Imprese Italia, e più opportunità  di porre quelli che sono i problemi reali che le imprese vivono. Sappiamo che esse sono legate all’andamento del Paese, per cui ci esprimiamo anche sui grandi temi, dalla legge finanziaria al fisco.
D. È appena finito il 2014, il 2015 potrebbe essere migliore?
R. È poco significativo, dopo anni di decrescita, avere lo «zero virgola». Il problema è capire che cosa si fa per andare oltre lo «zero virgola», questo è il nodo centrale. Pensare che per risolvere i problema dei conti pubblici basti aumentare qualche tassa è un’idea folle, implica la creazione di condizioni ancora più negative di crescita: perché se si tolgono soldi alle imprese per investire e soldi alle famiglie per consumare è chiaro che l’economia non riprenderà mai. Se non riusciamo a cambiare questo tipo di atteggiamento e aggredire più la spesa che le entrate, non potremo uscire da questo circolo vizioso. Non basta aumentare l’Iva per risolvere i conti, perché la gente consuma di meno e alla fine entrano comunque meno soldi nelle casse dello Stato. Sono proprio queste le cose che poi spingono alle chiusure delle imprese, a bruciare lavoro, a bruciare ricchezza. Dobbiamo fare in modo che le imprese crescano, e poi creino lavoro vero, dobbiamo porre condizioni di ripresa dell’economia passando attraverso le imprese e attraverso la fiducia delle famiglie che consumano.
D. L’iniziativa «Libera la domenica» intende prendere parte al dibattito relativo alla liberalizzazioni degli orari del commercio. Cos’è in effetti che è meglio per l’Italia, per le imprese, per il consumo?
R. Ha detto bene lei, per l’Italia. Credo si debba ragionare in tal senso, il fattore religioso non è sufficiente per compiere scelte relative all’apertura dei negozi di domenica. Il piccolo imprenditore con un’azienda familiare non è in grado di restare aperto 7 giorni su 7 mentre le grandi strutture commerciali hanno campo libero e spingono le piccole imprese a chiudere i propri negozi, nel settore alimentare in particolare è più sofferta questa esperienza poiché la grande distribuzione ha preso una fetta di mercato rilevantissima. Ciò fa venire meno il cosiddetto servizio di vicinato, il concetto dell’alimentari sotto casa, e fa prendere l’automobile per recarsi al centro commerciale con tutto ciò che comporta. Abbiamo posto anche il problema di stabilire regole contro quella che abbiamo definito la «desertificazione urbana»: c’è bisogno di stabilire paletti e regole per mantenere la qualità della vita nelle città, importante non solo per il piccolo commerciante ma per tutti. Va ristabilito un equilibrio.
D. «Parla impresa» è il primo servizio «social» web di aiuto per gli imprenditori in crisi. Di cosa si tratta?
R. Il servizio vuole dare un ulteriore sostegno alle imprese che si muovono fra mille problemi, evitando anche in questo modo una sorta di solitudine del piccolo imprenditore, è questo il punto. È importante che ci siano riferimenti per le imprese che sono in forte difficoltà, perché le stesse istituzioni non danno loro risposte adeguate. Noi ci poniamo non solo con il vicinato di tutela capillarmente in tutto il territorio nazionale, ma abbiamo dato anche una possibilità in più, che garantisce l’immediatezza della comunicazione: chi è in difficoltà può parlare con noi. Si sono registrati casi di suicidio, per fortuna rari, c’è un’esasperazione, e noi abbiamo offerto un orecchio e cerchiamo di rispondere con la concretezza di un’associazione di imprese. Non vogliamo fornire psicanalisti, ma risposte concrete alle imprese, perché questa è la nostra funzione.   

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