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perché dovremmo fidarci di aziende che ci dicono bugie?

di Massimiliano Dona, segretario generale dell’unione nazionale consumatori

Ci fideremmo di una persona che ha mentito e che continua a farlo ogni qual volta ne ha l’occasione? Non parlo solo di bugie gravi, ma anche di mezze verità, omissioni e qualche «edulcorazione della realtà» con la giustificazione che, tutto sommato, viene compiuta è a fin di bene: probabilmente anche il più fiducioso degli innamorati all’ennesimo inganno diventerebbe diffidente e pretenderebbe, perlomeno, delle ammissioni corredate da sentite scuse.
E se non fosse una compagna o un compagno a tradirci, ma il panettiere sotto casa, l’edicolante che incontriamo tutte le mattine, il barista o il benzinaio continueremmo a fidarci? Probabilmente no, cambieremmo negoziante (anche il fidanzato e la fidanzata presumibilmente), in cerca di rapporti più trasparenti; quella stessa trasparenza (è forse troppo chiamarla etica?) dovremmo pretenderla dai protagonisti del mercato: le grandi aziende, banche, assicurazioni, tutti quei soggetti che, spesso, sbandierano ai quattro venti la loro Responsabilità Sociale di Impresa, ma poi concretamente dimenticano il senso di quell’impegno.
Perché questa riflessione? Perché si moltiplicano gli interventi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato a censura di imprese scorrette; proprio qualche giorno fa, ad esempio, l’Antitrust ha imposto alla Coca-Cola di rimuovere le scorrette informazioni contenute in un opuscolo pubblicitario in cui si fornivano notizie nutrizionali fuorvianti, sul contenuto di zuccheri, arrivando a sostenere che la bibita gassata «fa bene» perché favorisce l’idratazione del corpo umano (mentre sappiamo tutti che, invece, la nota bevanda con le bollicine contiene zucchero e caffeina, quindi, meglio non abusarne).
Le informazioni non veritiere diffuse dall’azienda sono una vera e propria beffa per i consumatori, ma purtroppo la Coca-Cola non è la sola big company che reagisce alla crisi amplificando le campagne pubblicitarie: è una strada sbagliata in quanto si trascura che i cittadini stanno perdendo fiducia negli spot e dunque, sempre più spesso, rinunciano a fare acquisti, non solo per colpa dei budget limitati, ma anche per una crescente diffidenza. Ma c’è dell’altro. La reazione della società alla pubblicazione della notizia sui principali media è, forse, la parte più preoccupante di questa triste storia: la Coca-Cola, infatti, si è avventurata in una difesa impossibile, sostenendo che l’esito del procedimento davanti all’Autorità le sia stato favorevole, persino una conferma alla correttezza del suo operato. È il caso di chiarire che è vero che non c’è stata sanzione, ma questo perché l’azienda ha ammesso l’ingannevolezza di alcuni messaggi e ha scelto la procedura degli «impegni», una sorta di «patteggiamento» per evitare la condanna con l’impegno, appunto, di modificare per il futuro la propria comunicazione.
Del resto la Coca-Cola non è nuova a certe «schizofrenie» (chiamiamole così) pubblicitarie, basti pensare che, dopo la campagna invernale fondata su bottiglie di formato più grande, abbiamo assistito a quella estiva che promuoveva i formati più piccoli in una prospettiva di minor apporto calorico. Permettetemi di affermare che da un soggetto socialmente responsabile dovremmo aspettarci maggiore coerenza, talvolta anche il necessario mea culpa e magari qualche impegno concreto.
Ma queste, in Italia, non sono altro che parole al vento: il vero problema del nostro sistema è che nessuno paga per i suoi errori. Vorrei ricordare allora cosa è accaduto in Gran Bretagna solo qualche mese fa, allorché tredici banche (tra cui Barclays, Lyods, Hsbc e Royal Bank of Scotland) sono state scoperte a mentire ai loro clienti, pur di «vendere» polizze assicurative sulle carte di credito: di fatto i furbetti della City esageravano il rischio del furto di identità e soprattutto omettevano di informare i loro clienti che un’assicurazione contro le frodi è del tutto inutile, dal momento che ogni truffa informatica è da addebitare alla banca (tenuta a risarcire il cliente).
Ci colpisce che alla multa di 1,3 miliardi di sterline per le banche coinvolte, si aggiungerà il rimborso per i clienti ed anche il finanziamento, da parte delle stesse banche, di un programma pubblicitario per promuovere informazioni veritiere ai consumatori e accrescere il loro livello di consapevolezza.
Da noi, invece, i furbetti la fanno franca, nessuno chiede scusa e di rimborsi nemmeno l’ombra: ai consumatori italiani servirebbe sì un’assicurazione, ma contro le bugie delle imprese. 

Tags: Ottobre 2013 consumatori Massimiliano Dona UNC Unione nazionale consumatori

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