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alenia aermacchi: cento anni di storia volante, dai biplani all’eurofighter

Addestratore ad elica del periodo postbellico, il Macchi MB.308

Nel 2013 Alenia Aermacchi celebra i suoi cento anni di attività nel settore aeronautico. Fu infatti il 1° maggio 1913 che con capitali francesi e tecnologie italiane nacque la Società Anonima Nieuport-Macchi. Un secolo più tardi il nome Alenia Aermacchi raccoglie l’intero settore aeronautico di Finmeccanica, il maggior gruppo tecnologico italiano.
Nata il 1° gennaio 2012 dalla fusione di Alenia Aeronautica, Alenia Aermacchi e Alenia SIA, la società è l’approdo finale di un processo di integrazione lanciato alla metà degli anni Sessanta con l’obiettivo di competere sui mercati internazionali che già allora richiedevano protagonisti forti. Oggi conta complessivamente oltre 11 mila addetti ed è il principale attore industriale del Paese in questo campo, con un’attività sempre più bilanciata tra il settore civile e quello della difesa e, in entrambi i settori, caratterizzata dalla partecipazione a molti dei programmi più importanti, dal Boeing 787 all’Eurofighter, dall’Airbus A380 al JSF. A queste collaborazioni internazionali si affiancano programmi proprietari quali M-346 e C-27J e l’importante posizione negli aerei regionali attraverso le joint ventures ATR e SuperJet.
Sin dal 1912 Giulio Macchi, la cui famiglia era da quasi 70 anni affermata nella costruzione di tram e carrozze a Varese, individuò la nascente aviazione come il settore per diversificare l’azienda di famiglia. L’accordo con la francese Nieuport, i cui monoplani erano stati usati con successo dall’Italia durante la guerra di Libia, fu raggiunto nel novembre 1912. Per rispettare le scadenze contrattuali i primi aerei furono messi in produzione senza aspettare la costituzione formale della nuova società. Nel 1915 la Marina incaricò la Nieuport-Macchi di copiare un idrovolante austriaco Lohner catturato intatto. Questo lanciò la società in un campo del tutto nuovo e l’avviò sulla via dell’indipendenza progettuale.
A Torino la simultanea presenza dell’industria automobilistica, dell’università e dei primi enti aeronautici militari stimolò anche il settore aeronautico. Proprio qui il 13 gennaio 1909 volò il Faccioli N.1, primo aereo di progetto e costruzione italiana. Le esigenze della prima guerra mondiale indussero la Fiat a creare nel 1916 la SIA, specializzata nella sola costruzione di velivoli. In parallelo nacque la Pomilio. Nel 1918 Ansaldo, che aveva iniziato a costruire aerei a Genova nel 1916, acquistò la SIT (attiva con modesta fortuna dal 1912) e la Pomilio. Alla fine del conflitto mondiale l’industria italiana aveva costruito oltre 12.000 velivoli, con un grado crescente di progetti originali di successo.
L’armistizio portò un crollo della domanda e le prime grandi concentrazioni. L’Ansaldo portò la produzione aeronautica a Torino, nello stabilimento ex Pomilio di Corso Francia, ma nel 1926 cedette l’attività alla Fiat, che divenne l’unico produttore. In parallelo, Nicola Romeo avviò la costruzione di aerei a Napoli, inizialmente sotto licenza e poi via via con progetti originali. Nonostante il difficile momento, aerei e idro italiani furono protagonisti di grandi imprese quali il volo Roma-Tokio di due Ansaldo SVA e diverse vittorie nella Coppa Schneider, compresa quella del Macchi M.39 a Norfolk nel 1926. Nel 1934 l’MC.72, il più celebre degli idrocorsa progettati da Mario Castoldi, portò a 709 km/h il primato mondiale di velocità.
Un impulso decisivo venne dall’indipendenza dell’Aeronautica nel 1923, dalla creazione del Ministero dell’Aeronautica nel 1925 e dagli anni nei quali fu guidato da Italo Balbo. L’aspetto più noto del settennato balbiano (1926-1933) sono i grandi voli di massa verso Brasile e Stati Uniti, il cui successo aprì nuovi mercati e trainò le esportazioni. Meno nota è la politica industriale mirata a specializzare le varie aziende nella progettazione di particolari tipi di velivoli, da far riprodurre poi presso tutte le altre. Ciò consentiva alla Regia Aeronautica di limitare il numero dei tipi di velivoli in linea, con ovvi vantaggi operativi, e all’industria una crescita stabile e ordinata, occupazione, bilanci solidi. Frequenti concorsi permettevano di esercitare i quadri tecnici e mantenerli aggiornati.
Fu così che Torino si specializzò nei caccia e nei bombardieri diurni progettati da Celestino Rosatelli, Varese negli idrovolanti da ricognizione e da caccia e Napoli negli aerei da ricognizione terrestre. Dalla metà degli anni Trenta, il Governo avviò una politica di decentramento che portò le aziende più affermate a creare controllate in zone fino a quel momento fuori dal settore aeronautico, come Foligno e Benevento (dove la Macchi creò l’Aeronautica Umbra e l’Aeronautica Sannita), mentre alcune società entrarono nell’orbita di quelle più affermate. La Fiat, ad esempio, acquisì attività aeronautiche a Marina di Pisa e Cameri (Novara), ribattezzandole CMASA e CANSA, mentre Romeo cedette la propria azienda alla milanese Breda e continuò l’attività con il nuovo nome IMAM.
Nel 1935 si apre un periodo di circa dieci anni che ha una doppia chiave di lettura. La prima, positiva, è quella della forte crescita, che portò il settore a occupare oltre 150.000 persone, e della nascita di alcuni dei più celebri e diffusi aerei italiani di tutti i tempi, dal Fiat CR.42 alla famiglia Macchi C.200, 202 e 205. Quella negativa fu la difficoltà di tenere il passo con il progresso tecnologico, simboleggiato dalle produzioni in grandissima serie consentite dalle strutture a guscio e, soprattutto, dalla rivoluzione del motore a getto. Nel giro di pochi anni la precedente superiorità si trasformò in una stentata parità e quindi in un’inferiorità riassunta dalla distruzione degli stabilimenti aeronautici da parte dei bombardieri anglo-americani.
La ripresa postbellica non fu dunque né facile né rapida, anche per le penalizzazioni imposte dal trattato di pace del 1947. Le prime iniziative rivolte ai mercati esteri non bastavano a sostenere il settore, che si contrasse velocemente anche per l’uscita di numerose importanti aziende del periodo prebellico. In molti casi l’attività aeronautica coesistette con le lavorazioni più eterogenee, dalle riparazioni ferroviarie alle motociclette. Mentre la progettazione nazionale si orientava verso gli addestratori a elica (dal Macchi MB.308 ai Fiat G.46 e G.59), la produzione su licenza del DH.100 Vampire rappresentò per Fiat e Macchi il primo approccio con il jet. Con la decisione della Breda di concentrare l’attività aeronautica a Milano, la IMAM passava alla proprietà pubblica e confluiva quindi nell’Aerfer costituita a Pomigliano d’Arco (Napoli), specializzandosi nelle revisioni di velivoli statunitensi.
I frutti di questo decennio di ricostruzione si videro alla metà degli anni Cinquanta con il caccia tattico leggero Fiat G.91, che fu prodotto anche in Germania su licenza, e con l’addestratore a getto Macchi MB.326, costruito in Sud Africa, Australia e Brasile oltre che in Italia. Nell’ambito di un progetto di ricerca Aerfer costruì il Sagittario 2°, che nel 1956 fu il primo aereo italiano a volare più veloce del suono.
Ma l’epoca delle aziende indipendenti e dei progetti individuali volgeva al tramonto. Negli anni successivi le tre aziende, insieme a numerose altre, parteciparono al programma europeo per la costruzione del caccia bisonico F-104G Starfighter coordinato per l’Italia dalla Fiat. L’importanza assunta dall’avionica, cioè l’elettronica applicata all’aviazione, richiedeva lo sviluppo di competenze fino a quel momento assenti. Da questo nacquero sia la spinta alla concentrazione dell’industria nazionale sia le collaborazioni in ambito europeo. Entrambe scaturivano dalla constatazione della crescente complessità e onerosità dei nuovi progetti, nonché delle dimensioni necessarie per competere su basi paritarie con i partner internazionali.
Nel 1969 la fusione tra Fiat, Aerfer e Salmoiraghi diede infine vita a Aeritalia, che già un anno dopo faceva volare il biturboelica da trasporto tattico G.222. La nuova azienda si orientò subito verso programmi ambiziosi quali la collaborazione con Boeing (dalla quale sarebbe infine nato il bireattore passeggeri 767, per il quale fu creato a Foggia il polo produttivo dei compositi) e il cacciabombardiere trinazionale Tornado. Diventata interamente pubblica nel 1976 con l’uscita della Fiat, Aeritalia lanciò programmi importanti quali l’ATR.42, in collaborazione con la francese Aérospatiale (oggi EADS), e l’AMX, con Aermacchi e la brasiliana Embraer.
Nel 1990 il gruppo IRI-Finmeccanica aprì un nuovo capitolo dell’industria aeronautica fondendo Aeritalia e Selenia per dar vita ad Alenia, primo passo di una lunga ridefinizione dell’intero comparto industriale dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza. L’approdo finale delle successive aggregazioni e societarizzazioni di attività omogenee giungeva nel 2002 con Alenia Aeronautica, il cui portafoglio prodotti comprendeva ormai l’avanzato caccia quadrinazionale Eurofighter e il biturboelica da trasporto C-27J. Più tardi sarebbe giunta anche la partecipazione all’innovativo Boeing 787 in materiali compositi, per il quale nacque il sito di Grottaglie-Monteiasi (Taranto).
Nel 2003 Finmeccanica acquisiva, per girarla poi ad Alenia Aeronautica, l’Aermacchi, che a sua volta nel 1997 aveva acquistato da Agusta la linea di addestratori monomotore SIAI Marchetti per dare vita ad un polo unico degli aerei da addestramento e lanciare il progetto del futuro M-346. Nel 2006 Aermacchi diventava Alenia Aermacchi. Il 1° gennaio 2012 l’integrazione del settore aeronautico portava a riunire sotto il nome Alenia Aermacchi le tradizioni e i prodotti di tutte le aziende precedenti, confermando e completando l’intuizione di quasi 35 anni prima. In parallelo veniva varata la nuova organizzazione aziendale articolata su Torino, sede delle attività militari, e Napoli, sede di quelle civili. In questa configurazione giungevano i primi importanti successi della nuova azienda, a partire dalla vendita dei C-27J all’Australia e degli M-346 ad Israele.   

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