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PIù INFORMAZIONE SULLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

Abbattuta da Mani Pulite, la classe politica della prima Repubblica responsabile di tangentopoli vide solo qualche decina di esponenti inquisiti, qualcuno anche arrestato ma a distanza di anni dichiarato innocente. Forse solo uno o due sono risultati giudiziariamente colpevoli anche in Appello e in Cassazione. Ma per i politici e i pubblici amministratori, che poi costituiscono un’unica categoria, e per i burocrati responsabili di danni alle finanze pubbliche, quali sono le condanne al risarcimento e come sono osservate le sentenze dei giudici competenti? «Dovrebbero essere pubblicati ogni anno gli elenchi dei responsabili e le modalità degli avvenuti risarcimenti», ho osservato qualche mese fa a un alto magistrato della Corte dei Conti. Il quale sinceramente mi ha risposto: «Il fatto è che nessuno dei condannati al risarcimento dei danni li paga». A mio parere, quanto meno le Relazioni annuali svolte ad inizio di anno dai competenti vertici dell’ordinamento giudiziario, giurisdizionale e contabile dovrebbero contenere due liste, una nera e una rossa: la prima con i nomi dei condannati e con gli importi dei risarcimenti da loro effettivamente pagati, la seconda con nomi e importi dei risarcimenti non pagati. Forse Beppe Grillo avrebbe ricevuto, e riceverà, meno voti.
Sono utilissime le ultime Relazioni delle Magistrature sull’attività svolta nel 2012, e soprattutto sulle tendenze in atto, da sviluppare o da contenere. Di quelle svolte ad inizio del 2013 due sono particolarmente interessanti non solo per gli addetti ai lavori - magistrati, avvocati, uffici finanziari ecc. -, ma soprattutto per i cittadini comuni, del tutto digiuni della materia anche se eruditi in altre discipline. Sono quelle svolte dal presidente del Tar del Lazio Calogero Piscitello e dal nuovo presidente del Consiglio di Stato Giorgio Giovannini.
Da esse si desumono tendenze e quanto meno orientamenti: tenuti ad attenersi alle leggi emanate dalla classe politica, questi alti magistrati avvertono gli umori della popolazione, che in buona parte condividono, desiderosa di un maggiore impegno da parte loro e, soprattutto, di una maggiore energia e decisione nel definire il contenzioso tra cittadini e pubbliche amministrazioni, anche per frenare la deriva in atto verso l’incertezza, l’immoralità, l’avventurismo provocati dall’operato di buona, anzi di cattiva parte dei politici.
Non esistono dubbi su due realtà: non sono i cittadini che provocano, infastidiscono, ricattano ed estorcono qualcosa ai pubblici amministratori, ma sono questi che non compiono il proprio dovere e danneggiano l’operosità di singoli e l’economia generale; e se i politici deliberatamente non rafforzano i poteri della Magistratura, è questa che comunque deve agire più energicamente eliminando pretesti, ostacoli, sotterfugi e illegittimità artatamente introdotte da pubblici amministratori responsabili di atti o di omissioni, nel contenzioso amministrativo per stancare, frustrare, indurre ad abbandonare le vertenze, o per esporre a ingiuste condanne cittadini onesti e imprese sane, dopo che queste magari hanno fiduciosamente atteso perfino una quindicina di anni per vedere riconosciuti i propri diritti.
Il primo marzo scorso il presidente Piscitello ha esordito sottolineando «l’affievolirsi della fiducia e il venir meno del senso del pubblico e della ricerca del bene comune, nell’illusoria prospettiva di salvare la sfera del privato». Per cui «l’opinione pubblica deve essere informata in modo chiaro e conciso sulle concrete possibilità di far valere in giudizi le legittime pretese dei soggetti interessati alla rimozione di atti e comportamenti illegittimi od omissivi delle Pubbliche Amministrazioni»; oggi il giudice amministrativo si trova ad applicare un sistema normativo sempre più complesso, alimentato da una pluralità di fonti di varia origine e consistenza: ma va tenuto ben distinto il ruolo creativo più o meno legittimo delle forze politiche da quello essenzialmente conservativo da cui il giudice «non deve mai discostarsi».
Ricordate la speciale collocazione del Tar del Lazio «al crocevia degli assetti istituzionali del Paese», la vastità delle sue competenze esclusive in materie di grande effetto sociale, le importanti decisioni assunte sulla nomina dei componenti delle Autorità amministrative indipendenti, sui tagli alla sanità e sulle quote rosa, il presidente Piscitello ha precisato che il lavoro dei giudici amministrativi «mal si presta a valutazioni basate su considerazioni produttivistiche di carattere quantitativo», e che «il ruolo di giudice naturale del diritto pubblico dell’economia è stato assunto dal giudice amministrativo, ma dovrà essere ancora sviluppato per superare le difficoltà del giudizio d’impugnazione».
Ma quali passi avanti ha compiuto la giustizia amministrativa in favore di cittadini e imprese sul piano della tempestività ed effettività della tutela? Lo sviluppo del giudizio cautelare e del giudizio di ottemperanza, ha rilevato Piscitello, segnala la tendenza della Giustizia amministrativa «ad assumere funzioni surrogatorie» rispetto al sistema dell’udienza preliminare o all’azione di adempimento tedesca, ma è difficile che tale sviluppo possa essere realizzato senza il sostegno di una legge.
Al Tar del Lazio affluisce annualmente un quinto di tutti i ricorsi amministrativi presentati in Italia; ma si riscontra una «rilevante diminuzione su scala sia nazionale sia locale». Il fenomeno, a detta del presidente, va attribuito soprattutto al loro crescente costo specialmente fiscale, alla ricerca di soluzioni alternative, all’autotutela esercitata dalle Amministrazioni pubbliche, all’avviso obbligatorio dell’avvio del procedimento, all’aumento dei ricorsi collettivi. Con l’aumento della tassa sui ricorsi le più recenti leggi finanziarie hanno colpito maggiormente il settore delle imprese appaltatrici; «Non è encomiabile–ha affermato Piscitello–abbattere il contenzioso con il solo uso della leva fiscale». Un efficace strumento di deflazione può essere costituito da un’attenta riflessione su cause ed esiti delle vertenze nelle principali materie oggetto di attività dei pubblici poteri.
L’arretrato accumulatosi fino all’inizio degli anni 2000 è stato drasticamente abbattuto negli anni successivi grazie all’introduzione della nuova forma di perenzione, prima decennale poi quinquennale. Nei prossimi anni saranno estinti almeno 40 mila ricorsi per i quali deve essere solo emesso il decreto di perenzione, essendo maturata la giacenza e non sussistendo interesse dei ricorrenti. Sono previsti circa 15 mila decreti in ciascuno dei prossimi 3 anni. Un’elevata percentuale di ricorsi tuttavia, pur formalmente definiti con esito negativo per i ricorrenti, produce per l’erario pesanti effetti finanziari per le sempre più frequenti azioni risarcitorie proposte in base alla legge Pinto per il ritardo nella definizione; il ricorso al giudizio risarcitorio, indipendentemente da quello di annullamento dell’atto amministrativo, non ha ancora inciso molto sul numero di questi ricorsi ma è destinato a crescere rapidamente.
Per rendere più rapide le decisioni è stata istituita una pletora di riti accelerati quando la questione sembrava avviata a soluzione per lo sviluppo delle ordinanze cautelari atipiche e della loro possibilità di appello. Il proliferare delle materie assoggettate a riti speciali accelerati ha determinato un restringimento dell’area disponibile per le altre materie, che possono ora contare solo sulla corsia preferenziale della fase cautelare, con il rischio di trasformare quest’ultima in occasione di sommarie pronunce interinali, talvolta con effetti estranei. Le possibilità più frequentemente sperimentate sono le udienze tematiche e le sentenze semplificate, emesse a brevissima distanza di tempo dal ricorso, ma ostacolate dall’esigenza di approfondire il merito a causa della presentazione di motivi aggiunti, ricorsi incidentali, richieste istruttorie.
La tutela cautelare, con la sua possibilità di un’immediata anche se temporanea soluzione del conflitto, si è rivelata straordinariamente adatta a dare una risposta pronta ed efficace alla richiesta di tutela del cittadino. Quasi il 60 per cento dei ricorsi proposti contiene istanze cautelari rivolte ad ottenere la sospensione degli atti impugnati e l’adozione di misure provvisorie atipiche; questo ha rivelato l’utilità di un’immediato contatto del ricorrente con l’organo giudicante e con la stessa Amministrazione interessata, che può attivarsi per un’eventuale resipiscenza.
A parere del presidente Piscitello, richiede qualche riflessione l’elevato numero di ricorsi al giudizio di ottemperanza, derivanti dalla mancata esecuzione di condanne emesse a norma della legge Pinto, o per inerzia, negligenza, malafede ed altri motivi. Ma è proprio su questo punto, dico io, che nell’interesse della giustizia, dei cittadini, delle imprese e dell’economia generale, le pubbliche amministrazioni inadempienti devono essere dissuase dall’inventare continuamente nuovi strumentali pretesti, cavilli, ritardi e ostacoli, comunque illegittimi a prescindere dal merito, se si vogliono evitare l’istituzione di un terzo grado anche nella giustizia amministrativa, nuovi danni alle finanze pubbliche e all’economia, appannamento del lavoro di una nobile istituzione, nuovi stimoli alla sfiducia nella giustizia, alla protesta, ai movimenti violenti non solo anti-partito ma addirittura anti-Stato. Amministratori del genere andrebbero, anzi, puniti d’ufficio.
Alla presenza del presidente della Repubblica, il 5 marzo scorso Giorgio Giovannini ha contemporaneamente assunto la presidenza del Consiglio di Stato e ha svolto la Relazione sul consuntivo del 2012. «Prima che le norme lo prevedessero espressamente–ha esordito–, abbiamo abbandonato, in giurisprudenza, la limitante connotazione della nostra giurisdizione come strumento di mero annullamento, che spesso offriva ai ricorrenti fittizie vittorie processuali riconsegnando totalmente nelle mani dell’Amministrazione la decisione sul rapporto sostanziale».
Con che l’hanno sostituita? «Riconoscendo alle nostre pronunce valore non soltanto caducatorio dell’atto illegittimo impugnato, ma anche conformativo della successiva attività dell’Amministrazione». La tutela dei singoli, ha poi aggiunto, è stata rafforzata dalla legge n. 205 del 2000, che ha affidato al giudice amministrativo il contenzioso relativo alla «risarcibilità degli interessi legittimi ingiustamente lesi». Il Codice del processo amministrativo ha compendiato e ulteriormente avvalorato i risultati raggiunti e attualmente dinanzi al Consiglio di Stato è esperibile tutto il «ventaglio di azioni di accertamento, costitutive e di condanna tradizionalmente proprie del diritto processuale, le quali forniscono agli interessati una tutela completa di fronte sia all’azione illegittima, sia all’inerzia della pubblica amministrazione».
A sua volta la tutela cautelare, con ricchezza di misure provvisorie, riesce in tempi estremamente ristretti a fornire una prima risposta alla domanda di giustizia; ad essa si affianca il giudizio di ottemperanza, che «garantisce la coattività delle nostre decisioni e che, a quanto mi risulta, costituisce un unicum nel panorama europeo dei giudizi contro le autorità pubbliche». Il processo amministrativo si è arricchito di vari strumenti istruttori: consulenze tecniche, mezzi di indagine e di prova equivalenti a quelli del processo civile, adeguati a un giudizio caratterizzato dalla presenza di un soggetto forte quale la pubblica amministrazione.
La verifica della validità degli atti amministrativi si è ampliata a parametri relativamente nuovi quali i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, per la cui applicazione ci si è avvalsi dell’elaborazione operata in sede di giustizia costituzionale e comunitaria. Il Consiglio di Stato, ha aggiunto il presidente Giovannini, esercita un «sindacato sempre più pregnante» nel diritto pubblico dell’economia e nei confronti dei complessi provvedimento emanati dalle Autorità indipendenti; malgrado ciò il controllo deve rimanere di mera legittimità e di esclusiva pertinenza delle pubbliche amministrazioni, tranne pochi casi, previsti dalla legge. I nostri costituenti vollero confermare l’affidamento del contenzioso amministrativo a una giurisdizione speciale altamente qualificata.
Il presidente Giovannini ammette la presenza di alcune criticità. «Mi sembra–osserva–che facciamo ancora fatica ad abbandonare l’orientamento diretto ad attribuire rilievo peculiare agli aspetti formali del rapporto amministrativo, e ciò malgrado le contrarie sollecitazioni e gli ammonimenti della Corte di giustizia europea. Per cui, in particolare nella contrattualistica pubblica, i nostri giudizi sono divenuti il campo di una vera e propria caccia all’errore: le carenze puramente documentali non rispondenti a sostanziali difetti dei requisiti mettono in forse o ritardano investimenti importanti e realizzazioni di opere pubbliche a lungo attese».
Il presidente Giovannini ha ricordato che, nell’applicazione delle leggi, i giudici amministrativi sono sempre più chiamati a «colmare lacune, risolvere antinomie, chiarire ambiguità spesso volute dallo stesso legislatore, applicare a casi concreti leggi che contengono solo proclami programmatori: finisce così col richiedersi al giudice amministrativo una sorta di attività di supplenza, priva di parametri certi e fortemente esposta al rischio di pronunce dissonanti tra loro». Riguardo alla tempestività, è sempre valido il detto «Giustizia ritardata è giustizia negata».
Negli anni 80 e 90 la domanda di giustizia amministrativa era esplosa causando una grave inadeguatezza delle strutture: in primo e secondo grado pendevano quasi un milione di procedimenti, dal 2000 la cifra ha cominciato a decrescere per il passaggio al giudice ordinario del contenzioso del pubblico impiego e per i nuovi strumenti processuali introdotti dalla legge di riforma del 2000. Oggi i giudizi soggetti ai riti speciali accelerati sono sollecitamente definiti in primo e secondo grado anche in meno di un anno. Per la maggior parte di quelli soggetti ai riti ordinari, i tempi si allungano in misura talora inaccettabile. Dall’informatica, avverte il presidente, non possono attendersi miracoli perché la definizione dei giudizi è frutto di elaborazione individuale del magistrato; piuttosto, osserva, si assiste «con rammarico» al generale scadimento del livello medio di preparazione dei candidati nei più recenti concorsi, e alla crescente difficoltà di reperire professionalità effettivamente all’altezza dei compiti. Tuttavia, dato il difficile momento economico-finanziario e la sua negativa incidenza sul bilancio pubblico, non è il caso di proporre riforme come l’istituzione di Corti di appello interregionali per il contenzioso di carattere locale, lasciando al Consiglio di Stato quello di valenza nazionale.
Qualche cifra: al 31 dicembre 2012 i procedimenti pendenti al Consiglio di Stato erano 24.600, dinanzi ai Tar erano meno di 350 mila unità; questo grazie all’impegno di magistrati e segreterie, al minor numero di ricorsi esperiti, al contributo unificato di nuovo aumentato, secondo il presidente, a livelli oltre i quali può essere pregiudicato il diritto costituzionalmente garantito alla tutela giurisdizionale. Ultima osservazione del presidente Giovannini: la magistratura amministrativa e il Consiglio di Stato in particolare sono stati rappresentati quasi come un intralcio, un ostacolo alla crescita del Paese, come titolari di privilegi ingiustificati, anziché come strumento per ottenere un’Amministrazione pubblica imparziale, trasparente, lontana da corruzione e prepotenza; in realtà essi difendono l’interesse pubblico, del quale l’Amministrazione è portatrice, dalla prevaricazione di poteri privati più forti, a tutela dei cittadini più deboli e meno provveduti.        V. C.  

Tags: Aprile 2013 Victor Ciuffa giustizia amministrativa

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