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TERRORISMO. ONORE AI MAGISTRATI UCCISI DA BRIGATE ROSSE E MAFIE

Il 9 maggio scorso, in occasione del «Giorno della memoria», è stato presentato al Quirinale il libro «Nel loro segno», curato dal Consiglio Superiore della Magistratura in ricordo dei magistrati vittime del terrorismo e delle stragi di mafia. La scelta del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di dedicare la giornata della memoria ai magistrati caduti sotto i colpi degli estremisti e degli stragisti non è stata casuale. Napolitano ha deciso di dedicare a loro la cerimonia di quest’anno in segno di solidarietà verso la Magistratura dopo l’affissione sui muri di Milano di manifesti con la scritta «Via le BR dalle Procure».
Quei manifesti, disse il Capo dello Stato sono «un’ignobile provocazione», «un’intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non». Sono anche il segno che «nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull’amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni».
Nella prefazione che apre il libro, dal titolo significativo «Il nostro omaggio», il Capo dello Stato pone l’accento sul fatto che il 9 maggio non è solo il giorno del ricordo, ma anche del pubblico riconoscimento che l’Italia deve alle vittime; nonché il giorno del sostegno morale e della vicinanza umana verso le loro famiglie. È, inoltre, il giorno della riflessione su quello che il nostro Paese ha vissuto nel periodo degli anni di piombo e delle stragi mafiose, e che non vuole più rivivere. In quegli anni, sottolinea Napolitano, i magistrati reagirono con fermezza e con coraggio all’ondata terroristica e all’aggressione mafiosa, fino all’estremo sacrificio della propria vita, offrendo un prezioso contributo all’amministrazione della giustizia secondo legge e secondo Costituzione.
«L’Italia corse rischi estremi–ha ricordato il Capo dello Stato–. Sapemmo uscirne nettamente, pur pagando duri prezzi, e avemmo così la prova di quanto profonde fossero, nel nostro popolo, le riserve di attaccamento alla libertà, alla legalità, ai principi costituzionali della convivenza democratica, su cui poter contare. Quelle riserve vanno accuratamente preservate, ravvivate e messe in campo contro ogni nuova minaccia nella situazione attuale».
Napolitano ha lanciato un monito: «No alla violenza e alla rottura della legalità in qualsiasi forma: questo è un imperativo da non trascurare in nessun momento». Di qui la necessità di «tenere sempre alta la guardia» contro «i focolai del fanatismo politico e ideologico». Nel suo intervento alla celebrazione del «Giorno della memoria» egli è tornato a rimarcare come fu decisiva, contro il terrorismo, la battaglia sul fronte della giustizia penale, sottolineando che fu vinta «in nome e nel rispetto della Costituzione e dello Stato di diritto».
E ha richiamato le parole del primo presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo che, nel ricordare e onorare i magistrati caduti sotto i colpi del terrorismo, aveva sottolineato come essi avessero esercitato «la giurisdizione con la consapevolezza e la serenità di chi ha di fronte non nemici o avversari da sconfiggere, ma cittadini imputati da giudicare». Inoltre ha rimarcato come le misure di emergenza adottate dal Parlamento furono «proporzionate al pericolo istituzionale esistente», e non implicarono mai la trasformazione del nostro Stato di diritto in Stato autoritario, essendo rivolte, come ribadito dalla Corte Costituzionale, a proteggere l’ordine democratico e la sicurezza pubblica.
Nell’appassionato intervento non ha potuto fare a meno di esprimere il rammarico per il modo in cui è stata gestita la vicenda dell’estradizione dal Brasile del terrorista Cesare Battisti, vicenda intrisa di «residui pregiudizi e residue mistificazioni». Nel ringraziare il Consiglio Superiore della Magistratura per l’opera composta in omaggio alla memoria di tutti i magistrati vittime del terrorismo e delle mafie, Napolitano ha rivolto un pressante invito a sfogliare le pagine di quel libro, soffermandosi sui nomi, sui volti, sulle storie di quei servitori dello Stato «per poter parlare responsabilmente della Magistratura e alla Magistratura, nella consapevolezza dell’onore che ad essa deve essere reso come premessa di ogni produttivo appello alla collaborazione necessaria per le riforme».
Poiché deve essere a tutti chiaro che i profili e i fatti raccontati in quel libro, le parole che raccoglie, sono come pietre e restano più forti di «qualsiasi dissennato manifesto» come quello «affisso sui muri della Milano di Emilio Alessandrini e Guido Galli», trucidati dai terroristi.
Il vicepresidente del CSM Michele Vietti, introducendo il volume, ha pronunziato parole severe contro chi mette in atto «ignobili provocazioni» equiparando Brigate Rosse e magistrati. «Quando si toccano gangli vitali della vita democratica di un Paese, intrecciati per di più con drammatiche vicende destinate a rimanere ferite aperte nella coscienza collettiva di un popolo e nel cuore dei familiari delle vittime–ha sottolineato–, le analogie non possono essere usate né per facezia né tanto meno per inaccettabili strumentalizzazioni». Per Vietti «non è immaginabile una convivenza sociale senza giustizia, non vi potrebbe essere organizzazione sociale senza regole e senza lo strumento che le fa essere cogenti».

di Antonio Marini

Tags: contrasto alla mafia terrorismo Antonio Marini brigate rosse magistratura Michele Vietti Giugno 2011

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