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RIFORMA FISCALE. PROMESSE, PROPOSTE, STRATEGIE: MENTRE SI DISCUTE AUMENTANO LE TASSE

Le turbolenze politiche hanno fortemente indebolito la governabilità del nostro Paese. Siamo precipitati da molti mesi in una fase di stallo. Il Parlamento è bloccato. Non si vedono prospettive rassicuranti per il futuro. Si prevede una lunga fase di incertezza. Dietro l’angolo non si sa se ci sarà il ribaltone, il Governo tecnico, lo scioglimento delle Camere. E nel frattempo la crisi economica e sociale del Paese si aggrava in un contesto europeo e mondiale nel quale si avvertono pericolose crepe negli assetti della finanza e del mercato.

La Grecia ha contagiato il Portogallo e l’Irlanda; negli Stati Uniti il presidente Barack Obama è stato duramente sconfitto; l’edificio europeo è in difficoltà; l’euro traballa. Ci si accorge con colpevole ritardo che l’Europa deve rafforzare gli strumenti politici di governo per dominare la crisi dell’economia e della finanza. In questa situazione ancora una volta l’Italia è costretta a una manovra finanziaria difensiva, in attesa di tempi migliori. I colli di bottiglia della nostra economia - il debito pubblico, la competitività, la tassazione - sono veri e propri macigni che impediscono di uscire dalla stagnazione e di riprendere la strada dello sviluppo.

La legge finanziaria per il 2011 verrà frettolosamente approvata, per consentire la resa dei conti di un modello bipolare che si dissolve senza che si delinei un dopo affidabile. La politica della lesina, il male minore in una perdurante situazione di incertezza, impedisce di stimolare la nostra economia. La cassa integrazione guadagni dilaga, la disoccupazione, come sottolinea il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, è tornata a crescere, per i giovani e le donne il precariato è l’unica possibilità di lavoro; l’amministrazione pubblica non è in grado di pagare i propri debiti; il Mezzogiorno è alla deriva; la tassazione è insopportabile. E così via.

L’elenco delle doglianze e dei desideri, senza indicare le soluzioni, le priorità, le coperture economiche, è al centro di uno stucchevole dibattito che dilaga nei talk show televisivi allontanando sempre di più i cittadini dalla politica. Si rafforza un pericoloso qualunquismo che finisce per penalizzare in maniera indistinta tutto e tutti. Eppure l’Italia potrebbe misurarsi sui due pilastri - stabilità e riforme - delle politiche economiche nazionali previste dalla strategia «Europa 2020». Occorre vendere - non svendere - il patrimonio pubblico, spendere, stimolare. Gli slanci riformatori e «pro crescita» vanno individuati e precisati in un quadro armonico che sia coerente con un attento e indispensabile rigore per il nostro debito pubblico.

In questo scenario appare determinante la politica fiscale. Esiste una pericolosa sottovalutazione. Tra chi è al Governo e tra chi è all’opposizione non si scorgono accenni alla riduzione della pressione fiscale per contribuire alla crescita. Nel Programma Nazionale di Riforma del Governo è scritto che «la strategia di riforma non potrà che essere tendenzialmente neutrale sul piano finanziario». Si ripetono le vecchie ed arcaiche parole d’ordine del ministro dell’Economia Giulio Tremonti: dal centro alla periferia, dal complesso al semplice, dalle persone alle cose. Parole che sentiamo e risentiamo dal 1994. Parole contraddette da un appesantimento fiscale senza precedenti che sta collocando il nostro Paese ai vertici della classifica mondiale della tassazione.

Dall’opposizione politica, dalle forze sociali e professionali, dalle autonomie locali non arrivano proposte credibili. È vero, si sono aperti tanti tavoli di confronto, sono sul tappeto ipotesi di riforme. Ma mentre si discute le tasse aumentano. Nemmeno quello che è successo in America con i Tea Party apre gli occhi alla politica nel nostro Paese: tutti imperterriti proseguono sulla strada dell’aumento delle tasse. Prevale l’innata vocazione italiana del gabelliere, sempre alla ricerca di nuove tasse per finanziare una spesa pubblica parassitaria ed elefantiaca.

Insomma i costi della politica e della burocrazia crescono in modo esponenziale proponendo, anzi imponendo il ricorso a sistemi fiscali sempre più pesanti ed oppressivi. Alcuni obiettivi vanno chiaramente definiti e realizzati. Non va sprecata l’occasione delle due riforme che sono sul tappeto: quella sul federalismo fiscale e quella più generale ed epocale del fisco. In primo luogo va sgomberato il terreno da un equivoco, quello sulla utilizzazione delle risorse provenienti dalla lotta all’evasione, all’elusione, all’erosione fiscale. È vero, sono stati realizzati grandi risultati. L’amministrazione fiscale e la Guardia di Finanza hanno finalmente a disposizione strumenti giuridici, informatici, tecnici, efficaci per operare. La strada è stata spianata grazie a un impegno comune di tutti per ridurre un’evasione che ha delle dimensioni ancora mostruose.

Tutto va fatto garantendo sempre un equilibrio e una pari dignità tra contribuente e amministrazione. Questo significa che lo Statuto del contribuente va applicato, rispettato, potenziato. Non è possibile, non è necessario, è controproducente che in dieci anni vi siano state 37 violazioni gravi dello Statuto, 10 delle quali solo negli ultimi quindici mesi. Non è possibile che vi sia un’enorme discrezionalità nella definizione di contenziosi senza che vi siano dei parametri legislativi. Tipico è il caso del cosiddetto «abuso di diritto», che richiede una precisa legislazione e regole certe per la definizione delle eventuali transazioni. Giovanni Giolitti diceva che in Italia le leggi si applicano ai nemici, si interpretano per gli amici.

E poi è fondamentale che da subito una parte del recupero dell’evasione venga utilizzato per una politica di riequilibrio della tassazione a favore delle famiglie, dei redditi più bassi, delle imprese medie e piccole. Ad esempio si è persa un’occasione nella legge finanziaria 2011 in corso di approvazione, quando non si sono riproposte le agevolazioni per le famiglie e la social card; non si è detassata la tredicesima almeno per i cassaintegrati; non si sono riproposte forme di alleggerimento per le imprese.

Ma non c’è solo l’omissione di iniziative di alleggerimento: addirittura nel prossimo anno, a marzo, in molte regioni e in diversi Comuni una platea di quasi due terzi dei contribuenti italiani sarà investita dall’aumento delle addizionali sull’Irpef e sull’Irap. A Roma si pagherà un’addizionale dello 0,7 per cento in più per la sola Irpef. Eppure si dice, anzi si ripete continuamente con ipocrisia, che «nessuno metterà le mani nella tasca degli italiani».

Il panorama fiscale è ancora più preoccupante. Il federalismo fiscale così come si sta delineando, spacca il Paese in due. I meccanismi di finanziamento dei costi standard, se non avranno una loro precisa definizione, consentiranno solo alle Regioni ricche di ridurre l’Irpef e l’Irap; per molte altre Regioni, in particolare quelle meridionali, non c’è alcuna possibilità di diminuire le tasse e di favorire la localizzazione delle imprese. La fiscalità di vantaggio diventa una vera e propria beffa.

Particolarmente interessanti sono i dati elaborati per la Confesercenti. Li vogliamo ricordare e riassumere. In particolare:

1) rispetto alla situazione attuale, solo i dipendenti e i pensionati con un reddito modesto (20 mila euro ad esempio), non subiranno alcun aumento, anche se, in quanto residenti nelle regioni con deficit sanitario, continueranno comunque a pagare 100 euro in più rispetto agli stessi dipendenti e pensionati residenti nelle regioni che non hanno aumentato l’aliquota base dell’addizionale;

2) tutti gli altri (titolari di redditi da lavoro autonomo e da piccola e media impresa soggetti ad Irpef) residenti nelle regioni che sfrutteranno la leva fiscale accordata dall’art. 5 dello schema di provvedimento in esame, subiranno un maggior prelievo, crescente al crescere del reddito e differenziato in danno dei redditi diversi dal lavoro dipendente o da pensione;

3) l’aumento sarà più contenuto per lavoratori dipendenti e pensionati. Così, ad esempio, per un reddito da 40 mila euro, essi pagheranno nel 2015 un’addizionale maggiorata di 392 euro rispetto al medesimo contribuente delle altre regioni, con un aumento rispetto alla situazione attuale di 192 euro; e il maggior prelievo passerà da 300 a 812 euro per un reddito da 60 mila euro;

4) l’aumento toccherà, invece, valori molto più sostenuti per il lavoro autonomo e le piccole e medie imprese; intanto, anche i livelli di reddito bassi saranno penalizzati: a 20 mila euro, il maggior prelievo dell’artigiano o commerciante laziale (o delle altre regioni in deficit) passerà da 100 a 420 euro l’anno; per livelli superiori l’aggravio crescerà proporzionalmente: da 200 a 840 euro per un reddito di 40.000; da 300 a 1.260 euro, in corrispondenza di 60.000 euro di reddito;

5) si aprirà una forte discriminazione in danno del lavoro autonomo e delle piccole e medie imprese, oggi non prevista: dai 320 euro in corrispondenza di un reddito modesto (20.000 euro), ai 448 euro dei livelli successivi;

6) in conclusione, il conclamato principio dell’invarianza della pressione tributaria sarà limitato all’aliquota «base» dell’addizionale regionale, e non risulterà certamente sufficiente a proteggere i contribuenti dal prevedibile aumento di prelievo che le regioni potranno, ed anzi per certi versi dovranno autonomamente disporre».

Che dire della «mitica» riforma fiscale? Si discute, si discute, si discute. «Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur», mentre a Roma di discute, Sagunto è espugnata. Il ministro dell’Economia è generoso nell’offrire tavoli di discussione, è fantasioso nell’indicare fascinosi obiettivi, è preciso nel diagnosticare i nodi del nostro sistema fiscale, ma è impotente a trovare delle soluzioni. Anzi, mentre si discute su un futuro sempre più lontano, si inciampa nel presente: riduzione del 5 per mille, soppressione delle agevolazioni ecologiche del 55 per cento e così via. È necessario che la politica torni a farsi sentire, a progettare, a realizzare. Il Paese non merita di rimanere nella palude dell’incertezza e della stagnazione.

Tags: Giorgio Benvenuto fisco dicembre 2010

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