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GIURISPRUDENZA: VINCOLI DI PIANO REGOLATORE, CONTRATTO PRELIMINARE, ESECUZIONE DIFETTOSA APPALTI, OPERA SENZA CONCESSIONE EDILIZIA

di MAURIZIO DE TILLA

Acquisto di immobili con vincoli di piano regolatore

L’ art. 1489 del codice civile riconosce al compratore il potere di domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo, conformemente alla disposizione dell’art. 1480 - dettato in tema di vendita di cosa parzialmente altrui -, nei casi in cui la cosa venduta risulti gravata da oneri o da diritti (reali o personali) non apparenti, dal medesimo ignorati e non dichiarati dal venditore, che limitino il godimento della cosa. I due rimedi (la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo) sono alternativi, in relazione alla diversità dei presupposti, e possono essere esperiti nello stesso giudizio in via rispettivamente principale e subordinata.
La risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo sono esperibili anche nei casi in cui non sia ascrivibile al venditore colpa o dolo. La scelta tra i due rimedi non è rimessa all’arbitrio del compratore. L’ammissibilità della risoluzione è limitata alla sola ipotesi che il compratore non avrebbe acquistato la cosa se fosse stato a conoscenza dell’esistenza del diritto del terzo o dell’onere. Il compratore ha diritto anche al risarcimento del danno, il quale presuppone invece la colpa del venditore e non necessariamente la sua malafede, in quanto tale diritto al risarcimento trova fondamento nelle norme generali in materia di inadempimento.
Gli oneri e i limiti ai quali l’art. 1489 si riferisce possono rivestire natura privatistica o pubblicistica, ed è soprattutto con riguardo a quelli del secondo tipo che la norma ha mostrato una notevole capacità espansiva per le numerose applicazioni che ha ricevuto, soprattutto ad opera della giurisprudenza, nel settore appunto dei vincoli di diritto pubblico. Riguardo agli oneri e limiti di ordine pubblicistico si è distinto tra vincoli derivanti dalla legge o da altro provvedimento generale dell’autorità amministrativa tra cui, ad esempio, i piani regolatori generali, e vincoli che, pur essendo previsti astrattamente dalla legge, hanno però bisogno, di volta in volta, di un provvedimento concreto e specifico, o comunque particolare, della pubblica amministrazione per applicarsi effettivamente su un singolo bene determinato, come, ad esempio, un pia-no regolatore particolareggiato.
I limiti alle facoltà dei privati proprietari di immobili e i vincoli di destinazione strumentali alla successiva, eventuale espropriazione derivante dalle prescrizioni di un piano regolatore approvato e pubblicato, non sono riconducibili fra gli oneri non apparenti che, ove non dichiarati, non legittimano l’acquirente che non ne abbia avuto conoscenza a domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo, in quanto la pubblicità sia dei piani regolatori che dei relativi vincoli è disciplinata con l’imposizione di una serie di formalità proprie degli atti normativi, e la loro conoscibilità erga omnes è presunta come quella di detti atti. In tal senso si è pronunciata la Corte di cassazione con la decisione n. 4971 del 2 marzo 2007.
Analogamente si può affermare che i programmi di fabbricazione, che siano sostanzialmente equiparabili ai piani regolatori generali, dettano, anche con riguardo all’imposizione di vincoli di destinazione sulla proprietà privata, prescrizioni di ordine generale, di contenuto normativo e di piena conoscibilità dei destinatari; i suddetti vincoli, pertanto, non sono qualificabili come oneri non apparenti gravanti sull’immobile, secondo la previsione dell’art. 1489 del codice civile, e non sono conseguentemente invocabili dal compratore come fonte di responsabilità del venditore che non li abbia dichiarati nel contratto.
Nello stesso quadro interpretativo si è affermato che le deliberazioni dei consigli comunali di individuazione delle aree da utilizzare per gli interventi di edilizia popolare acquistano efficacia normativa all’esito dell’approvazione dell’organo di controllo, con conseguente presunzione ex lege di conoscenza da parte di tutti i cittadini, sicché deve escludersi che il compratore di un fondo, il quale assuma di avere ignorato, nel momento di conclusione della vendita successivo a detta approvazione, i vincoli urbanistici cui esso è soggetto in virtù di deliberazioni siffatte, possa invocare la garanzia ex art. 1489 del codice civile per gli oneri non apparenti e non dichiarati. Resta salva, in ogni caso, l’eventuale responsabilità assunta dal venditore con l’espressa dichiarazione di garanzia circa la libertà dell’immobile alienato, ove sia riferibile anche ai vincoli derivanti da strumenti urbanistici.

 

Contratto preliminare: non è vendita di cosa futura

Con la decisione n. 4.888 del 1 marzo 2007 la Cassazione ha stabilito che, a differenza del preliminare di vendita di cosa futura che ha per contenuto solo la stipulazione di un successivo contratto definitivo, il contratto di vendita di cosa futura non costituisce un negozio in formazione, suscettibile soltanto di effetti preliminari, ma un contratto di vendita obbligatoria, perfetto ab initio e attributivo, come tale, di un diritto a ricevere il bene nel momento in cui la cosa venga ad esistenza. Ciò si verifica, peraltro, senza che possa rilevare la stipulazione, prevista dalle parti per un’epoca successiva, dell’atto pubblico necessario alla trascrizione del trasferimento immobiliare, rappresentando questa una riproduzione meramente formale del contratto originario, nella quale le dichiarazioni delle parti stesse assumono valore storico-rappresentativo e non manifestazione di una nuova volontà negoziale. Nell’ambito dell’affermata distinzione va chiarito che nella vendita di cosa futura l’effetto traslativo si verifica nel momento in cui il bene viene ad esistenza nella sua completezza.
Il venire ad esistenza non comporta però la completezza integrale del bene, essendo sufficiente che questo venga a trovarsi con le caratteristiche essenziali in riferimento alla sua destinazione economica. Per individuare la data di venuta ad esistenza di un immobile occorre avere riguardo al momento in cui si perfeziona il relativo processo produttivo nelle sue componenti essenziali e non alla realizzazione del solo scheletro in cemento armato, potendo solo ritenersi irrilevante che l’immobile manchi di alcune rifiniture o di qualche accessorio non indispensabile per la sua utilizzazione. Va inoltre precisato che nel caso in cui la vendita abbia ad oggetto un immobile in costruzione è necessario che l’atto contrattuale indichi, a pena di nullità, gli estremi della concessione a edificare.
La normativa civilistica in materia di vendita di cosa futura è derogabile, e perciò l’effetto del trasferimento può essere differito a un momento successivo dalle parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale. La vendita immobiliare esige la forma scritta anche se abbia ad oggetto una cosa futura, in quanto l’effettivo acquisto della proprietà non comporta un ulteriore atto di trasferimento, ma unicamente la mera esecuzione del precedente contratto. Qualora la cosa non venga ad esistenza, il contratto è nullo. Non si tratta, peraltro, di nullità in senso proprio, la quale per sua natura è originaria.
Nel caso poi in cui vi sia colpa del venditore, il quale abbia impedito la nascita del diritto o non abbia compiuto quanto doveva compiere per farlo nascere, questi è tenuto al risarcimento del danno. Per la liberazione del debitore dalla responsabilità per l’inadempimento non è sufficiente l’obiettiva impossibilità della prestazione, ma è necessaria anche la sua assenza di colpa. Ad esempio, il venditore di un immobile da costruirsi non può ritenersi esonerato dalla predetta responsabilità per il solo fatto dell’impossibilità di realizzare l’opera a causa di divieto dell’autorità amministrativa, ove tale divieto fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile secondo la comune diligenza al momento dell’assunzione dell’obbligazione.

 

Appalti: responsabilità per esecuzione difettosa

Le funzioni del direttore dei lavori nell’appalto privato non sono dissimili da quelle del direttore dei lavori nell’appalto pubblico. La differenza tra le due figure non risiede nella diversità di funzioni, bensì nel diverso e più penetrante potere dI ingerenza nei lavori nell’appalto pubblico. Possono, inoltre, distinguersi due figure di direttore dei lavori, a seconda che egli sia stato incaricato dall’appaltatore oppure dal committente. Negli appalti di opere edilizie, la figura del direttore dei lavori per conto dell’appaltatore è diversa da quella del direttore dei lavori per conto del committente: il primo, quale collaboratore professionale dell’imprenditore, ha il dovere di provvedere, dal punto di vista tecnico, all’esecuzione dell’opera organizzando e vigilando che essa si svolga in modo non pericoloso per gli addetti ai lavori e i terzi; il secondo ha soltanto il compito di controllare la corrispondenza dell’opera al progetto, rispondendo dell’adempimento di tale obbligo solo verso il committente. E, pertanto, ove abbia esercitato il compito suddetto, non può essere ritenuto responsabile con l’appaltatore dei danni derivati al committente dalla difettosa esecuzione dell’opera e dall’imprudente svolgimento dei lavori diretti al compimento di essa.
Intervenendo sull’argomento, con la decisione 24 luglio 2007 n. 16.361 la Cassazione ha affermato che il direttore dei lavori per conto del committente presta un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultati ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della «diligentia quam» in concreto.
La Cassazione ha stabilito che rientra nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento delle conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera, e segnalando all’appaltatore tutte le situazioni anomale e gli inconvenienti che si verificano in corso d’opera. Conseguentemente il professionista non si sottrae a responsabilità ove ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente.
In particolare, l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere e il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi, e pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati. Tale presenza e tale controllo costante devono ritenersi tanto più necessari quando il progetto presenti aspetti di genericità con conseguente necessità di un più attento controllo in sede esecutiva.
Vi è da osservare che per l’appaltatore è molto più vincolante la presenza di un direttore dei lavori, perché questi presiede all’esecuzione continuativamente e con competenza tecnica. Si è precisato dalla Cassazione, con la decisione n. 7.242 del 28 maggio 2001, che il direttore dei lavori assume la rappresentanza del committente limitatamente alla materia strettamente tecnica e le sue dichiarazioni sono, pertanto, vincolanti per il committente medesimo soltanto se siano contenute in detto ambito tecnico, come l’accettazione dell’opera perché conforme al progetto ed eseguita ad opera d’arte. Essendo il direttore dei lavori un rappresentante del committente, costui non può delegargli poteri più ampi di quelli che ha. Il direttore dei lavori non ha il potere di ordinare vere e proprie variazioni dell’opera; può far ciò solo se la variazione si rende necessaria per ragioni tecniche, e anche qui purché non si tratti di modifiche radicali della sostanza o della forma dell’opera.
Il direttore dei lavori non può neppure autorizzare variazioni non necessarie, tecnicamente proposte dall’appaltatore. Ciò può essere fatto solo dal committente: quindi, se il direttore le ha autorizzate, queste rimangono variazioni arbitrarie dell’appaltatore. Tra i poteri del direttore dei lavori non figurano alcuni atti: non può acquistare direttamente i materiali se questi sono forniti dal committente; né può risolvere o recedere da un contratto di appalto. Si è affermato che, ove il direttore impartisca istruzioni tecnicamente errate o esorbitanti dai propri poteri, l’appaltatore ha il diritto e il dovere di rifiutare di eseguire quelle istruzioni. Se non li fa, diviene anch’egli responsabile. La responsabilità dell’appaltatore è stata però esclusa quando la nomina del direttore dei lavori abbia ridotto l’appaltatore a un mero esecutore di ordini.
In proposito va però precisato che il potere di controllo e di vigilanza del direttore dei lavori preposto dal committente non annulla l’autonomia dell’appaltatore il quale, salvo patto contrario, rimane conseguentemente tenuto a rispettare, nell’esecuzione dell’appalto, le regole dell’arte al fine di assicurare un risultato tecnico conforme alle esigenze del committente; e perciò a controllare, tra l’altro, la qualità del materiale impiegato rispondendo dei vizi di esso anche quando è fornito dal committente o dal produttore da questo indicato, a meno che non provi che il controllo richiedeva cognizioni tecniche che eccedevano i limiti della diligenza dovuta, o che ha dato pronto avviso al committente dell’inadeguata qualità del materiale ricevuto.

 

Nullo l’appalto di opera senza concessione edilizia

Il contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia è nullo avendo un oggetto illecito per violazione di norme imperative, ancorché sopraggiunga ad esso un condono edilizio. Infatti la nullità una volta verificatasi, anche se non ancora dichiarata, impedisce sin dall’origine al contratto di produrre gli effetti propri e ne rende inammissibile anche la convalida. Ne consegue che l’appaltatore non può pretendere, in forza del contratto nullo, il corrispettivo pattuito, senza che possa rilevare l’ignoranza del mancato rilascio della concessione edilizia, che non può ritenersi scusabile per la grave colpa del contraente il quale, con l’originaria diligenza, ben avrebbe potuto aver conoscenza della reale situazione. Il principio esposto è stato sancito dalla Corte Suprema con la sentenza del 10 maggio 2007 n. 10.718.
La Cassazione ha affermato che inopinatamente la Corte romana aveva ritenuto tale orientamento giurisprudenziale inapplicabile al caso in esame, trattandosi a suo dire di fattispecie in cui l’abuso edilizio era preesistente all’esecuzione dei lavori e quindi la violazione, con conseguente nullità, non era riconducibile all’appalto ma a fattori preesistenti, e comunque non poteva attribuirsi alcun elemento di responsabilità all’appaltatore che aveva eseguito in buona fede i lavori su istruzioni del committente, ristrutturando, previa demolizione, un fabbricato preesistente di cui non aveva motivo di verificare la legittimità.
La Corte Suprema ha ritenuto tale assunto non condivisibile, posto che l’evidente nullità del contratto di appalto per violazione di norme imperative non può essere superata con l’asserita riconducibilità della stessa a indimostrati fattori preesistenti conoscibili soltanto dal committente; mentre il dedotto esonero da responsabilità dell’esecutore dei lavori contrasta apertamente con l’adesione del giudice d’appello alla tesi giurisprudenziale dell’inescusabile ignoranza dell’abuso, stante la grave colpa del contraente appaltatore il quale, con l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto e dovuto avere conoscenza della reale situazione attraverso un’indagine conoscitiva presso gli uffici del locale Comune.
Con un’ulteriore decisione emanata l’8 giugno 2007 n. 13.432 la Cassazione ha precisato che la normativa sulla nullità dell’appalto non si applica quando gli interventi edilizi non siano soggetti a concessione e neppure ad autorizzazione ma soltanto alla denuncia di inizio attività. In sede di commento delle due importanti decisioni si può rilevare che solo entro certi limiti l’appaltatore può proporre azione di indebito arricchimento in relazione ai lavori eseguiti con contratto di appalto nullo per assenza di concessione edilizia.
Va in proposito chiarito che l’azione di indebito arricchimento ha carattere sussidiario e non è esercitabile quando il danneggiato possa esperire un’altra azione tipica nei confronti dell’arricchito, o di altre persone che siano obbligate per legge o per contratto nei confronti dell’impoverito, sempre che ricorra l’unicità del fatto costitutivo dell’arricchimento e dell’impoverimento. Nel caso in cui il direttore dei lavori in appalto, commissionati da un ente pubblico, disponga l’esecuzione di opere extracontratto agendo quale falso procuratore dell’ente, l’appaltatore può farsi indennizzare da quest’ultimo del pregiudizio subito, con conseguente improponibilità dell’azione sussidiaria di ingiustificato arricchimento (Cassazione 9 maggio 2002 n. 6.647).
Nel caso di azione di indebito arricchimento proposta dall’appaltatore il quale a causa della nullità del contratto di appalto non abbia ricevuto in tutto o in parte il corrispettivo pattuito, la Cassazione, con la decisione n. 2884 del 27 febbraio 2002, ha affermato che la locupletazione del committente non può essere esclusa in ragione della precarietà del suo diritto di proprietà sull’immobile abusivamente costruito, cioè della possibilità di provvedimenti autoritativi di demolizione dello stesso, dovendosi comunque tener conto dell’impiego che egli ne abbia eventualmente fatto nonostante quella precarietà e delle utilità economiche così ricavatene.

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