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una ricetta in 12 punti per accelerare la ripresa

Cosa succederà dal 2014? Per molti aspetti congiunturali - esaurirsi delle scorte, necessità tecniche di investimenti di ripristino, maggiore efficienza degli operatori economici ecc. - un barlume di ripresa prima o poi potrebbe vedersi, quantomeno per il fatto che per molto tempo avremo sofferto una profonda recessione e qualcosa alla fine i Governi dovranno fare per stimolare l’economia e promuovere gli investimenti. Ma questo non potrà avvenire senza che l’Italia riallinei alternativamente i salari verso un deciso ribasso, o la produttività del lavoro verso un deciso rialzo, quantomeno per pareggiare la media europea. Nel primo caso assisteremmo a una socializzazione dei danni, nel secondo a una netta disparità tra chi il lavoro ancora l’ha e chi invece l’ha già perso. Come è successo per l’agricoltura nel secolo scorso, in molti settori industriali succederà che con l’incremento della produttività per addetto, a determinati volumi di produzione non corrisponderà la medesima necessità di risorse umane, ma un numero molto inferiore. Anche il salario medio ne risentirà necessariamente, e il processo potrà essere compensato solo con la creazione di nuovi posti di lavoro in nuovi settori, caratterizzati da forte innovazione e da elevato livello di servizio immateriale. A causa della riduzione dei posti di lavoro disponibili e del calo del reddito medio da essi generato, rischiamo nei prossimi mesi di vedere molte manifestazioni di piazza. A nulla varrebbe la concertazione che una probabile vittoria del Partito Democratico può favorire: non si dialoga con la pancia vuota. La disoccupazione non potrà più contare sui generosi ammortizzatori sociali sinora elargiti, esasperando le tensioni interne nel nostro e negli altri Paesi nella stessa condizione. La stabilità politica sarà un lontano ricordo e l’ordine pubblico sarà meno certo per un tempo che è difficile stimare. Questi elementi non potranno che ulteriormente allontanare gli investitori internazionali, e con essi il miraggio di nuovi posti di lavoro. Un contesto a tinte fosche come quello descritto, spesso nella Storia è sfociato in conflitti, rivoluzioni o semplice imbarbarimento. C’è il rischio che una ciliegia tiri l’altra. La ricetta, in 12 punti, suggerita dal nostro staff agli imprenditori italiani è la seguente:

1. Avere il coraggio di cambiare ciò che non migliora; spesso le situazioni si trascinano avanti per pigrizia, non perché una revisione critica dei risultati suggerisce di proseguire in tale direzione. Ciò produce inefficienza e consuma gli sforzi di chi è valido e di chi lavora: il lavoro è necessario, e tanto, dati i tempi oscuri, ma è inutile se non è ben indirizzato.

2. Nonostante tutto, il futuro si costruisce con l’entusiasmo e la motivazione della gente. La migliore programmazione finanziaria, la riduzione degli investimenti a rischio, l’emersione e l’eliminazione di ogni sacca di inefficienza, le alleanze internazionali e intersettoriali per creare canali di comunicazione e reti interpersonali atte a supplire alla minor competitività del sistema industriale, sono le azioni che indichiamo, ma che saranno inutili se non sono motivati e incentivati non solo l’imprenditore, ma quanti con la loro iniziativa devono mandare avanti l’impresa.

3. Se non è possibile incrementare i prezzi di vendita o ridurre i costi operativi, occorre tentare di ridurre il capitale investito e i costi di produzione per ottenere un miglioramento dei margini aziendali e della redditività dell’investimento.

4. Incrementare - per chi può farlo finanziariamente - l’integrazione verticale dei fattori di produzione o la cooperazione e gli accordi di fornitura a monte e a valle, controllare meglio la catena della produzione, la redditività delle vendite, l’efficienza energetica (sarà un fattore scarso) e il consumo di materie prime.

5. Diversificare i canali e i mercati di sbocco; sebbene questo possa apparire l’opposto di quanto sancito in tutti i testi di management, l’inefficienza che la diversificazione potrebbe dare rischia di essere più che ricompensata dal mettersi al riparo dal crollo imprevedibile di taluna clientela, soprattutto quella di vecchia data, sulla quale si potrà contare sempre meno a causa della turbolenza generale.

6. Ridurre le spese generali e di conseguenza l’uso di assets fisici come grandi uffici, mezzi di trasporto privati, magazzini di materie prime e prodotti semilavorati; ridurre l’uso del denaro contante. In molti casi sono gli unici modi per far scendere il livello di capitale investito e creare maggiore efficienza.

7. Reperire in tempo le risorse finanziarie necessarie ai propri piani, sapendo che, nonostante le crisi, i capitali sono sempre a disposizione di aziende di successo, con buona capacità di programmazione e ottime prospettive, che spesso diventano appena decenti alla luce dei numerosi imprevisti in cui si può incorrere in tempi di crisi; forse la valutazione di più di uno scenario di mercato può aiutare a delineare correttamente il rischio.

8. Se, anche per la grande imprevedibilità che deriva dalla turbolenza economica, i piani aziendali non rivelano prospettive buone o ottime, se ottime previsioni potrebbero trasformarsi in risultati appena soddisfacenti e mediocri aspettative in un disastro, essi andranno rivisti e corretti molto in anticipo, per individuare nuove direzioni operative per la creazione di valore nel più breve tempo possibile; questo perché in un economia recessiva è difficile che i risultati arrivino nel lungo termine.

9. Una volta disponibili piani aziendali dettagliati, alla luce dei risultati che essi rivelano rivedere criticamente i fattori di produzione, sia per la ricerca della migliore efficienza e produttività sia per valutarne l’impatto ambientale; nonostante la crisi, infatti, il commercio internazionale non è in crisi - ed è quello che può salvare molti imprenditori italiani -, e normative più stringenti sull’eco-sostenibilità saranno all’ordine del giorno. 10. I fattori di produzione sono tra l’altro sempre forieri di messaggi occulti e spesso importanti; attraverso una revisione critica di tutto ciò che è tradizione e abitudine si può generare valore, rinnovare la tecnologia, migliorare la propria posizione competitiva, svecchiare la produzione nonché la catena logistica. È attraverso di essi che il sangue dell’impresa si rinnova.

11. Ragionare seriamente sul ticket minimo dimensionale da dover raggiungere affinché l’impresa non risulti, solo per questo fatto, più a rischio e meno efficiente della sua concorrente diretta di dimensioni superiori; la dimensione spesso conta, permette più libertà di manovra e consente un miglior controllo della catena del valore.

12. ­Ipotizzare non soltanto alleanze, networking e collaborazioni operative, bensì fusioni o confluenze di due o più aziende in un unica entità economica, per operare sui costi, sulla dimensione internazionale oggi divenuta fondamentale, e sull’innovazione di prodotto e di processo; meglio fondersi che perdere soldi, e chiudere. In Italia chiudono ogni giorno più di 1.600 imprese, gran parte delle quali poteva evitarlo stringendo alleanze con clienti, fornitori, concorrenti. Potremmo continuare, ma l’idea che quelle 1.600 chiusure, moltiplicate per i 366 giorni dello scorso anno, potevano evitarsi o ridurre assilla: bisogna fermare il declino. E la finanza aziendale, di questi tempi, tende a riprendersi il posto che le spetta da sempre: quello di cartina da tornasole della strategia. Quella vera, ovviamente. 

 

di STEFANO DI TOMMASO

amministratore delegato de La Compagnia Finanziaria  

Tags: Febbraio 2013 agricoltura lavoro innovazione comunicazione occupazione vendite finanza sostenibilità disoccupazione ecosostenibilità investimenti lavoratori Stefano Di Tommaso

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