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Possiamo vivere senza rispettare le leggi? come?

LUCIO GHIA

Proseguendo nella carrellata «Drivers of Corruption», pubblicazione dedicata dalla Banca Mondiale alla diffusione di pratiche corruttive, spiccano, tra gli altri, il caso portato alla luce dalla British Broadcasting Corporation - BBC News Europe che, nell’ottobre del 2013, ricostruì un grave scandalo corruttivo realizzato nella città di Marbella in Spagna con il concorso di 50 persone tra cui due sindaci e un «city planning chief». Costoro avevano consentito la costruzione di fabbricati in grave violazione degli strumenti urbanistici vigenti nel Paese e ben oltre i limiti stabiliti dai piani regolatori locali. In Francia si cita il caso della Elf Oil Company, protagonista di uno scandalo che ha coinvolto numerosi leader politici francesi ed africani: decine di concessioni per l’estrazione di petrolio erano state rilasciate solo in seguito a pratiche corruttive.
Quanto all’Italia vengono citati episodi corruttivi, peraltro non recenti, effettuati dalla cosiddetta «ndrangheta-mafia». Gli autori della pubblicazione «Drivers of Corruption» sostengono che l’ammontare annuo degli introiti derivati da pratiche corruttive sia pari al 3-4 per cento del prodotto interno  nazionale e che questi ricavi vengano investiti in affari apparentemente legali tra i quali appalti pubblici e contratti governativi in diversi Paesi europei.
Un altro caso citato nello stesso studio ha riguardato la British Bae System, una delle più grandi produttrici di armi, che per diverse decine di anni ha coinvolto, nei propri affari, politici britannici e rappresentanti governativi di almeno cinque diversi Paesi, per realizzare transazioni corruttive compiute ufficialmente ovvero comunicate al Fisco. Le relative indagini erano iniziate nei primi anni 2000 al tempo della cooperazione economica e sviluppo Oecd, solo dopo la firma da parte dell’Inghilterra delle convenzioni internazionali «anti-bribery» e «against corruption» (entrambe le locuzioni significano «contro la corruzione») da parte del Regno Unito.
Anche gli Stati Uniti vengono citati in relazione a molti casi di corruzione collusiva tra privati ed alti funzionari o rappresentanti del Governo, che hanno garantito benefici privati a danno degli interessi pubblici. Uno dei casi più gravi che ha coinvolto un notevole numero di funzionari dello Stato di New York ha riguardato l’autorizzazione di progetti di costruzioni e l’edificabilità di terreni. In particolare, viene segnalato il caso nel quale restano coinvolti il Governatore Rod Blagoviech dell’Illinois e un alto funzionario dello Stato dell’Ohio Jimmy Dimora, condannato a 28 anni di prigione per 33 diversi fatti di corruzione. E negli Usa le pene detentive si scontano davvero.
Come si vede il fenomeno è decisamente internazionale e globale. Anche gli italiani portano il loro «saio da penitenti»: infatti l’Italia, per quanto attiene alla corruzione, presenta un «ranking» molto elevato nelle classifiche internazionali. Spesso la diffusione del fenomeno è esaltata dal clamore che accompagna alcuni scandali nostrani, sia per gli ambienti politici e istituzionali nei quali vengono consumati, sia per il danno pubblico che ne deriva.
Personalmente sono convinto che il numero dei cittadini onesti che rifiuta e combatte la corruzione sia estremamente più numeroso di quello dei corrotti che resta in assoluta minoranza. Ma non è questa la sede per indagare sul perché altri Paesi vengano considerati migliori di noi; ovvero sul come e da chi vengano predisposti i questionari internazionali, o su coloro i quali sono chiamati a fornire le risposte dalle quali dipende il nostro «ranking» o «rating» sulla (in)efficacia della lotta alla corruzione in Italia. Certo è che, se vogliamo attrarre finanziamenti esteri, dobbiamo imparare ad essere e ad apparire diversi da come ci dipingiamo e veniamo percepiti, adeguandoci ai modelli normativi che gli organismi internazionali ci forniscono, ma che evidentemente i nostri legislatori con le loro Commissioni di esperti, non conoscono.
Altrettanto certo è che corruzione ed evasione fiscale sono facce della stessa medaglia. Danaro «nero», economia sommersa, finanza alternativa, corruzione ed evasione fiscale, costituiscono tutti gravi ostacoli allo sviluppo del Paese perché distorcono le priorità politiche, gonfiano i prezzi, appesantiscono le performance, aumentano i costi di qualsiasi transazione e di qualsiasi acquisto per i cittadini e per le imprese. Si tratta di introiti «rubati» allo Stato e questa «tassa» sottostimata finisce per far sì che le nazioni, e non solo quelle in via di sviluppo, non riescano a fornire quei servizi pubblici - o ad elevarne la qualità - che qualsiasi Paese deve assicurare ai propri cittadini, mentre la circolazione del danaro illecito incide negativamente sulla capacità di creare una cornice istituzionale tale da attrarre affari, imprenditori, nuove capacità finanziarie e da sviluppare le industrie.
Molto spesso questi fenomeni inquinano anche gli aiuti stranieri o li distolgono dalla loro originaria destinazione. In sostanza, tali pratiche corruttive rappresentano la maggiore lesione alla cultura del diritto perché mettono in discussione una domanda principale: possiamo vivere senza rispettare la legge? È quanto di più pericoloso per qualsiasi società democratica, è un cancro che mina la regola base, il rispetto della legge che nutre qualsiasi forma di società democratica.
E veniamo alle soluzioni: nel numero dello scorso aprile di Specchio Economico ho dato conto di alcuni suggerimenti che derivano dalle «best practices» internazionali raccolte dalla Banca Mondiale. Tra questi sintetizzo: a) il disboscamento legislativo è necessario perché nell’eccesso di regole si annida l’incentivo a ricercare le scorciatoie, attraverso la corruzione, e le regole in Italia, dove le sue 300 mila leggi circa, sono decisamente troppe; b) il numero di autorità preposte a concorrere al rilascio della stessa autorizzazione va ridotto, per evitare le complicazioni e le lungaggini che ne derivano. In molti Paesi la creazione di uno «sportello unico» al quale il cittadino si rivolge ha dato buoni risultati in termini di lotta alla corruzione; c) l’inamovibilità dei funzionari va eliminata. In molti Paesi la durata degli incarichi nella stessa funzione, o nello stesso ufficio, è triennale; d) la scarsa trasparenza degli atti amministrativi e la mancanza di tracciabilità del procedimento autorizzatorio indeboliscono la fiducia del cittadino nel servizio pubblico e nei funzionari; e) la normativa penale che dovrebbe costituire il deterrente più significativo contro la corruzione si è dimostrata scarsamente efficace.
Sono tutte iniziative che dovrebbero essere poste in essere contemporaneamente, ma il contesto sociale deve essere adatto: ovvero la lotta alla corruzione deve essere condivisa da tutti. Infatti, il modello etico e culturale della società ha una profonda incidenza nella lotta alla corruzione. La ricerca e la capacità di creare una psicologia individuale che difenda l’onestà, l’introduzione di condizioni di trasparenza che devono connotare l’attività di ogni soggetto economico in particolare gli atti amministrativi, la realizzazione di un serio percorso di semplificazione delle strutture burocratiche e dei controlli formali e sostanziali, costituiscono tutte le sfide che dobbiamo assolutamente accettare e vincere per poter vivere tutti meglio.
L’epoca dei furbi, l’epoca non tanto lontana in cui era lecito mentire nella dichiarazione dei redditi o era giustificato l’arrotondamento del «magro» stipendio con «elargizioni» sempre meno liberali, è destinata a tramontare e non solo perché l’Europa ce lo chiede, ma perché la civiltà telematica ce lo impone. In realtà, sotto il profilo normativo vanno registrati significativi interventi.
La legge n. 190 del 2012, ha affrontato questa tematica in modo organico e innovativo, ed ha rappresentato un consistente passo avanti nella lotta alla corruzione. Ha comportato, infatti, la creazione dell’Autorità prevista dalla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione e dalla Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo del 27 gennaio 1999 e ratificata dall’Italia con la legge n. 110 del 2012.
Tutte le Amministrazioni sono state coinvolte, basta ricordare l’introduzione del «responsabile della prevenzione della corruzione» e la prescrizione dei piani anticorruzione sia a livello centrale che delle singole amministrazioni periferiche. Certamente si tratta di un cammino lento, visto che dalla Convenzione di Strasburgo alla sua ratifica sono trascorsi 13 anni, ma il percorso è iniziato, molte istituzioni centrali ed alcune Regioni hanno il proprio piano anticorruzione molte altre lo stanno adottando. Forse la condivisione di questi piani a livello più accentrato potrebbe sveltire il procedimento.
Anche la normativa repressiva di natura penale sta facendo in Parlamento importanti passi avanti. Va sottolineata l’ulteriore riforma che si sta attuando ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione che, puntando sulla trasparenza dell’attività amministrativa, dovrebbe eliminare il contesto, davvero significativo quanto onnipresente, favorevole alle pratiche occulte, ai favori interessati a realizzare l’interesse particolare e non quello generale.
La trasparenza, la chiarezza, la comprensibilità dell’agire della Pubblica Amministrazione significa buon governo, legalità ed imparzialità, valori che restano il fondamento della democrazia, creando attraverso il rispetto della legge, e la consapevolezza della certezza della punizione, quella indispensabile fiducia, basata sulla «conoscenza», nei rapporti tra cittadino e pubblici poteri.
Per procedere in questa prospettiva senz’altro positiva e costruttiva, lo sforzo deve essere comune e coeso nel costruire, recuperare e rinforzare in ciascuno di noi quella coscienza etica senza la quale anche i migliori strumenti legislativi si rivelano limitati, e le misure più rigorose, quali ad esempio il trasferimento ogni tre anni dei funzionari e dirigenti pubblici ad altri incarichi, non danno i risultati sperati. Solo la condivisione generale di valori etici a tutela della «res pubblica», può vincere la guerra contro la corruzione, nella convinzione che una società basata su pratiche disoneste e l’interesse individuale a danno di quelli generali avrà i servizi e la qualità della vita che merita, in perenne peggioramento.  

Tags: Maggio 2015 Lucio Ghia usa corruzione lotta alla corruzione

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