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CORSERA STORY. QUANTA GENTE È INTENTA OGGI A DIRIGERE UN GIORNALE!

Non so per quali motivi si è verificato il cambiamento, ma un tempo, quando io fui chiamato al Corriere della Sera, ad indicare l'appartenenza, la proprietà, il vertice del giornale, era riportato, in una striscetta dello stesso, un solo nome, quello del direttore responsabile, figura che deteneva sia la direzione dell'attività redazionale sia la responsabilità penale e civile per quanto si pubblicava. Rari erano i giornali che riportavano due nomi, quello del direttore cosiddetto «politico» - ma questo aggettivo raramente compariva -, e quello del direttore responsabile.
Negli anni 50, pertanto, il Corriere pubblicava solo due righette con scritto: «Direttore responsabile» nella prima, e «Mario Missiroli», pro tempore, nella seconda. E così andò avanti per molti anni. Oggi lo stesso giornale pubblica ogni giorno un colophon, ossia un apposito spazio a piena pagina alto sei centimetri riservato alla gerenza, nel quale figurano ben ventotto nominativi. Tutti di giornalisti? No. Solo sei sono di giornalisti, comunque moltissimi rispetto all'unico di cinquant'anni fa.
Il nome dell'attuale direttore responsabile, Ferruccio de Bortoli, figura oggi nel colophon del Corriere seguito da quelli di uno staff di colleghi: il condirettore, che è anch'egli direttore ma non è né responsabile né «politico», è piuttosto quello che in altri casi si chiama vicedirettore vicario. Non bastava chiamarlo così? E no, perché non si distinguerebbe molto dagli altri vicedirettori, che sono una pattuglia, ben quattro, dei quali uno ovviamente donna. Comunque, dinanzi alle due righine dedicate un tempo al direttore, oggi solo lo staff giornalistico ne assorbe ben nove.
Certamente il Corriere della Sera di oggi è ben più nutrito di notizie, servizi e foto, e più folto di pagine di quello di un tempo. Domenica 8 aprile scorsa, Pasqua di Resurrezione, per esempio, era costituito da 72 pagine, ma va precisato che buona parte di esse erano zeppe di pubblicità, e su queste non hanno alcuna competenza i giornalisti, che anzi sono in eterna lotta con gli amministrativi per difendere gli spazi destinati all'informazione; spazi che questi ultimi, per «fare cassa», cercano continuamente di insidiare appunto con la pubblicità.
Perché così tanti vicedirettori? Per sostituire un direttore solitamente assente perché assorbito dai rapporti con la proprietà, dagli incontri con i politici, da impegni di rappresentanza, da viaggi, distrazioni, hobby vari? Niente di questo con Ferruccio de Bortoli. La spiegazione sta nel fatto che in realtà i vicedirettori sono dei capi-redattori, curano ognuno un settore specifico del giornale. Ma i giornalisti odierni, a differenza di quelli di un tempo, sono contagiati dal morbo della «visibilità», diffuso dalla televisione che lo favorisce propinandogli una medicina che si chiama «indennità video». Tanto che, appunto in tv, si fa del tutto per «andare in video» anziché per studiare l'italiano, che gli risparmierebbe clamorosi errori. Come quelli trasmessi ai primi di aprile commemorando «Rosario Bentivenga» anziché Bentivegna, e rievocando le «rastrellazioni di massa» anziché i rastrellamenti seguiti all'attentato di Via Rasella a Roma.
Ma dove veramente si è verificata non solo un'apparizione di nomi prima inesistenti, ma una loro proliferazione abnorme è la parte del colophon riservata agli amministratori del giornale. Un tempo al massimo si pubblicava il nome del direttore amministrativo, affiancandolo a quello del direttore responsabile; ora si pubblicano una raffica di nominativi giunti, nel Corriere della Sera, a quota 22. Si tratta dell'intero Consiglio di amministrazione della società proprietaria del giornale.
In testa alla compagnia figurano i nomi del presidente e del vicepresidente del Consiglio, rispettivamente Piergaetano Marchetti e Renato Pagliaro; poi quello dell'amministratore delegato e direttore generale Antonello Perricone. Quindi, compatti e allineati per tre in ben sei file, quelli dei consiglieri di amministrazione, schierati come un'antica coorte pretoria romana. Seguiti dal nome del direttore generale della divisione Quotidiani del Gruppo RCS. Non si era mai visto uno spiegamento tale di proprietari, soci o rappresentanti di uno o più giornali.
Nomi altisonanti, il fior fiore dell'economia e dell'industria nazionale, nomi molto noti, per di più, tra la massa dei lettori - a Pasqua del Corriere della sera sono state stampate 608.488 copie -, conosciuti soprattutto per le loro attività e le loro produzioni, «re» di auto, di scarpe, di costruzioni, di elettrodomestici, di banche, di assicurazioni ecc. La legge impone forse di indicare sui giornali i nomi dei loro proprietari? Certamente si tratta di una prassi impensabile cinquant'anni fa, ma utilissima o addirittura necessaria oggi. Poiché i giornali riportano notizie, commenti e approfondimenti destinati ad influenzare i lettori, è necessario far conoscere a questi chi c'è dietro quanto viene pubblicato, i loro affari, i loro interessi, le loro alleanze.
Anzi a mio parere, a parte il nome dei consiglieri di amministrazione, ben poco o quasi nulla si sa della galassia di interessi che ruotano intorno ai grandi giornali. Molto di più, quindi, bisognerebbe inserire nei colophon ma, essendo questo pressoché impossibile, le relative notizie dovrebbero essere riportate in siti on line o in apposite pubblicazioni. Si è concessa la facoltà alle banche, alle assicurazioni e ad istituzioni simili di acquistare e detenere giornali atti ad influenzare la massa giorno per giorno, lentamente, surrettiziamente, propinando notizie, commenti, interpretazioni di parte, senza un contraddittorio, senza l'obbligo di riportare le opinioni opposte? Quanto meno occorre individuare, far conoscere sempre la cosiddetta «altra campana».
A chi spetta questo compito se la proprietà dei grandi giornali riesce ad influire anche sulle organizzazioni che teoricamente dovrebbero rappresentare cittadini e lavoratori, ossia i partiti e i sindacati? Spetta sicuramente ai giornalisti, da qualunque parte siano schierati e da qualunque gruppo politico o finanziario dipendano. I giornalisti del tutto ossequienti verso gli interessi esclusivamente di una o di un'altra parte possono fare carriera professionale, ma non sono veri giornalisti.

Victor Ciuffa

Tags: Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista giornalisti editori via Rasella Maggio 2012 Mario Missiroli

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