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franco carraro, 50 anni tra sport, imprenditoria e politica

Franco Carraro, vicepresidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato

escaA soli 23 anni ha diretto, da presidente e per ben 14 anni, la Federazione Italiana Sci Nautico, dopo aver conquistato, nei Mondiali del ‘57, la medaglia di bronzo in tale specialità. Vicepresidente e poi presidente del Milan Calcio, due volte presidente della Federcalcio, presidente del Coni, ministro del Turismo e Spettacolo e sindaco di Roma: sono alcuni tra i prestigiosi incarichi ricoperti da uno degli uomini più influenti e managerialmente più longevi dello sport italiano, Franco Carraro. Nato a Padova, milanese di adozione, laureato in Economia e Commercio, Carraro, che vive a Roma, dopo 23 anni è rientrato lo scorso febbraio nel mondo politico: è stato eletto senatore del Pdl e attualmente è vicepresidente della commissione Finanze e Tesoro. Tra i massimi dirigenti ed esperti di calcio in Italia, è stato presidente della Lega Calcio e del comitato organizzatore dei mondiali di calcio Italia ‘90. In ambito internazionale è stato coordinatore delle leghe europee, vicepresidente della commissione Uefa per il calcio professionistico e presidente dell’Associazione dei comitati olimpici europei. Dal 1982 rappresenta l’ltalia nel CIO, insieme a Mario Pescante, Ottavio Cinquanta e Manuela Di Centa. Ma la sua carriera si è dipanata anche come manager del settore privato: presidente di Impregilo, consigliere di amministrazione di Capitalia, presidente del Mediocredito Centrale, banca in cui ha poi ricoperto la carica di consigliere di amministrazione fino alla nomina a senatore della Repubblica.

Domanda. Quale progetto occorrerebbe per la candidatura italiana alle Olimpiadi del 2024 di cui ora si riparla?
Risposta. Hanno mostrato interesse alla candidatura sia Milano che Roma. Milano sta valutando di utilizzare l’area destinata all’Expo, spazio che essendo di 36 ettari, è forse sufficiente. La Regione Lombardia e il Comune di Milano poi, sono giustamente preoccupati per l’immediato riutilizzo dell’area dopo l’Expo che terminerà nell’ottobre del 2015, mentre la decisione del CIO sulla candidatura arriverà nel 2017. Per quanto riguarda Roma, il sindaco Ignazio Marino ha annunciato l’interessamento, ma non conosco il progetto. Come «civis romanus» che gira il mondo, segnalo che la capitale, che nel suo centro storico ospita il 20 per cento delle opere d’arte di tutto il mondo, ha una grande carenza di infrastrutture viarie e di ricezione, totalmente inadeguate ad una buona qualità della vita e ad uno sviluppo turistico valido. Per il Giubileo nel 2025 vi sarà un grande afflusso di fedeli, se a tale appuntamento religioso si aggiungesse quello del 2024 vi sarebbe uno stimolo in più per dotare la città delle strutture di cui è mancante. Il progetto di Roma 2020, al quale il Governo Monti ha rifiutato la candidatura, era improntato all’attuale periodo di grande austerità e basato su costi limitati; penso che quello del 2024 dovrebbe essere un progetto di maggiore respiro. Parallelamente sarà indispensabile una forte azione di lobby.

D. Da politico e sportivo, come pensa di agire in concreto per favorire l’eventuale candidatura di Roma?
R. Se l’Italia vorrà portare avanti la candidatura olimpica, sarà necessario fare esprimere il Parlamento, da aggiungersi al sostegno del Governo. Se Senato e Camera si pronunciassero entrambe a favore, l’eventuale candidatura sarebbe più forte. Sono pronto a mettere a disposizione la mia esperienza in materia.

D. Si potrà contare sulla simpatia per l’Italia e quindi sull’appoggio del nuovo presidente del Comitato internazionale olimpico, Thomas Bach?
R. Bach è sicuramente un simpatizzante dell’Italia, ma credo che nessun presidente del CIO si esprimerà mai a favore di qualcuno, anche in virtù del meccanismo introdotto dall’ex presidente Juan Antonio Samaranch in base al quale il presidente rinuncia al diritto di voto in tutte le votazioni. Penso che Bach si manterrà nella tradizione. Non dobbiamo cercare favori, ma di avere un buon progetto. Poi bisognerà che il comitato promotore e i membri del CIO, di cui faccio parte, operino per sostenerlo.

D. Come ministro del Turismo e dello Spettacolo lei ha lavorato con tre consecutivi presidenti del Consiglio, Giovanni Goria, Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti. Può ricordare qualche episodio di cui è stato protagonista con queste tre personalità?
R. Nel governo Goria c’erano tutti i big democristiani di allora, Giulio Andreotti, Antonio Gava, Carlo Donat Cattin, Amintore Fanfani ecc. Anche a una persona non avvezza alle sottigliezze della politica come me, apparve chiaro che tutti parlavano «a suocera perché nuora intenda» e preparavano la successione a Goria fin dal primo momento. L’unico che l’appoggiava era Fanfani, probabilmente conscio di essere alla fine della carriera; faceva il ministro dell’Interno con grande rigore e serietà, e si capiva che i suoi punti di vista non erano strumentali. La parabola di Ciriaco De Mita nel Consiglio dei ministri, secondo me, spiega quello che era la Democrazia Cristiana, e perché i suoi membri più di destra e più di sinistra non hanno mai amato Silvio Berlusconi. De Mita, persona di grande spessore intellettuale e di ottima capacità pratica, divenne presidente del Consiglio nella primavera dell’88 essendo segretario della DC. Nel successivo settembre ottenne l’abolizione del voto segreto tranne che per alcune materie. Sembrava avere tutto il potere nelle proprie mani. Invece nel gennaio 1989 la DC definì incompatibili i suoi due incarichi, lo costrinse a lasciare la Segreteria del partito e, a maggio, la presidenza del Consiglio. La DC ha sempre concepito il presidente del Consiglio come un «primus inter pares». Per me Andreotti resta, ancor oggi, l’uomo di governo con le migliori capacità operative dal dopoguerra.

D. Che cosa ricorda di Bettino Craxi?
R. Craxi è stato un grande statista e un uomo di qualità, la storia farà giustizia di una serie di luoghi comuni che continuano ingiustamente a perseguitarlo. Con il senno del poi direi che sia stato vittima di una sorte beffarda, perché egli ha pagato proprio nel momento in cui la storia ha sancito che avevano ragione i socialisti e torto i comunisti. Forse, se avesse pensato a un’intesa con il PCI nel periodo successivo alla caduta del muro di Berlino, magari prevedendo che alla testa ci fosse una figura come Giorgio Napolitano, un comunista che rappresentava culturalmente un’area riformista, la storia della sinistra italiana sarebbe stata diversa. La mia però è una riflessione  fatta molti anni dopo.

D. Dopo 20 anni lei è tornato alla politica nelle fila del Pdl, in un ruolo legislativo dopo aver esercitato quello esecutivo. Quale differenza vi trova? E che pensa dell’attuale travaglio all’interno del centrodestra?
R. Mi è stata offerta una candidatura che ho accettato con entusiasmo. Avendo accumulato un bagaglio di esperienze in vari settori, sport, economia e politica, penso di poter contribuire alla formazione delle leggi, evitando ruoli operativi. Quanto alle diverse opinioni che si manifestano all’interno del Pdl, le ritengo assolutamente legittime e inevitabili in un grande partito. Ma sarebbe molto meglio se, prima di esternarle, ci si confrontasse in un dibattito interno.

D. Come manager, ha esperienza di banche e imprese. Cosa ricorda del suo operato nei due settori?
R. Per 5 anni sono stato presidente dell’Impregilo, grande impresa di costruzione che opera in tutto il mondo. Quell’esperienza mi ha fatto toccare con mano quanto il nostro Paese sia arretrato nelle modalità e nei tempi di decisione. Cito l’episodio del ponte di Oresund di 15 chilometri collegante la Svezia con la Danimarca, Paesi iper-democratici e iper-ambientalisti. La gara, che non fu vinta dall’azienda che dirigevo, si svolse nel dicembre 1994 e il ponte fu inaugurato nel 1999. L’Italia dovrebbe prendere esempio da questa tempistica nelle decisioni. Non mi sorprende se ogni anno perdiamo qualche punto nelle classifiche internazionali. L’esperienza come presidente del Mediocredito Centrale mi ha insegnato a conoscere meglio la società e i rapporti tra finanza, economia ed impresa. Mi è apparso chiaro quanto un problema della nostra economia riguardi proprio i nostri capitalisti che, in molti casi, non hanno o non mettono capitali a sufficienza nelle imprese. E i risultati si vedono.
D. In che cosa è cambiata la figura del manager di federazione sportiva?
R. Il ruolo e l’importanza dello sport in Italia e nel mondo sono molto cresciuti. Non non c’è manifestazione che raccolga tanti capi di Stato e di governo quanto l’inaugurazione delle Olimpiadi. Credo però che il dirigente sportivo, anche di alto livello, debba svolgere il proprio ruolo operando da dilettante, non a tempo pieno. Oggi molti dirigenti fanno solo i presidenti di federazione.

D. Nel 2011 la giunta del Coni l’ha nominata commissario straordinario della Federazione italiana sport invernali. Come ha ricomposto il mondo della Federazione dello sci?
R. Ho fatto prevalere il dialogo rispetto alla contrapposizione, e ho operato in modo che, una volta eletto il nuovo presidente, Flavio Roda, trovasse un ambiente predisposto al dialogo. La Federsci era ed è un mondo sano e vitale, che aveva bisogno di una pausa di tranquillità. Spero che gli atleti italiani facciano bene nelle Olimpiadi invernali di Sochi del 2014, ci sono possibilità anche se la concorrenza è agguerrita.

D. Lo scorso maggio, nel vertice del Coni è apparsa probabile la candidatura di Cortina d’Ampezzo per i mondiali di sci del 2019. Come vede il progetto?
R. Se realmente vuole Cortina può vincere. Tra i tanti meriti forse il più rilevante della città è essere cresciuta rispettando la natura. Con il suo comprensorio è un posto bellissimo. Ma non si possono ospitare i campionati del mondo di sci se non si realizzano adeguate infrastrutture che sono però un po’ invasive nel territorio. Cortina deve scegliere se accettare l’inevitabile mutamento ambientale.

D. Nel 1977, sotto la presidenza di Giulio Onesti, furono eletti due vicepresidenti del Coni, Beppe Croce e lei, con la sconfitta del potente manager Artemio Franchi. A 36 anni da quel misterioso episodio può svelare qualche retroscena?
R. Con le regole di allora i due vicepresidenti dovevano essere presidenti di federazione, e Franchi aveva lasciato a me la presidenza della Federcalcio in quanto presiedeva l’Uefa. L’accordo prevedeva che rimanesse nella giunta del Coni, ma non fu eletto. Ci fu chi lo considerò vittima dell’avversione nutrita verso il calcio dagli altri presidenti di federazione, e chi della volontà di Onesti. All’inizio io non accettai la vicepresidenza pensando a una manovra contro di lui, poi Onesti ma soprattutto Franchi mi convinsero ad accettare. Franchi continuò a collaborare nel mondo federale sportivo con un incarico ad hoc.

D. Lei lasciò la presidenza della Federcalcio nel 2006, quando scoppiò lo scandalo Calciopoli. Perché lo ribattezzò Arbitropoli?
R. Si è appurato che in realtà era un problema di arbitri, dei loro designatori e di qualche dirigente di società. Il calcio italiano ha perso molte posizioni in Europa nel numero di spettatori e nei risultati delle squadre di club. Una volta l’Italia gareggiava con l’Inghilterra per rappresentare il campionato più importante, su tale fronte oggi abbiamo perso posizioni. Parallelamente citerei l’importanza del mondo dilettantistico, molto forte allora come oggi.

D. Che può fare la politica per il calcio? Basta una nuova legge sugli stadi?
R. Può fare quello che lo sport le chiede, anzitutto snellire le pastoie burocratiche che ostacolano l’attività delle società sportive. Se il mondo sportivo chiederà la modifica della legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo, si procederà ma finora non sono arrivate proposte precise. Lo stesso per la legge sugli stadi. Se il mondo sportivo compatto presentasse un progetto razionale, il Parlamento potrebbe rispondere positivamente. Ma nessuna legge consentirà disastri urbanistici e cementificazioni.

D. Tra i problemi annosi del calcio quale preoccupa di più: doping, match-fixing, violenza e razzismo?
R. La lotta al doping sarà perenne, non la si vincerà mai, ma si dovrà continuare a combatterla. Le battaglie contro il razzismo e la violenza negli stadi si possono vincere. Le scommesse clandestine sono un cancro planetario e le autorità sportive in tutto il mondo devono collaborare con il potere giudiziario e con le forze dell’ordine.

D. Massimo Moratti ha venduto l’Inter all’indonesiano Thohir; Berlusconi non vuole o non può più spendere; la Roma è in mani Usa: il calcio italiano può dipendere solo dalla finanza straniera?
R. Gli investimenti stranieri sono un fattore positivo, provano che il nostro calcio ha un appeal internazionale. Nel campo dei diritti tv del calcio mondiale il campionato italiano vale poco, mentre la Premier League, la serie A inglese, ha un grande prestigio. Thohir, che ha acquistato l’Inter, mostrando la squadra ad un bacino tv di 140 milioni di persone apre una luminosa finestra sul calcio italiano di serie A.

D. È irreversibile la posizione del calcio italiano dei club, sempre alle spalle di Germania, Spagna e Inghilterra?
R. Con la crisi economica gli imprenditori che prima investivano nel calcio oggi non lo fanno. I grandi introiti delle società di calcio sono i diritti tv, il merchandising e la vendita dei biglietti. Sui diritti tv siamo forti in campo nazionale, non all’estero; nel merchandising siamo molto indietro perché l’Italia non combatte la contraffazione merceologica e i club non incassano royalties sulla vendita. Abbiamo stadi vetusti dove la mancanza di sicurezza non attrae le famiglie.

D. Come giudica la Nazionale?
R. Salvo l’esperienza negativa dell’Europeo 2008 e del Mondiale 2010, è una compagine di altissimo livello comportamentale ed agonistico. Questo fa ben sperare per i mondiali del Brasile 2014.

D. Cosa pensa della convocazione di Totti in nazionale?
R. Se a giugno prossimo Francesco Totti sarà nell’ottima forma attuale, con l’esperienza e la maturità raggiunta costituirebbe un grande valore aggiunto. Se a 37 anni gioca ancora così bene, vuol dire che ha una scorza dura mista a serietà, preparazione e stile di vita.

D. Quali fuoriclasse del calcio l’hanno più emozionata?
R. Mi hanno sempre appassionato l’estro e il talento di Gianni Rivera. Nella Nazionale sono più affezionato a Gigi Riva, l’unico che trascende la figura del giocatore assurgendo a mito. In campo internazionale citerei Pelé, un fenomeno della natura, e Maradona, che nella vita ha combinato disastri ma nel calcio è stato un genio. 

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