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GIANNI BOTONDI: COSÌ LA DIFESA AIUTA L'INDUSTRIA. E VICEVERSA

«Il compito di elaborare e sviluppare le strategie commerciali, produttive, gestionali, di partnership ed altre destinate a regolare la vita e l’evoluzione delle imprese che lavorano per la Difesa spetta in primo luogo alle stesse; non è competenza né responsabilità della politica né dei militari interferire in questo processo se non per il contributo alla definizione delle condizioni indispensabili a un corretto flusso di informazioni e decisioni tra i settori in cui la politica, la difesa e l’industria esercitano la propria funzione». Con questi due lapidari concetti il Generale di Corpo d’Armata Gianni Botondi, segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli Armamenti, ha delimitato il ruolo dei militari nella definizioni dei programmi dell’industria produttrice di sistemi per la Difesa, sottolineando, tuttavia, che «nel mondo reale, le strategie elaborate dall’industria non possono essere compiutamente ed efficacemente attuate se non sono in qualche misura recepite, condivise, sostenute e rese applicabili dalla politica e dai militari, per quanto loro spetta, soprattutto quando si parla di industria per la difesa, ma anche più in generale di tecnologie di interesse strategico per il Paese». Quando si parla di strategie industriali, precisa il generale Botondi, «il ruolo dei militari è di esprimere suggerimenti, orientamenti e valutazioni; tutto ciò, nell'intento di contribuire a un'analisi più chiara dei problemi sul tappeto e alla definizione delle scelte più idonee a soddisfare gli interessi globali del ‘sistema’ industria-difesa-paese».

L’occasione per questa sintetica ma chiara enunciazione è stata offerta, a fine settembre, dall’annuale convegno organizzato da Alenia Aeronautica, questa volta a Sorrento, sul tema «Dalle competenze alle strategie, come affrontare i mercati globali». Il generale Botondi è esperto in materia di armamenti, sia perché da giovane è stato allievo delle Scuole di Guerra italiana e francese, sia per gli incarichi ricoperti nel corso della carriera, sia infine per l’attuale ruolo di responsabile nazionale degli armamenti. In questa intervista il generale illustra la posizione dei vertici delle Forze Armate nel contesto globale in cui opera l’industria della Difesa.

Domanda. Quali sono a suo avviso i principali fattori di cui devono tener conto gli operatori del settore - politici, industriali e militari -, le strategie necessarie per affrontare con successo una sfida che ha ormai, nei diversi settori, un carattere sempre più ampio e interconnesso?

Risposta. Alcuni dei temi principali sul tappeto - all’attenzione di tutti gli operatori che, con diverse competenze, si occupano della materia -, sono l’interdipendenza sempre più stretta dei mercati, nella prospettiva della globalizzazione; il ruolo degli Stati Uniti e quello (in parte non ancora pienamente sviluppato) dell’Europa, quali fattori centrali della politica di sicurezza internazionale; la riaffermazione della qualificata presenza russa; il «peso» del Giappone e quello crescente di Cina e India, sul piano economico non meno che politico e militare; e, ancora, i problemi dell’energia, delle risorse idriche e dell’ambiente, tutti all’origine di potenziali conflittualità future la cui ampiezza e intensità potrebbero far impallidire le pur drammatiche crisi originate dal terrorismo e dai conflitti «tradizionali». Non è pensabile di poter affrontare in maniera vincente queste sfide mediante una soluzione «separata» e isolata da parte dei singoli protagonisti, siano essi politici, militari o industriali: è, questa, una considerazione che vale sia in ambito nazionale sia, inevitabilmente, in ambito internazionale.

D. Può indicare delle linee-guida valide più in particolare per l’industria per la difesa, al fine di assicurarle un futuro in un mercato sempre più globale e competitivo?

R. Ritengo che per l’industria sia di vitale importanza capire quali sono le capacità critiche da sviluppare, salvaguardare o acquisire; quali le alleanze «interne» e internazionali da perseguire, e quali i programmi sui quali collaborare (in alternativa a soluzioni «domestiche» talvolta impraticabili per i limiti delle risorse o del mercato); quali infine siano le tecnologie sulle quali investire, e le fasce di prodotto per le quali può essere invece più conveniente e meno rischioso approvvigionarsi sul mercato. In una parola, occorre la visione necessaria per affrontare l’urto della concorrenza a bassi costi di produzione, il dilagare in un numero crescente di Paesi delle tecnologie per la produzione dei sistemi delle fasce meno sofisticate e le sfide dell’accesso a nuovi mercati, a volte sottodimensionati in relazione alla natura dell’offerta, a volte non pariteticamente accessibili anche quando le aziende sono in grado di proporre equipaggiamenti e sistemi concorrenziali in termini di costi e di prestazioni. Le imprese che più facilmente riusciranno ad adattarsi alle nuove sfide e alla mutata natura e distribuzione dei mercati, assicurandosi la possibilità di difendere e di accrescere la propria presenza e la propria quota, saranno quelle che prima e meglio delle altre riusciranno a capire qual è la reale posta in gioco, e che sapranno individuare e mettere in atto le strategie idonee a salvaguardare e promuovere i propri interessi grazie al proprio patrimonio di conoscenze e tecnologie, alla disponibilità ad investire nell’innovazione tecnologica e dei processi, alla massa critica consolidata, alla competitività e alla capacità di avvalersi di un’adeguata politica di relazioni e alleanze internazionali.

D. Questo per quanto riguarda l’industria; quali sono invece a suo giudizio i criteri che dovrebbero guidare i responsabili politici nell’assegnazione delle risorse alla Difesa?

R. Ritengo che in primo luogo vadano definiti i livelli di ambizione nazionale, vale a dire il ruolo e l’influenza che il Paese ritiene di dover esercitare nel mondo. Per conseguire gli obiettivi che discendono da tale «ambizione» è necessario predisporre gli opportuni strumenti diplomatici, culturali, economici e, non ultimo, militari, e in questo contesto decidere le risorse da assegnare alla Difesa. Spetta alla politica indicare i risultati da conseguire e provvedere a una coerente assegnazione di risorse, mentre è compito dei militari, nell’ambito delle loro conoscenze tecniche e competenze professionali, pensare all’organizzazione, all’equipaggiamento e alla preparazione del dispositivo di difesa e sicurezza di cui il Paese intende dotarsi.

D. Quanto influisce questo quadro sull’industria della Difesa?

R. Oggi non si opera più in un contesto nazionale, ma di globalizzazione: ciò non toglie che per le industrie per la difesa il mercato interno continui a rappresentare un fattore rilevante, per tutta una serie di motivi che, accanto all’aspetto puramente economico, riguardano ad esempio la fondamentale «validazione» di un determinato sistema che, agli occhi di un possibile cliente estero, è pur sempre rappresentata dall’adozione da parte delle Forze Armate del paese produttore. Per crescere, l’industria deve tuttavia essere presente in modo valido - il che significa competitivo, in termini di costi e di prestazioni - sul mercato internazionale. È questa la strada che è stata scelta anche dalla Finmeccanica che, preso atto della contrazione delle risorse destinate agli investimenti e alle manutenzioni nel mercato interno, ha cercato di aumentare la propria presenza nel mercato esterno, ottenendo risultati più che brillanti grazie alla disponibilità di prodotti dotati di un adeguato «appeal» prestazionale e tecnologico, e all’intelligente politica di presenza, apertura e collaborazione praticata su scala internazionale: ne sono prova la vendita agli Usa dell’elicottero presidenziale AgustaWestland US 101 e dell’aereo da trasporto tattico leggero C-27J. Finmeccanica è molto attiva nel mercato europeo, dove partecipa per esempio alla realizzazione del caccia Eurofighter, ma anche nel cercare di aumentare la connotazione europea del programma transatlantico JSF per lo sviluppo e per la produzione di un velivolo tattico di nuova generazione.

D. Quali sono le attuali tendenze nel settore degli armamenti?

R. Assistiamo a due fenomeni concorrenti che in parte si sovrappongono. Il primo è il cambiamento del quadro strategico generale, per cui le esigenze della difesa sono sempre più interconnesse con quelle della sicurezza interna, come nel caso del controllo dei flussi migratori, della lotta alla criminalità, del soccorso alle popolazioni in caso di catastrofi naturali, del monitoraggio e del contrasto dell’inquinamento. Il secondo è che molte tecnologie possono essere applicate in modo vantaggioso in entrambi i settori civile e militare. Gli esempi più eclatanti sono le telecomunicazioni e l’osservazione della terra per scopi militari e civili, settore quest’ultimo in cui trova applicazione quel vero «gioiello» tecnologico, frutto della collaborazione dell’Agenzia Spaziale Italiana e della Difesa, che è il sistema Cosmo-SkyMed. Di questo approccio duale l’Italia è stata sempre pioniera: dopo russi e americani, siamo stati il terzo Paese nel mondo ad inviare un satellite in orbita con il progetto «San Marco», elaborato insieme dall’università e dalla Difesa. La presenza italiana nello spazio è nata proprio sotto il segno della dualità, e in questo settore siamo tuttora all’avanguardia con la realizzazione del Cosmo-Skymed e con l’impostazione dei programmi europei di cui l’Italia è il più convinto assertore.

D. La strada della collaborazione fra diversi Paesi per la realizzazione di sistemi di difesa è ormai una costante: questo significa che non vi saranno più, in questo campo, dei prodotti esclusivamente nazionali?

R. L’Italia è stata sempre una fervente sostenitrice della cooperazione, anche perché questa rappresenta spesso l’unica strada per accedere a sistemi tecnologici complessi e che richiedono forti impegni economici, limitandone o addirittura impedendone lo sviluppo da parte di un singolo Paese: la scelta di lavorare insieme agli altri diventa in questo caso obbligata. L’Italia è aperta alla cooperazione in tutti i settori, a livello europeo, transatlantico e mondiale. Non va dimenticato in proposito che siamo stati tra gli attori principali della cooperazione nell’industria per la difesa in Europa, sostenendo le iniziative più concrete che hanno portato, alla fine degli anni 90, alla creazione di OCCAR e LOI.

D. Che cosa sta dietro a queste sigle?

R. OCCAR è un’agenzia creata da Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna per gestire le cooperazioni multilaterali in materia di programmi d’armamento (la sigla sta per Organisation conjointe de coopération en matière d’armement / Organisation for joint armament co-operation). LOI, acronimo di lettera di intenti, è un accordo tra sei Paesi europei nei quali l’industria per la Difesa è più sviluppata - vale a dire i quattro membri fondatori dell’OCCAR più Svezia e Spagna -, con l’obiettivo di armonizzare le proprie leggi in materia di esportazione di materiali d’armamento e di semplificare i reciproci rapporti nel settore con iniziative che riguardano, fra l’altro, la sicurezza degli approvvigionamenti, la tutela del segreto e la protezione della proprietà intellettuale e che, in prospettiva, potranno anche facilitare l’attività delle compagnie transnazionali. Come rappresentante italiano ho avuto modo di partecipare in prima persona sia alla costituzione di entrambi questi enti e alla definizione di un corpo omogeneo di norme nei settori che ho appena citato, sia al terzo e più importante passo in materia di cooperazione europea, vale a dire la nascita di EDA-European defence agency, che ha visto la luce nel 2003 durante il secondo semestre di presidenza italiana della Commissione europea con l’obiettivo di favorire la creazione e il consolidamento di capacità di difesa comuni. Oltre alle attività istituzionali che si svolgono nell’ambito di OCCAR, EDA e LOI, e spesso nell’ambito gestionale di queste stesse agenzie, sono in corso in Europa moltissime cooperazioni bi e multilaterali che vedono una significativa partecipazione italiana: un esempio è dato, in campo navale, dai programmi in comune con la Francia per la costruzione delle fregate antiaeree Orizzonte e delle fregate multimissione Fremm, e per lo sviluppo e la produzione del siluro leggero MU90.

D. Come si sviluppa invece il rapporto con gli Stati Uniti?

R. In parallelo alla cooperazione europea l’Italia ha sempre perseguito anche quella con gli Stati Uniti, un partner fondamentale sia sul piano politico, data la comune appartenenza alla Nato, sia su quello industriale e tecnologico, non fosse altro che per la dimensione delle risorse messe in campo, negli Usa appunto, da un bilancio della Difesa che è grossomodo equivalente a quello di tutti gli altri Paesi del mondo messi insieme. L’Italia non ha mai assunto atteggiamenti di rivalità o di chiusura nei confronti degli Stati Uniti, ma ha sempre sostenuto la necessità di cercare un’intesa su regole e basi comuni. Da questo punto di vista, la crescita della cooperazione in Europa ci consente di proporci verso gli Usa come un partner di dimensioni tali da poter trattare su una base di sostanziale parità, senza più dover subire il complesso implicito nelle relazioni tra un gigante da un lato e un «nano» dall’altro. Oggi abbiamo in atto cooperazioni con gli Stati Uniti sia a livello bilaterale che multilaterale e, guardando al più ampio scenario mondiale, cerchiamo di cooperare con tutti quei Paesi che hanno in comune con l’Italia esigenze specifiche: è un modo per risparmiare, e insieme per consentire alla nostra industria di lavorare in campo internazionale.

D. Quali sono le relazioni fra la Difesa e la ricerca?

R. La Difesa non si occupa di ricerca di base, che viene fatta nei grandi istituti di ricerca. Per quanto riguarda invece la ricerca tecnologica, il cui obiettivo è quello di individuare e sviluppare le tecnologie «general purpose», cioè non legate a un sistema o a un’applicazione specifica, suscettibili di impieghi futuri, sono responsabile del coordinamento nell’ambito della Difesa. Per la ricerca tecnologica disponiamo di risorse limitate, pari a 69 milioni di euro l’anno di fronte al miliardo investito dalla Francia e ai 250 milioni di dollari di Singapore, città-Stato che conta solo 4 milioni di abitanti. Proprio perché i fondi sono limitati cerchiamo di spenderli nel modo migliore, sia in ambito nazionale che internazionale, operando nel primo caso in sintonia con il Ministero dell’Università e nel secondo con le organizzazioni europee e della Nato competenti in materia, con l’obiettivo di evitare duplicazioni e sprechi e di attivare tutte le sinergie possibili. Un settore cui stiamo dedicando particolare attenzione è quello delle nanotecnologie, sulle quali abbiamo organizzato nel 2004 un primo convegno, il più importante tenuto in Italia in questo campo, seguito poi da altri incontri in cui il discorso si è allargato più in generale alle nuove tecnologie; ci siamo assunti questo impegno, in collaborazione con il mondo della ricerca, le Università e l’industria, per approfondire le conoscenze, per incentivare la collaborazione in un settore di primaria importanza e per favorire la circolazione e la conoscenza delle informazion

Tags: Ministero della Difesa forze armate usa Finmeccanica Novembre 2007 Difesa

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