Ertharin Cousin: world food programme, l’expo 2015 è solo uno dei passi verso «fame zero»
Ertharin Cousin è da tre anni il dodicesimo direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (World Food Programme, WFP) che, insieme alla FAO, Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura e all’IFAD, Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, forma il polo agroalimentare dell’ONU, con sede a Roma. Non è il suo primo incarico nella capitale: nominata dal presidente Barack Obama, dal 2009 è stata infatti ambasciatrice degli Stati Uniti presso le suddette agenzie agroalimentari nonché capo della Missione Usa per le agenzie ONU. Scopo del WFP dall’anno della fondazione, il 1961, è non solo combattere la fame nel mondo ma far sì che ogni individuo abbia permanentemente accesso a un’alimentazione sana e completa, e persegue questo scopo insieme a FAO e IFAD e unicamente grazie alle donazioni volontarie di Governi, istituzioni, aziende private e donatori individuali. Nel 2013, il World Food Programme ha raggiunto in 75 diversi Paesi quasi 81 milioni di persone, la maggioranza delle quali è costituita da donne e bambini e ha comprato cibo in 91 Paesi, l’86 per cento del quale proveniente da quelli in via di sviluppo.
Nel 2012 il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha lanciato l’iniziativa «zero hunger challenge», la «sfida fame zero» da divulgare all’Expo di Milano 2015 fra il maggior numero di visitatori per far loro comprendere che è possibile nel corso della propria vita battere la fame. Per la prima volta nella storia delle esposizioni mondiali, le Nazioni Unite hanno scelto di non avere un proprio padiglione ma un’articolata presenza diffusa lungo il sito espositivo a cominciare dal Padiglione Zero, padiglione introduttivo per chi si accinge a visitare l’esposizione, e in diversi padiglioni e cluster. A tal fine è stato creato un logo, un cucchiaio azzurro che, andando a sbarrare la O di ONU, simboleggia lo zero della vittoria su fame e malnutrizione; mediante esso sarà riconoscibile la presenza dei temi cari alle Nazioni Unite. Durante il semestre espositivo verranno, inoltre, celebrate la Giornata mondiale dell’ambiente il 5 giugno, quella umanitaria il 19 agosto e dell’alimentazione il 16 ottobre.
Domanda. Come si può evitare che l’Expo 2015 sia solo una vetrina della gastronomia?
Risposta. Personalmente sono stata coinvolta nell’Expo sin dal 2009. Il tema principale è proprio il cibo. Nel 2050 la popolazione mondiale avrà superato i 9 miliardi di persone. Già da adesso si pone la necessità di raddoppiare la produzione di cibo per nutrire tutti. Pertanto, poter parlare ora dei temi legati al cibo è un’opportunità straordinaria per la comunità globale. Noi del WFP vediamo questa Expo come un’importante occasione per sollevare delle questioni che possono aiutarci nel raggiungere l’obiettivo «zero hunger».
D. Ritiene che mediante l’Expo di Milano l’obiettivo «zero hunger» si avvicini?
R. Credo che questo evento ci dia la possibilità di accrescere l’attenzione della collettività sugli strumenti disponibili che possono consentire il raggiungimento del nostro obiettivo.
D. Non avendo un padiglione ma diverse iniziative orizzontali, come vi assicurate che l’Expo diffonderà nel modo corretto le vostre iniziative?
R. La nostra presenza è diffusa in tutto il sito espositivo, il che ci consente una presenza diversificata: l’avere molteplici voci nei diversi padiglioni dei Paesi e, di conseguenza, raggiungere un più alto numero di visitatori.
D. Darete attenzione alle donne?
R. Sono stata molto coinvolta nell’iniziativa di «WE-Women for Expo» e ho molto lavorato con talune delle responsabili di tale iniziativa, come Marta Dassù, per assicurare che le donne di tutto il mondo abbiano le necessarie informazioni su quanto stiamo facendo e perché tutto ciò si rifletta nel programma e nelle azioni con cui Women for Expo darà vita a una serie di iniziative a partire da fine giugno, per oltre dieci giorni.
D. Quali altre iniziative avete in programma in quest’occasione?
R. Per quanto riguarda le speciali giornate targate Nazioni Unite, la Giornata mondiale umanitaria sarà un’occasione per parlare di cibo e spiegare come ne garantiamo l’accesso a chi ne ha più bisogno lavorando anche con altre organizzazioni. E non parlo di cibo in generale, ma del giusto nutrimento. Per la Giornata mondiale dell’alimentazione lavoriamo insieme alla FAO, e anche questa sarà un’importante occasione per parlare nuovamente dei temi che sono al centro del nostro lavoro. Rilevante sarà anche il contatto con un gran numero di Paesi partecipanti all’Expo per discutere come possano meglio sostenere il WFP, sia in un’ottica di fundraising che per sviluppare attività in grado di creare la consapevolezza tra i cittadini sui grandi temi mondiali della fame e della corretta alimentazione. Ci aspettiamo che l’insieme di questi eventi all’Expo di Milano possa aiutare a raggiungere l’obiettivo più importante, l’azzeramento di fame e malnutrizione, e che esso diventi volontà pubblica dei Governi tanto quanto interesse condiviso di un’opinione pubblica attenta e sensibile a questi temi.
D. È stata presentata la Carta di Milano, il documento di impegno rivolto a cittadini, istituzioni, imprese e associazioni, che dovrebbe costituire l’eredità di Expo 2015. Cosa ne pensa?
R. Ho partecipato ad un evento a Milano in proposito e ritengo che maggiore è l’impegno che riceviamo dal Governo e dalle aziende, più facile sarà raggiungere l’obiettivo di un mondo a «fame zero». Per esempio, anche la Germania ora ha lanciato l’invito all’azione «Zero hunger challenge», che mira ad accrescere il supporto all’obiettivo «fame zero». C’è un detto americano: «Lascia che un milione di fiori sbocci», ossia, lascia che ognuno dia voce alle opportunità.
D. Com’è attualmente la situazione mondiale in tema di alimentazione?
R. Ci sono crisi significative nel mondo che creano fame: Siria, Sud Sudan, Iraq, Yemen, Repubblica Centrafricana, Ucraina, i Paesi dell’Africa colpiti dall’ebola. Tutte queste situazioni pongono i più poveri e vulnerabili in una condizione in cui non hanno accesso a cibo nutriente a causa dei conflitti e delle crisi. È nostra responsabilità lavorare per assicurare che nessuno soffra la fame, soprattutto i bambini che nelle crisi sono i più esposti. Viviamo in un mondo in cui ci sono ancora 805 milioni di persone che non hanno la certezza del cibo, inclusi coloro che vivono nel mezzo di crisi acute, ma dal 2010 il numero di persone che cronicamente soffrono la fame si è ridotto di 200 milioni. Questo attesta che si possono fare progressi e che ne stiamo facendo. Sono 63 i Paesi che, tra i «millennium development goals», gli obiettivi di sviluppo del millennio, hanno raggiunto quello di ridurre del 50 per cento la proporzione nel numero degli affamati. Dobbiamo però continuare a sostenere l’aumento della produzione agricola, che significa anche favorire lo sviluppo del mercato, in modo da creare le condizioni per una sicurezza alimentare sostenibile e duratura in ogni Paese. Ciò richiede di investire in un programma di lunga durata e a più livelli, pertanto stiamo lavorando su entrambi i fronti: rispondere ai bisogni derivanti dalla fame acuta e collaborare con Governi, partner, comunità e individui per assicurarci di poter ridurre la fame cronica nel più lungo periodo.
D. Ci sono programmi speciali?
R. Portiamo il cibo in Paesi in cui si registra una grave penuria di generi alimentari, la disponibilità è limitata e il cibo è molto costoso a causa della guerra, come in Siria. In Paesi come il Libano, che accoglie i rifugiati dalla Siria e nel quale sono presenti negozi di alimentari, forniamo alle madri voucher da spendere per procurare cibo ai figli. Nello Yemen eravamo presenti anche prima dell’attuale conflitto fornendo assistenza alimentare poiché nel Paese c’era un alto numero di persone prive di accesso al cibo, con il 60 per cento dei bambini cronicamente sottoalimentato. Nel 2015 prevedevamo di assistere 5 milioni di persone molto malnutrite. Questa operazione continua. Stiamo però valutando anche l’impatto dell’attuale crisi sulla sicurezza alimentare, cercando di individuare quanti prima del conflitto non ricevevano assistenza dal Programma alimentare mondiale mentre ora, a causa della crisi, si trovano senza cibo e nell’impossibilità di accedervi perché gli alimenti al mercato sono diventati troppo costosi. Stiamo facendo queste verifiche per assicurare che, nell’eventualità che il conflitto continui, nessuno soffra la fame.
D. Come raggiungete le persone per metterle al corrente del supporto che offrite?
R. Lavoriamo con i capi delle comunità e con le organizzazioni non governative locali e internazionali per garantire che le informazioni necessarie ad avere accesso all’assistenza alimentare del WFP raggiungano le persone che ne hanno bisogno. Lavoriamo con l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, per assicurare che i rifugiati registrati ricevano il cibo da noi distribuito. Verifichiamo con i partner e con i Governi nazionali chi ha bisogno di assistenza e, basandoci su questo insieme di valutazioni, decidiamo quali forme di assistenza alimentare sono più adeguate, come meglio distribuire il cibo e quale cibo è più appropriato.
D. Avete notato un miglioramento negli uomini nell’occuparsi di procurare cibo ai propri figli?
R. Ci concentriamo sulle donne, perché tutte le statistiche e gli studi sinora effettuati hanno provato che quando il WFP fornisce cibo alle donne, c’è la garanzia che esso sia equamente distribuito tra tutti i membri della famiglia e soprattutto i bambini vengano nutriti. Non è un suggerimento ma un dato di fatto: sappiamo che quando le donne hanno risorse, i bambini mangiano.
D. Qual è il vostro rapporto con l’Unione Europea?
R. È un partner consistente del WFP e, nell’insieme, è uno dei nostri principali donatori. È essenziale continuare a lavorare insieme e informare la popolazione europea su come le sue donazioni vengano spese per sostenere le persone povere e malnutrite nel mondo. Infatti stiamo lavorando con essa per far conoscere in modo più diretto ai cittadini europei il nostro lavoro e per garantirci un loro continuo e più ampio supporto. Abbiamo bisogno di ogni Paese. Serve che il mondo riconosca che sconfiggere la fame è una sfida, ma anche un’opportunità, e che abbiamo bisogno del lavoro dell’intera comunità globale.
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