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lucia granati: tutti i perché occorre più sangue in una società opulenta

Lucia Granati Ematologia

Laureata nel 1972 in Medicina e Chirurgia con 110 e lode all’Università Sapienza di Roma e specializzatasi in Ematologia, Medicina del Lavoro e Patologia Clinica, Lucia Granati vinse una borsa di studio nel lontano 1974 al Christie Hospital di Manchester per studiare, mediante le colture midollari in vitro, le cellule staminali e l’emopoiesi in vitro. Assegnista a Roma presso la Cattedra di Ematologia alla Sapienza diretta dal prof. Franco Mandelli, costruì il primo laboratorio di colture midollari in vitro studiando la cellula staminale normale e leucemica. Durante questo periodo continuò a svolgere attività clinica con pazienti affetti da linfoma, mieloma, mielodisplasie, leucemia linfoide cronica ecc., e prese parte a protocolli sullo studio dei linfomi di Hodgkin e non Hodgkin. Nel 1978 è nuovamente all’estero e, con una borsa del Cnr-Nato, frequenta l’MD Anderson di Houston nel Texas, lavorando sulle colture cellulari provenienti da cellule sia emopoietiche sia neoplastiche, e collabora alla raccolta e alla separazione di cellule staminali per il trapianto autologo di midollo. Tornata in Italia, continuò la propria attività di ricerca e clinica. Nel 1985 ha lavorato anche all’Istituto di Farmacologia di Perugia per un breve periodo sui test di chemiosensibilità in vitro in malati di leucemie acute, presentando i risultati in Congressi internazionali a Budapest e a Cagliari.
Professore associato di Ematologia alla Sapienza, è titolare dell’insegnamento di Malattie del sangue nel corso di Patologia integrata, IV corso di laurea canale C della Sapienza, e docente di numerosi corsi sia nell’ambito delle scuole di Specializzazione che nei corsi di laurea breve: Infermieristica, Fisioterapia a Bracciano e Tecnici di laboratorio a Roma. Attualmente nel campo del volontariato è responsabile del Gruppo Donatori del Sangue-Studenti della Sapienza-Ad Spem (Associazione Donatori Sangue Problemi Ematologici), e ha attivato il progetto «Informare-comunicare-educare-prevenire», rivolto a studenti dell’Università Sapienza di Roma, nell’ambito del quale un particolare risalto viene dato a seminari svolti da professori esperti e da giovani laureati, in particolare nei campi: donazione del sangue, necessità delle trasfusioni, prevenzione della tossicodipendenza, alcolismo e tabagismo, prevenzione dei tumori.
Nel 2011 ha ricevuto il premio «Donne eccellenti di Roma» al Campidoglio per il suo impegno professionale, didattico e sociale. Ha inoltre fatto parte della Commissione per le Pari Opportunità dell’Ordine dei medici e dell’Associazione Italiana Donne Medico, ed è tesoriere dell’International Women’s Forum of Italy. Continua a svolgere con passione la propria attività clinica soprattutto con pazienti affetti da malattie ematologiche linfoproliferative e mieloproliferative, stabilendo con loro un rapporto di fiducia e di massima disponibilità. Lavora, inoltre, come consulente ematologo per la Casa di Cura Villa Margherita di Roma. In questa intervista fa il punto sulle ricerche in questo delicato settore della Medicina.
Domanda. In che modo si integrano le conoscenze fra esperti nel settore dell’Ematologia?
Risposta. L’Ematologia è una branca molto vasta che comprende vari settori, ed è la scienza che ha avuto maggiore successo nella ricerca di nuove cure e nuovi farmaci. È una scienza complessa e nello stesso tempo completa, che richiede un team di esperti, soprattutto nell’ambito della diagnosi. Sottolineo che la cosa più importante per un medico è avere una diagnosi precisa e completa e perciò abbiamo bisogno di vari specialisti. Ad esempio: dinanzi a un paziente che presenta una linfoadenopatia, ossia l’ingrossamento di un linfonodo, si avviano una serie di accertamenti con un team di medici formato da ematologo, radiologo, eventualmente infettivologo e successivamente, ove le indagini di laboratorio indirizzino verso un processo di tipo neoplastico ossia un linfoma di Hodgkin o non di Hodgkin, un chirurgo per eseguire la biopsia del linfonodo, e un anatomopatologo esperto nel campo ematologico. È vero che oggi i medici devono affidarsi alla diagnostica, ma va sempre ricordato che la clinica è l’attività più importante.
D. Quali abitudini della società, nuovi consumi e nuove usanze, influiscono sulla patologia ematologica?
R. Se c’è qualcosa che ha influito sono state le radiazioni. In seguito al sinistro verificatosi nella centrale elettro-nucleare di Chernobyl nell’allora Unione Sovietica, molte persone sono andate incontro ad aplasie midollari, cioè alla distruzione di tutte le componenti ematiche, alla riduzione di globuli bianchi e rossi e di piastrine. Molti bambini, in seguito, sono stati colpiti da leucemia acuta. Varie sostanze tossiche, come il benzene, possono favorire lo sviluppo di leucemie, ma le più gravi sono quelle causate da radiazioni. Le persone anziane sono più esposte rispetto ai giovani, ma dipende dai diversi tipi di leucemia. La leucemia acuta linfoide è più frequente nel bambino, ma per fortuna i risultati ottenuti sono molto incoraggianti, l’importante che siano curati in centri specialistici ematologici e in Italia ve ne sono tanti. La leucemia acuta dell’adulto e dell’anziano ha un trattamento diverso e non sempre i risultati ottenuti sono buoni, ad eccezione di un tipo particolare.
D. Sono in aumento queste patologie?
R. Lo sono specialmente nelle persone anziane. In tali soggetti si manifestano tante patologie che aprono un altro mondo. Vanno distinti gli anziani al di sopra dei 65 anni da quelli al di sopra dei 75-80 anni, perché la durata media della vita si è elevata ormai agli 84 anni. Nell’anemia dell’anziano si sono raggiunti nuovi metodi diagnostici per i quali sono richiesti team complessi, perché adottare un trattamento senza capire la causa del male non ha senso. Soltanto dopo una diagnosi completa si può decidere il trattamento e curare; anche in questo esiste un metodo diagnostico e bisogna procedere passo per passo, compiere cioè tutte le analisi secondo apposite linee guida e poi passare ad una seconda fase. Il paziente va valutato nell’insieme. Definiamo «paziente fragile» un anziano, ad esempio, proprio in considerazione della sua situazione, perché si tratta di un soggetto più delicato; se si chiede di analizzare la sua anemia, possono riscontrarsi altre patologie; il malessere per il quale una persona si è rivolta al Centro ematologico potrebbe essere secondario rispetto a un processo autoimmunitario o a un’infezione.
D. Ci sono cause primitive di anemia? Questa può essere ereditaria?
R. Vi sono tante cause. La talassemia, per esempio, è ereditaria; si tratta dell’anemia mediterranea, così definita perché scoperta proprio nell’area del Mediterraneo. È una malattia genetica, un’alterazione lieve dell’emoglobina che, per fortuna, non necessita di alcun trattamento, essendo spesso sufficienti solo supporti vitaminici. Ma quando si programma la nascita di un figlio, è opportuno far sottoporre a un controllo i partner per evitare che, in presenza di un rischio di «talassemia minor», si determini nel figlio una talassemia grave. Dobbiamo a due grandi italiani, Ezio Silvestroni e Ida Bianco, la riduzione dei casi di «talassemia major», ossia del cosiddetto morbo di Cooley, ottenuta grazie alla prevenzione e individuando i portatori di «talassemia minor».
D. Un tempo si sentiva più spesso raccomandare la necessità di controlli preventivi. Oggi le giovani coppie sono meno consapevoli di tale necessità?
R. Non è così. Le giovani coppie, attraverso internet, sono molto informate e lo sono anche i medici. Oggi, sempre in campo ematologico, si eseguono indagini non solo di tipo genetico per escludere questa malattia, ma anche altre su base genetica. È uno screening particolare che chiamiamo «screening trombofilico», per accertare l’eventuale presenza di alterazioni genetiche a causa di alcune sostanze implicate nella coagulazione del sangue, che possono provocare aborti; la maggior parte dei ginecologi eseguono questo screening trombofilico prima della gravidanza. Le coppie di oggi sono molto più sensibili anche perché nell’era in cui viviamo è difficile il contrario, considerata la diffusione di internet, che in casi come questi costituisce un vantaggio.
D. L’uso eccessivo di internet non può divenire a volte controproducente?
R. A un paziente che si rivolse a un medico di Bologna per curarsi avendo già appreso da internet come farlo, il mio collega rispose con una battuta: «Allora si faccia curare dal dottor Internet». 40 anni di esperienza non valgono più niente? Poiché occorre compiere una diagnosi e prescrivere una valida terapia, non è detto che un farmaco vada bene per qualsiasi soggetto.
D. Anche la farmacologia si evolve?
R. Rimanendo nell’esempio dell’anziano, esistono una serie di malattie primitive ematologiche linfoproliferative come la leucemia linfoide cronica, i linfomi e i mielomi. Il paziente affetto da mieloma può avere dei dolori ossei e si rivolge all’ortopedico. Ma esistono analisi di laboratorio grazie alle quali comprendere di che si tratta. Per quanto riguarda questa patologia sono state messe a punto terapie che hanno cambiato la storia. Risultati positivi si sono ottenuti anche per la leucemia mieloide cronica. Devo dire che i metodi terapeutici attuali sono eccezionali: è il caso dei farmaci specifici inibitori della tirosinchinasi per la leucemia mieloide cronica, associata all’alterazione di un cromosoma Philadelphia. Questi sono i cosiddetti «farmaci intelligenti» che agiscono proprio bloccando la causa della malattia
D. L’aumento dell’età media ha aumentato l’importanza sociale di queste patologie?
R. In alcuni casi sì, in altri no. Le malattie ematologiche aumentano un pochino con l’età. Le mielodisplasie, come i mielomi, sono tipiche dell’anziano: aumentando il numero degli anziani, cresce il loro numero. Nelle prime i pazienti anziani richiedono una serie di trasfusioni; è vero che la percentuale degli anziani è aumentata, ma è pur vero che l’ematologo è stato il primo a comprendere che si doveva andare avanti con la ricerca di base. Si può dire che la biologia molecolare è nata con l’ematologia perché, scoprendo i meccanismi alla base della malattia, si è cercato un trattamento specifico. Così per la leucemia mieloide cronica, per il mieloma e per altre patologie. La nostra branca ha compreso prima di tutte la necessità dello studio e della ricerca di base, forse perché questa poteva eseguirsi direttamente sulle cellule emopoietiche La comprensione delle malattie ematologiche è stata facilitata da questi fattori e sono stati possibili progressi notevoli nei trapianti di midollo e nella ricerca sulle cellule staminali. Ma si tratta sempre di una branca molto complessa nonostante gli sforzi sullo studio delle cellule staminali e del cordone ombelicale in quanto il sangue ancora non si fabbrica in laboratorio mentre, aumentando il numero delle persone anziane, aumenta la richiesta trasfusionale.
D. È difficile reperire il sangue?
R. L’ematologo acquisisce subito la capacità di sensibilizzare le persone verso la donazione del sangue. Nello svolgere il corso di Ematologia, vengono dedicati alcuni seminari alla promozione della donazione del sangue, a sensibilizzare gli studenti non solo a donare ma anche a promuovere la donazione tra amici e conoscenti. Considerato che il donatore deve seguire un corretto stile di vita, in questi seminari approfondiamo anche i temi di prevenzione: alcolismo, fumo, alimentazione corretta, tumori. Nell’ambito del Gruppo Studenti donatori della Sapienza, cerchiamo di sviluppare rapporti interpersonali e organizziamo raccolte di sangue. Abbiamo formato anche una squadra di calcio con studenti di medicina, chiamata «I Donatori», di cui sono presidente.
D. Sono più soggetti gli uomini o le donne a queste patologie?
R. Per le anemie più le donne, ma alcune patologie sembra che colpiscano più gli uomini, tuttavia non c’è una differenza sostanziale. A chi mi domanda perché negli anziani sono aumentate le patologie ematologiche, rispondo che prima non si eseguivano corrette diagnosi e l’anziano era lasciato al proprio destino. Oggi tutto è cambiato, anche gli accertamenti diagnostici. Un ringraziamento particolare va rivolto ai figli degli anziani che seguono con amore i genitori.
D. È aumentata anche la specializzazione medica e scientifica?
R. Sì perché, sulle malattie linfoproliferative abbiamo a disposizione una serie di diagnostiche: l’emocromo, l’aspirato midollare, l’immunofenotipo, l’immunoistochimica, la citogenetica, la biologia molecolare; quindi metodi diagnostici a vasto campo ma che vanno eseguiti patologia per patologia, mentre le analisi specifiche sono richieste caso per caso.
D. Qual è l’indice di preferenza degli studenti di Medicina per questo settore?
R. È molto alto, ma è importante stimolare gli studenti. Sottolineo che, anche se lo studente non farà l’ematologo, l’Ematologia deve essere alla base delle sue esperienze per poter fare il chirurgo e il medico. La conoscenza dei processi della coagulazione del sangue è indispensabile.
D. In questo campo in che modo la strumentazione è di aiuto?
R. Il laboratorio si è completamente automatizzato, e adesso per eseguire un esame di emocromo basta spingere un bottoncino. Compiuto il prelievo dal paziente, il sangue viene inserito in un apparecchio automatico che consente di ottenere tutti i valori ematologici in pochissimo tempo. Racconto sempre agli studenti i procedimenti seguiti in altri tempi, quando dovevamo fare prelievi dal dito, metterci al microscopio e contare i globuli bianchi, i globuli rossi, l’emoglobina. Ma se gli ausili sono aumentati, le macchine restano pur sempre macchine, forniscono informazioni di tipo quantitativo, ma poi è l’ematologo a dover analizzare lo striscio del campo periferico o eseguire un «ago aspirato midollare».
 D. Si potrà prima o poi arrivare a produrre il sangue artificialmente?
R. Ci si sta lavorando da tantissimo tempo, e alcuni ricercatori hanno già trovato sostanze che facilitano l’assorbimento dell’ossigeno. Questo perché i globuli rossi trasportano l’ossigeno nell’organismo, e se il paziente ha pochi globuli rossi, ha anche poco ossigeno e il cuore fatica di più. Siamo tuttavia ancora lontani da una soluzione, abbiamo però a disposizione dei fattori di crescita come l’eritropoietina che può stimolare la crescita dei globuli rossi, e un fattore per la produzione di globuli bianchi e, più recentemente, di piastrine, ma solo per casi particolari. Un caso tipico di uso di tali fattori si ha in pazienti colpiti da neoplasia e che hanno subito una chemioterapia aggressiva. In tali casi si assiste a una netta riduzione dei globuli bianchi, e si può ricorrere a un fattore di crescita. Ma si tratta di casi molto particolari.       

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