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energia elettrica. calano i consumi, avremo un futuro meno illuminato?

Rallentano i contatori per il calo dei consumi di elettricità

a cura di UBALDO PACELLA

Il sistema elettro-energetico italiano segna uno stallo preoccupante, attraversato com’è interamente dalla gravissima crisi che schianta l’economia, modifica gli scenari, tratteggia un declino capace di mettere a serissimo rischio le due imprese multinazionali più importanti del Paese, Enel ed Eni, di fatto i soli pilastri internazionali forti e credibili che ci restano da spendere. Lo stallo più tragico che preoccupante della politica nostrana, all’indomani delle elezioni dello scorso febbraio, rischia di aggrovigliare ancor più una matassa intricata che potrebbe trasformarsi in un nodo scorsoio sia per le imprese energetiche, sia per il sistema produttivo e i consumi delle famiglie.
I costi elevatissimi della bolletta elettrica, dal 20 al 30 per cento maggiore della media europea, non sembrano poter diminuire nel breve periodo, come invocato praticamente da tutti: sindacati, imprese, associazioni di consumatori. Le stesse linee guida messe a punto in extremis dal Governo Monti e dal ministro Corrado Passera con la Sen, ossia la Strategia Energetica Nazionale, lasciano prevedere un cammino irto di ostacoli, che necessita comunque di tempi adeguati per offrire soluzioni durature, ammesso che queste possano vedere la luce in un Parlamento in cui è massiccia la presenza di esponenti del Movimento 5 Stelle, contrario, almeno nelle enunciazioni di piazza, ad interventi radicali e innovativi nell’ambito delle infrastrutture, ancorché finalizzati ad una riconversione energetica di chiaro segno ambientale. Contraddizioni che si sommano a quelle sin qui seguite in ambito energetico sia dai due colossi del settore, sia dalle società uscite dalla trasformazione delle ex municipalizzate come A2A, Hera, Acea o dai gruppi privati come EDF/Suez.
Si assiste a una caduta progressiva e verticale dei consumi di energia, calcolata nel febbraio scorso, a seconda degli indici di riferimento presi in esame, tra il 5 e l’8 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Un effetto dovuto, secondo gli analisti di Nomisma Energia, ad una somma di fattori tra cui la caduta della produzione industriale e i risparmi delle famiglie. Basti pensare che decine di migliaia di persone, soprattutto anziani, hanno chiesto alle società erogatrici di energia di scaglionare mensilmente i pagamenti per la perdurante impossibilità a pagare le bollette.
Questi effetti recessivi pesano, in modo crescente, sui bilanci delle società, modificano i fatturati mettendo a rischio le previsioni dei piani industriali, indebolendone la competitività. Un aggregato di fattori capace di incidere sulle politiche come sulla governance dei gruppi multinazionali, dalla quale gli azionisti pretendono sempre risultati positivi e dividendi. È il caso dell’Enel, che si trova a dover fronteggiare un elevato indebitamento dovuto a brillanti quanto costose acquisizioni internazionali, che oggi pesano sulle aspettative e sulle strategie di una delle più importanti società elettriche operanti nel mondo. La generazione elettrica da fonti convenzionali segna il passo, mentre quella da fonti rinnovabili aumenta nonostante l’incertezza  degli incentivi concessi e d’ostilità delle grandi imprese energetiche.
Dopo 50 anni di continuo e talvolta tumultuoso sviluppo, oggi bisogna fare i conti con una flessione strutturale che chiama in causa gli investimenti in nuove tecnologie, la modernizzazione della rete di distribuzione, il via libera a sistemi di risparmio e di efficienza energetica in grado di ridisegnare le nostre città con l’avvento delle smart city, con i modelli di uso dei beni di vasto consumo, con moderni metodi di distribuzione dell’energia. Questi interventi, indispensabili per garantire un’elevata efficienza energetica, nonché un adeguato know how industriale, soprattutto in un Paese manifatturiero di trasformazione, dovranno giocoforza essere finanziati da società in non brillanti condizioni economiche, senza la possibilità, come per il passato, di trasferire in tutto o in parte questi costi sulle spalle dei consumatori.
È una situazione ad alto rischio, inutile negarlo, come dimostra la contrazione dei posti di lavoro, un conflitto sindacale strisciante sin qui sopito con bravura da entrambe le parti, una revisione dei modelli organizzativi. Il tutto a prescindere dalle decisioni che potranno adottare il Parlamento e il nuovo Governo, ammesso che riescano a funzionare, a proposito di nuovi siti industriali come le centrali a «carbone pulito», la sostituzione degli impianti obsoleti e più inquinanti, il loro decommissioning, i degassificatori, gli elettrodotti, i sistemi di immagazzinamento dell’energia. È arduo definire quanto incideranno, inoltre, le politiche di riequilibrio delle fonti energetiche con un diverso mix che allenti l’attuale dipendenza dal gas, molto costoso nel suo sistema di approvvigionamento previsto nei contratti a lungo termine.
Le imprese energetiche attraversano una fase di estrema fluidità che è da augurarsi non sfoci in una tempesta. Nubi minacciose si addensano sui servizi e sulle reti fondamentali per la tenuta sociale e produttiva dell’Italia, investendo un sistema fragile i cui nodi irrisolti sono aggravati dalla crisi economica, dagli scenari geopolitici internazionali, da un mercato fortemente instabile.
L’Eni è scosso da indagini giudiziarie che potrebbero incidere assai negativamente sui bilanci, incrinando l’immagine di uno dei più affidabili operatori mondiali in campo energetico. Il suo amministratore delegato Paolo Scaroni è, infatti, indagato per una maxi tangente che sarebbe stata pagata dalla Saipem, una società del Gruppo,  ad esponenti del Governo algerino. Siamo certi che questi incagli troveranno rapida e trasparente soluzione, mentre più arduo appare rinegoziare i contratti di fornitura sottoscritti da tempo, per garantire un costante approvvigionamento di materie prime, soprattutto di gas, attraverso i grandi gasdotti che obbligano l’Italia a sostenere oneri energetici di gran lunga superiori alla media delle quotazione di mercato.
Per sottrarsi a questi vincoli di mercato occorrono nuovi rigassificatori, ma ogni opera infrastrutturale in questo Paese ha una gestazione infinitamente lunga e iter troppo complessi, e sovente finisce per non essere realizzata. Tutto ciò ha costi elevatissimi che ogni cittadino paga, spesso illudendosi di perseguire politiche ambientali o di tutela del territorio, mentre favorisce non soltanto assurdi sprechi, bensì il mantenimento in esercizio di centrali elettriche o di altri sistemi industriali obsoleti, ancora più inquinanti, molto costosi, regalando alle lobbies, nazionali e internazionali grandi profitti, a danno dell’industria italiana che vede ulteriormente compromessa la propria competitività dai vertiginosi costi energetici.
La pressione dell’opinione pubblica e, in primis, l’esigenza di contenere la spesa energetica  per le famiglie hanno condotto a una riforma del mercato del gas per il settore civile  operativa dal primo aprile. L’Autorità per l’energia presieduta da Guido Bortoni dovrebbe calcolare l’incidenza dei costi sulla bolletta in ragione di quelli internazionali e dell’allineamento di quelli italiani alla media europea. Gli esperti prevedono che dal primo ottobre 2013 i consumatori dovrebbero vedere una riduzione dei costi di circa il 7 per cento. Il risparmio dovrebbe - il condizionale è quanto mai obbligato - essere progressivo prendendo come riferimento i prezzi del mercato libero, non più quelli degli accordi di lungo periodo con i Paesi produttori. La rideterminazione della tariffa dovrebbe prevedere una forbice tra i due prezzi fissata nel rapporto 80/20 rispetto all’attuale 95/05, così come già avviene in Francia e in Belgio.
Gli effetti per gli operatori non saranno di poco conto, potrebbero influire in modo positivo per eliminare rendite di posizione e vantaggi che sino ad oggi erano coperti o semplicemente trasferiti sui consumatori. Si avvierà così un mercato a termine del gas, che si profila come una rivoluzione copernicana per il sistema italiano. Questo nuovo modello è destinato ad essere l’architrave di un moderno mercato della commodity gas italiana. I benefici per tutti si avrebbero se le aziende riusciranno a comprare il combustibile nei periodi di minor consumo per stoccarlo in attesa dei livelli maggiori di richiesta che vanno da ottobre a marzo. La perdurante carenza di rigassificatori in Italia potrebbe tuttavia nuocere in modo significativo a questo progetto, creando soprattutto agli operatori di media grandezza, come le utilities delle ex municipalizzate, non pochi grattacapi, poiché si eleva la componente di rischio per le imprese.
Le grandi multinazionali Enel, Eni o Edison dovranno, inoltre, cercare di rinegoziare i loro contratti di lungo periodo. La trasformazione prevede una gradualità che mette al riparo da scossoni immediati queste fondamentali società, ma non c’è tempo da perdere per modificare la struttura dei costi e i progetti industriali dei colossi dell’energia, in presenza di un mercato assai debole e della concomitante necessità di operare quei grandi investimenti in innovazione tecnologica che il nostro Paese ha sempre ritardato, con il risultato di doverli fare nelle peggiori condizioni economico-finanziarie dagli anni 30 del secolo scorso.
La politica italiana  non potrà offrire un grande contributo, non solo per le convulsioni che la stanno lacerando, quanto perché i partiti storici non hanno le idee chiare, meno che mai analisi convergenti o obiettivi comuni, mentre la prepotente entrata in scena del Movimento 5 Stelle potrebbe sfociare in un totale rimescolamento delle carte a vantaggio di un efficiente risparmio energetico, di certo positivo per la bilancia italiana dei pagamenti vista la pressoché totale nostra dipendenza da fonti importate, ma che obbligherebbe le imprese del settore ad un repentino cambiamento della struttura industriale, come pure a ridisegnare l’orizzonte strategico dei propri interventi e della presenza sui mercati.
I programmi del Movimento 5 Stelle, per quanto è dato di capire, sembrerebbero orientati verso una decisa crescita dell’efficienza energetica sia per la produzione da fonti energetiche rinnovabili, sia con ancor maggiore peso da un’immediata applicazione della normativa sulla certificazione energetica degli edifici, capace nei prossimi 5 anni di garantire un risparmio di almeno il 10 per cento di energia consumata solo per il patrimonio edilizio pubblico. La strada dell’innovazione e della riconversione energetica, potrebbe costituire un fattore di rilevante sviluppo per il mercato industriale e per l’edilizia italiana, ridotta ormai in uno stato comatoso, traducendo in benefici diffusi la spinta a trasformare il volto delle città, mentre si limiterebbero i fattori di inquinamento e i costi ambientali.
C’è da chiedersi che fine faranno quei grandi progetti industriali in campo energetico che oggi si trovano nella spiacevole situazione di essere a metà del guado. Dovrebbero essere completati in modo repentino, così da consentire la dismissione delle vecchie centrali, ridurre i costi di esercizio, avere tempo sufficiente per organizzare in modo coerente l’intero sistema elettro-energetico nazionale, legandolo ancora più saldamente a quello europeo. Non è possibile permettersi ulteriori sprechi, che gravano su famiglie e imprese alleggerendone i già modesti portafogli.
La gelata incredibilmente lunga e profonda dei consumi sta provocando una sorta di terremoto strisciante nelle aziende elettriche, molte delle quali sono in stato di conservazione, cioè sono attive ma producono solo a tratti. Ciò è dovuto sia al crollo della domanda di energia, sia a una ridotta efficienza di alcuni impianti, sia  alla crescita delle fonti rinnovabili. Questo determina una progressiva erosione dei guadagni delle società elettriche che potrebbe compromettere gli attuali livelli occupazionali, recuperati ovviamente dalle altre iniziative incentivate. Le difficoltà del momento possono  leggersi in un’iniziativa della Sorgenia, che sta per lanciare un’offerta ai propri clienti consistente in una copertura assicurativa alle famiglie per garantirsi il pagamento delle bollette per 12 mesi da parte di chi perdesse il lavoro.
È necessario oggi operare le scelte selettive nel campo dell’energia colpevolmente rinviate per troppo tempo. Occorre anche uscire in mare aperto, cioè affrontare i problemi creati dalla modernizzazione, cambiare volto alla qualità e all’efficacia dei servizi essenziali offerti in questo settore vitale per tutta la società, capace di trainare l’innovazione, di aprire una stagione di trasparenza, di stimolare l’efficienza delle strategie industriali, di investire capitali  per promuovere la crescita e il bene della collettività.   

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