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Ratificata la convenzione sulla lotta contro la tratta degli esseri umani

Con la legge 2 luglio 2010 n. 108 è stata ratificata, dandole esecuzione, la convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, stipulata a Varsavia il 16 maggio 2005 ed entrata in vigore il 1° febbraio 2008. Obiettivi della stessa sono la prevenzione e il contrasto della tratta degli esseri umani in ogni sua forma, nonché la cooperazione internazionale in tale ambito. Secondo la convenzione, «tratta di esseri umani» è il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, il ricovero o l’accoglienza di persone attraverso la minaccia, l’uso della forza o altre forme di coercizione, l’abduzione, la frode, l’inganno, l’abuso di potere o di una situazione di vulnerabilità; o mediante l’offerta o l’accettazione di pagamenti o vantaggi per ottenere il consenso di una persona avente autorità su di un’altra ai fini dello sfruttamento.
Lo stesso documento precisa come alla nozione di sfruttamento debbano essere ricondotti lo sfruttamento della prostituzione, quello sessuale e sul lavoro, nonché i servizi forzati, la schiavitù o le pratiche analoghe, la servitù e il prelevamento di organi. In particolare, la convenzione prevede l’obbligo di considerare reato le condotte di cui sopra, e altresì quelle condotte commesse al fine di agevolare la tratta, ovvero le condotte di falsificazione di documenti di viaggio o di identificazione, di procacciamento dei medesimi, nonché di trattenimento, alterazione, distruzione o danneggiamento di documenti di viaggio o d’identità altrui. Altre disposizioni sono dirette alla prevenzione del fenomeno e a promuovere l’assistenza alle vittime.
Ora va subito detto che, nel dare attuazione alla convenzione, il legislatore italiano non ha dovuto apportare adeguamenti di rilievo in quanto la maggior parte delle misure imposte erano in realtà già previste dalle leggi vigenti. Così l’articolo 600 del codice penale al primo comma già puniva con pena da 8 a 20 anni di carcere chiunque esercitasse su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà, ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio, o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento.
Anche la fattispecie di tratta di persone era configurata nel nostro codice penale, che all’articolo 601, prevede una disposizione ampiamente sovrapponibile alla definizione che della stessa fattispecie ha fornito la convenzione. Tale articolo punisce, infatti, chiunque commette tratta di persone che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 600; ovvero, al fine di commettere i delitti ivi previsti, le induce mediante inganno a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi nel suo interno; o le costringe a fare ciò mediante violenza, minaccia abuso di autorità; o approfittando di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità; o mediante promessa o dazione di somme di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità. Anche in questo caso la pena va da 8 a 20 anni di reclusione.
E ancora: l’articolo 602 dello stesso codice già prevedeva la stessa pena per chiunque, fuori dei casi previsti nell’articolo 601, acquista, o aliena, o cede una persona che si trova in una delle condizioni sopra indicate. Del resto le disposizioni codicistiche sono il frutto delle modifiche apportate dalla legge 11 agosto 2003 n. 228 che, a sua volta, era stata ispirata da molte risoluzioni e raccomandazioni espresse in materia dagli organismi europei, e che hanno costituito il tessuto della convenzione di Varsavia, come evidenziato nel suo preambolo.
La stessa legge numero 228 del 2003 ha, inoltre, già configurato la responsabilità degli enti per il reato di tratta di persone commesso nel loro interesse e a loro vantaggio, ed ha introdotto misure per la prevenzione del fenomeno e per l’assistenza delle vittime del reato, largamente compatibili con quelle previste dalla convenzione, se non addirittura più penetranti di quelle suggerite da quest’ultima.
In sostanza l’intervento compiuto dal legislatore si è limitato per lo più alla revisione della disciplina di alcune circostanze aggravanti, che sono state tutte raggruppate nel nuovo articolo 602 ter del codice penale. Tale norma prevede che la pena per i reati previsti dagli articoli 600, 601 e 602 succitati è aumentata da un terzo alla metà: 1) se la persona offesa è minore degli anni diciotto; 2) se i fatti sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi; 3) se dal fatto deriva un grave pericolo per la vita o l’integrità fisica della persona offesa.
Quest’ultima aggravante, in aggiunta alle prime due, si è resa necessaria per corrispondere all’indicazione in tal senso contenuta nell’articolo 24 della convenzione. Deve peraltro ricordarsi che un’ulteriore aggravante è prevista dall’articolo 600 sexies nei casi in cui gli stessi reati siano commessi in danno di minore di anni 14. Infine è stata introdotta un’ulteriore e inedita aggravante per l’ipotesi in cui i delitti contro la fede pubblica previsti dal capo III del titolo VII del codice penale, vale a dire le falsità in atti di cui agli articoli 476 e 493 bis, siano compiuti al fine di realizzare o agevolare quelli di riduzione in schiavitù, tratta di persone ovvero acquisto o alienazione di schiavi.
Il legislatore non ha invece ritenuto necessario configurare apposite aggravanti per i casi in cui i reati vengano commessi da un pubblico ufficiale o nell’ambito delle attività di un’organizzazione criminale, come richiesto espressamente dalla convenzione. Ciò perché la prima ipotesi ricade già nell’area di tipicità delle aggravanti comuni previste dall’articolo 61 n. 9 del codice penale; mentre la seconda è già prevista nel comma 6 dell’articolo 416 riguardante l’associazione a delinquere.

Tags: codice penale diritto penale Antonio Marini giustizia Ottobre 2010

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