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Occupazione abusiva: Il silenzio dello Iacp non elimina il reato

Del tutto diversa è la vicenda che ha costituito oggetto della sentenza n. 37.139 del 25 settembre 2007, nella quale l’occupazione abusiva riguardava l’arbitrario «subentro» in un alloggio dell’Istituto Autonomo Case Popolari di Grumo Nevano, in provincia di Napoli, assegnato in precedenza a una persona che l’aveva lasciato libero per motivi di carattere personale. L’occupazione abusiva era rimasta clandestina fino a quando l’occupante, avvalendosi di quanto disposto dalla legge della Regione Campania n. 13 del 2000, aveva presentato un’istanza di regolarizzazione con contestuale autodenuncia, cominciando a pagare il canone. 

Pur avendo accertato che l’imputata aveva indubbiamente posto in essere la condotta materiale prevista dal reato di cui all’articolo 633 del codice penale, il tribunale di Napoli l’aveva comunque assolta con la formula «perché il fatto non costituisce reato», affermando tra l’altro che l’Istituto Autonomo delle Case Popolari hanno tra le loro finalità quella di «regolarizzare le locazioni degli immobili per riscuotere i canoni», e che gli alloggi di tali enti «erano destinati a un’assegnazione, previo l’espletamento della relativa procedura». Nella specie, secondo il giudice di merito non poteva quindi parlarsi di arbitrarietà dell’occupazione, in quanto l’unico interesse dell’ente era quello che le persone che occupavano gli alloggi pagassero il relativo canone, cosa che l’imputata aveva concretamente fatto. Contro la sentenza di assoluzione aveva proposto ricorso il pubblico ministero, censurando in particolare le premesse logico-giuridiche del primo giudice, tali da aprire la porta all’inammissibile corsa all’occupazione degli alloggi di edilizia popolare, in palese contrasto con le leggi in materia.

La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso ed ha annullato la decisione del tribunale, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Napoli per il nuovo giudizio. Nella sentenza la Suprema Corte rileva, innanzitutto, che gli alloggi costruiti dallo IACP per la realizzazione dei loro fini devono essere considerati beni immobili destinati al perseguimento di finalità di interesse pubblico, e devono essere assegnati per legge solo agli aventi diritto. Proprio questa funzione sociale - si sottolinea nella sentenza -, comporta che il cardine di tutta la disciplina dell’edilizia popolare è costituito dall’inderogabile principio che l’assegnazione degli alloggi deve avvenire secondo criteri prefissati dagli organismi pubblici e da questi verificati attraverso idonee procedure, pertanto nessuna rilevanza può avere l’arbitrio del singolo, pur bisognoso.
Da qui deriva che la ratio legis in questo settore normativo non può essere disgiunta dal rigoroso rispetto delle regole. La linea ispiratrice di tutta la normativa in materia segue infatti costantemente un’unica direttrice, a cominciare dagli strumenti urbanistici particolareggiati e dall’acquisizione delle aree edificabili fino al finanziamento con pubblico denaro e all’assegnazione in locazione o in proprietà attraverso un’individuazione del soggetto assegnatario non arbitraria e soggettiva, ma pubblica e regolata.

Interessanti spunti in merito si trovano nella precedente sentenza n. 1.076 del 25 gennaio 2002 in cui si è puntualizzato, dopo la premessa che l’edilizia popolare è un esempio tipico di bene destinato ad uso pubblico, che l’assegnazione dell’alloggio costituisce la naturale esplicazione del potere dell’ente pubblico proprio riguardo all’espletamento delle finalità di cura di interessi collettivi. La stessa denominazione corrente dell’attività di edilizia pubblica usata negli anni - edilizia economica e popolare, legge sulla casa, edilizia residenziale pubblica -, dimostra l’obiettivo di tutela di un bene primario quale quello della casa per chi si trovi in condizioni di specifico e definito disagio.

Per quanto riguarda la configurabilità del delitto previsto dall’articolo 633 del codice penale, la Corte ribadisce il principio secondo cui la condotta di «invasione» non richiede modalità esecutive violente e consiste nel fatto di introdursi arbitrariamente nell’altrui immobile. Secondo la Corte, il requisito dell’arbitrarietà va ravvisato, in particolare, nel fatto di essersi introdotti nell’immobile contra ius, cioè in difetto di un diritto di accesso. Nel caso in cui l’occupazione si protragga nel tempo, deve poi ritenersi che il delitto ha natura permanente e cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto dall’edificio, dato che l’offesa al patrimonio pubblico perdura sino a quando continua l’invasione arbitraria dell’immobile al fine di occuparlo o di trarne profitto.

Quanto alla quiescenza di fatto dell’ente proprietario, la Corte ha precisato che essa non elide la situazione di arbitrarietà, non potendo gli organi dell’ente sottrarsi al dovere di assegnazione secondo i criteri sopra menzionati, tanto più che il legislatore ha rafforzato l’accoglienza della norma penale prevedendo la procedibilità d’ufficio quando si tratta di occupazione abusiva di immobili pubblici o destinati ad uso pubblico. Nessun dubbio, quindi, che prima della legge regionale e dell’atto di autodenuncia contestuale all’istanza di regolarizzazione sussistesse un’occupazione arbitraria dell’immobile che integrava gli estremi del reato di cui sopra.
Mancava infatti all’occupante ogni titolo di legittimazione, tale non potendo configurarsi l’abbandono dell’immobile da parte del precedente assegnatario. Mancavano, inoltre, elementi concreti per i quali si potesse ragionevolmente escludere il dolo nel delitto in esame, esistendo la piena consapevolezza del carattere arbitrario della condotta di occupazione dell’immobile posta in essere dall’imputata.

Qui il caso a confronto Diritto alla casa: quando si applica l’esimente dello stato di necessità

 

 

Tags: occupazione casa Antonio Marini Febbraio 2008

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