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Diritto alla casa: quando si applica l’esimente dello stato di necessità

Con due sentenze, emesse a pochi mesi di distanza una dall’altra, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del diritto alla casa. L’occasione è stata fornita da due vicende di occupazione abusiva di alloggi costruiti dallo IACP, Istituto Autonomo Case Popolari, avvenuta una a Roma e l’altra in provincia di Napoli. Nel primo caso si è riproposta la questione se l’esimente dello stato di necessità possa applicarsi anche a tutela del diritto all’abitazione. Al riguardo è opportuno ricordare che in virtù dell’articolo 54 del codice penale non è punibile chi ha commesso un reato per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionabile al pericolo.
Il fondamento di questa causa di giustificazione è assai discusso. Non sono pochi coloro che hanno ravvisato la ragione della scriminante nell’istinto di conservazione, incoercibile nell’uomo. Comunque oggetto del pericolo deve essere un danno grave alla persona. Secondo alcuni autori, per danno alla persona si intende solo il danno alla vita e all’integrità fisica. Secondo altri, invece, tale limitazione non è giustificata da alcun plausibile motivo. Anche in tema di integrità fisica o morale, anche i beni della libertà fisica o morale, della inviolabilità sessuale, del pudore o dell’onore, riguardano direttamente le persone e perciò possono essere preservati mediante fatti che di regola costituiscono reato. Così, ad esempio, una bagnante rimasta priva delle vesti, asportate dalla corrente, può impossessarsi di un indumento altrui per salvare il proprio pudore, senza perciò incorrere nell’accusa di furto.
Con la recente sentenza n. 35580 del 27 giugno 2007 la Cassazione ha precisato che rientrano nel concetto di «danno grave alla persona» non solo la lesione della vita e dell’integrità fisica, ma anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali dell’uomo, secondo la prescrizione contenuta nell’articolo 2 della Costituzione. Rientrano in tale previsione anche quelle situazioni che minacciano solo indirettamente l’integrità fisica del soggetto, in quanto si riferiscono alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, tra i quali deve essere ricompreso il diritto all’abitazione, poiché l’esigenza di un alloggio rientra tra i bisogni primari della persona.
Si tratta di un principio già espresso nel recente passato e che ha trovato la propria incisiva formulazione nella sentenza n. 24.920 del 2004, ove si è puntualizzato che l’interpretazione estensiva del concetto di «danno grave alla persona» va bilanciata da una più attenta e penetrante verifica dei requisiti richiesti dalla legge diretta a circoscrivere la sfera di azione dell’esimente ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti gli elementi costitutivi della stessa, quali la necessità e l’inevitabilità del pericolo, non potendo i diritti dei terzi essere compressi se non in condizioni eccezionali chiaramente comprovate.
Nella specie, era stato accertato che l’occupazione abusiva dell’immobile da parte dell’imputata, trovatasi da sola con la piccola figlia priva di casa e di risorse economiche, era stata dettata dalla necessità di salvare la bambina da un grave danno alla salute, risolvendosi in un fatto proporzionato a tale pericolo. Perciò, la Suprema Corte aveva confermato la sentenza di assoluzione della donna emessa dal giudice di merito, evidenziando la peculiarità della situazione e rimarcando, altresì, come di tali eccezionali condizioni si fosse fatto carico lo stesso Comune, requisendo l’appartamento proprio per destinarlo, sia pure temporaneamente, al nucleo familiare della donna.
Nell’analogo caso che costituisce oggetto della sentenza in esame è stata, per contro, totalmente omessa dal giudice di merito qualsiasi indagine sia al fine di verificare le effettive condizioni dell’imputata, l’esigenza di tutela del figlio minore, la minaccia dell’integrità fisica degli stessi; sia al fine di verificare la sussistenza, sotto il profilo obiettivo, dei requisiti della necessità e dell’inevitabilità del pericolo che, unitamente agli altri elementi richiesti dalla legge, consentono di ritenere la sussistenza della scriminante in questione. Pertanto la Corte ha annullato la sentenza di condanna dell’imputata, rinviando per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
Come si vede, si tratta di una decisione che non ha nulla di clamoroso, per cui lo scalpore suscitato sulla stampa è apparso fuori luogo. Infatti non siamo in presenza di una sentenza, come si è paventato, che ha affermato l’irrilevanza penale delle occupazioni abusive, ovvero la non punibilità di chi occupa un alloggio popolare per necessità, ma semplicemente di una decisione che ha riaffermato un principio ormai consolidato in tema di applicabilità dell’esimente dello stato di necessità al reato di invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, previsto dall’articolo 633 del codice penale, calibrando però la decisione sia alla specificità della situazione di fatto, sia alle «griglie» della causa di giustificazione, che rimane ben radicata nel concreto e immediato pericolo di un grave danno alla persona e nell’impossibilità di evitarlo altrimenti.
In definitiva, nell’applicazione della scriminante si deve tenere debitamente conto della peculiarità del caso concreto, posto che non può in astratto escludersi che una momentanea e transitoria occupazione di un immobile possa essere l’unico rimedio per evitare un danno grave alla persona, specie quando l’esimente rischia di colpire un minore o una persona anziana o ammalata, e nessuna soluzione risulta esperibile nell’ambito dei servizi pubblici o della solidarietà umana.

Il commento prosegue qui: Occupazione abusiva: Il silenzio dello Iacp non elimina il reato

Tags: occupazione casa Antonio Marini giustizia Febbraio 2008

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