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Che scandalo: la montagna di Renzi ha partorito un topolino

GIORGIO BENVENUTO  presidente della fondazione  Bruno Buozzi

Siamo alle solite. È cominciato il tormentone di fine anno. La Legge di stabilità, come è stata negli ultimi anni ribattezzata la Legge finanziaria, è stata approvata dal Consiglio dei Ministri il 15 ottobre. Il premier l’ha chiamata «legge di fiducia». L’articolato della legge, le schede tecniche, le osservazioni della Ragioneria, sono state poi rese note a rate. È l’andazzo di un sistema che continua immutabile ed imperterrito ad approvare nelle riunioni istituzionali solo la «copertina» delle leggi, arricchita da una conferenza stampa nella quale si comunicano in modo generico le linee generali della manovra economica.
È una tecnica consolidata. In questo modo il dibattito non avviene nelle sedi istituzionali, non si sentono i corpi intermedi, si dirotta l’attenzione su aspetti marginali. Si fa leva su quella tendenza degli italiani a concentrare l’attenzione sui dettagli e sui particolari. È capitato negli anni passati; si ripete anche nel 2015.
La Legge di stabilità ha concentrato l’attenzione sull’eliminazione della tassa sulla casa (è diventato un caso drammatico quello dei proprietari di ville e addirittura di castelli). Ha assunto dimensioni epocali l’elevamento delle transazioni in contanti da mille a tremila euro, come se fosse decisivo nella lotta all’evasione fiscale e al riciclaggio.
Si è a lungo discettato sulle nuove concessioni da assegnare per l’installazione delle slot machine (15 mila, 20 mila, 22 mila euro) come se fosse di per sé sufficiente per contrastare l’allargarsi della ludopatia tra i settori più deboli del Paese. Insomma con grande maestria il Premier ha concentrato il dibattito su aspetti particolari, rendendo vano ogni confronto sulla strategia funzionale alla ripresa dell’economia e allo sviluppo del Paese.
Renzi, bisogna riconoscerlo, ci sa fare. Dribla, schiva, anticipa opposizioni e forze intermedie. Si muove nelle conferenze stampa, nelle continue interviste, nei convegni, nelle assemblee, nelle sedi internazionali, come un rullo compressore. I suoi interlocutori sono annichiliti, rassegnati, impotenti. Non hanno proposte. Si muovono lentamente. Si limitano al massimo al «benaltrismo», neologismo che si esprime nel «si poteva fare di più; serviva ben altro, non sono queste le scelte che cambieranno l’Italia».
Rebus sic stantibus ecco, con beneficio di inventario, in pillole alcuni tra i contenuti della Legge di stabilità 2016.

Per le famiglie:
• La cancellazione della Tasi (anche per gli inquilini) e dell’Imu scatta col nuovo anno. Equivale ad un alleggerimento di 180 euro a famiglia (210 nei centri più grandi). «Ridurre le tasse sulla prima casa–ha spiegato Renzi–è ridare fiducia agli italiani. Con molta franchezza dico che nella tassazione sulla prima casa non c’è nulla di male, in altri Paesi c’è. Ma per come stanno le cose in Italia vuol dire immettere un elemento di fiducia e ha un valore simbolico, evocativo»;
• Un’apposita legge delega collegata alla Legge di Stabilità prevederà una misura organica contro la povertà, soprattutto a favore dei minori. A loro verrà destinato un bonus mensile tra i 200 e i 400 euro. Lo stanziamento complessivo è di 600 milioni di euro nel 2016, per salire poi a un miliardo nel 2017. A queste risorse si aggiungono poi 100 milioni l’anno destinati al contrasto della povertà educativa, frutto di un accordo con fondazioni bancarie, terzo settore e Comuni;
• Dal 2016 parte un Piano straordinario per l’efficientamento energetico degli alloggi pubblici. Sono previsti investimenti per 170 milioni di euro;
• Il canone Rai verrà pagato attraverso la bolletta elettrica. Si pagherà una volta sola a prescindere dal numero di case e utenze possedute e in caso di inadempienza non si verrà sanzionati col distacco della corrente. Nel 2016 si verseranno 100 euro, anziché 113,5, che scenderanno poi a 95 nel 2017. Il canone si pagherà tutto in bolletta (criteri, termini e modalità di pagamento verranno fissati dal Ministero dello Sviluppo economico);
• Aumenta dal 36 al 50 per cento il bonus edilizia, vengono confermati l’ecobonus (detrazione al 65 per cento) ed il bonus mobili, esteso anche alle giovani coppie under 35 che decidano di formare una famiglia e che potranno beneficiare dello sconto anche se non ristrutturano la casa;
• Sale la «no tax area» per i pensionati. L’estensione scatterà infatti solo dal 2017, a meno che la Commissione europea non accordi all’Italia l’uso di maggiori fondi per l’emergenza migranti. Per i soggetti con più di 75 anni la soglia di reddito entro la quale non si pagano più tasse salirà da 7.750 a 8 mila euro, sostanzialmente allo stesso livello dei lavoratori dipendenti. Per i pensionati sotto i 75 anni la no tax area aumenterà invece da 7.500 a 7.750 euro. Secondo le stime dei sindacati si tratta di un intervento che vale all’incirca 200 milioni di euro e di cui beneficeranno 2 milioni di pensionati. Si tratta in media di 100 euro a testa di tasse in meno da pagare: la cifra che entra nelle tasche dei pensionati meno abbienti è però poco più che simbolica;
• È escluso un intervento per i pensionandi a tutto campo sulla flessibilità in uscita; il Governo punta nel 2016 a tutelare altri 22-26 mila «esodati» utilizzando il miliardo e 300 milioni risparmiati negli ultimi tre anni, che verrebbero destinati a una settima salvaguardia. Con le precedenti sei salvaguardie sono stati tutelati sino ad ora circa 190 mila persone rimaste senza lavoro e senza pensione. Viene prorogato anche al prossimo anno il meccanismo che consente alle donne di lasciare il lavoro in anticipo con 35 anni di contributi una volta compiuti i 57 anni (58 per le lavoratrici autonome). In cambio il loro assegno viene però ricalcolato col metodo contributivo con una riduzione degli importi che può arrivare anche al 30 per cento;
• I lavoratori che dal 2016 al 2018 maturano 63 anni e 7 mesi di età (cioè 3 anni dall’età pensionabile di vecchiaia) potranno optare su base volontaria per il part-time al 60-40 per cento e vedersi al tempo stesso tutelato il loro assegno pensionistico. L’intervento riguarderà solo i lavoratori dipendenti del settore privato.  

Per le imprese:
Tutti questi interventi costeranno all’incirca 3 miliardi di euro. Non saranno stanziate risorse aggiuntive perché gli interventi sulla previdenza sono già nelle voci di bilancio previste.
anticipo del taglio dell’Ires non ci sarà. Ogni punto in meno di tassa sulle imprese costa infatti circa 1,2 miliardi e senza il via libera dell’Unione Europea ad un’ulteriore flessibilità di bilancio legata all’emergenza immigrati (che vale 3,3 miliardi) il Governo non riesce a finanziare anche questo intervento. Oltre alla cancellazione dell’Imu sugli «imbullonati» (530 milioni) resta confermato l’impegno di portare l’Ires al 24 per cento (dal 27,5 per cento di oggi) a partire dal 2017. Le imprese potranno mettere in detrazione il 140 per cento del valore dei beni e dei macchinari acquistati. La norma, che vale circa 800 milioni, è subito operativa.
Lo sconto da 8 mila euro per ogni contratto a tempo indeterminato dall’anno prossimo inizierà a calare: nel 2017 sarà ridotto del 60 per cento (a 3.200 euro) e varrà solo per due anni anziché per tre; nel 2018 scenderà ancora. Vengono ripristinati gli incentivi a chi contratta a livello aziendale su produttività e welfare. Sui premi aziendali l’aliquota è ridotta al 10 per cento, e il tetto è portato a 2.500 euro.
Arriva il Jobs Act per i lavoratori autonomi, per assicurare nuove tutele di tipo contrattuale e nel welfare. Prevista anche la revisione dei minimi dell’Iva. In particolare la soglia di ricavi sale a 15 mila euro per i professionisti (portando così il limite a 30 mila) e di 10 mila euro per le altre categorie di imprese. È estesa la possibilità di accesso al regime forfettario ai lavoratori dipendenti e pensionati che hanno anche un’attività in proprio a condizione che il loro reddito da lavoro dipendente o da pensione non superi i 30 mila euro. Per le nuove start up è previsto un regime di particolare favore con l’aliquota che scende dal 10 al 5 per cento applicabile per 5 anni (anziché 3). Alle piccole imprese viene ridotta l’Irap e soprattutto si potrà recuperare subito l’Iva sui crediti insoluti. Il piano straordinario a favore del Made in Italy è potenziato: stanziati 60 milioni in più. 
Importanti sono i provvedimenti annunciati per l’agricoltura. Sono cancellate Imu e Irap; sale dall’8,8 al 10 per cento la compensazione dell’Iva; sono stanziati 140 milioni per i danni da calamità naturali e 45 milioni per il rinnovo del parco macchinari. Altri provvedimenti associati riguardano: le Partecipate (riduzione da 8 mila a mille: tetto ai dirigenti, riduzione delle poltrone, trasparenza dei dati); la Pubblica Amministrazione (premiare efficienza e merito nella selezione del personale); i Comuni (liberi di spendere i soldi in cassa per strade, scuole, marciapiedi, giardini); le clausole di salvaguardia (azzerate nel 2016, l’aumento dell’Iva e delle accise però è rinviato al 2017); la Cultura (aumento di mille ricercatori, 500 cattedre universitarie speciali, 500 assunzioni nella cultura); il Fondo Sanità (110 miliardi nel 2015, 111 nel 2016); le Provincie (prosegue il taglio, ma sono fatti salvi i finanziamenti per la manutenzione di strade e scuole).
Il tema centrale della Legge di stabilità è il fisco: riflessioni, valutazioni, proposte per fare finalmente una vera riforma. In un decennio (2001-2012) le imposte sono aumentate di oltre 103 miliardi con un incremento della pressione fiscale di 3,4 punti (dal 41,3 per cento al 44,7 per cento). I dati non ancora definitivi del 2013 e del 2014 sono pessimi. Le entrate fiscali originariamente previste per finanziare lo Stato sociale hanno subito una vera e propria distorsione. I tagli al welfare sono stati crescenti (pensioni, sanità, occupazione, scuola, università ecc.) e le tasse e le imposte sono cresciute in modo vertiginoso per colmare la voragine della spesa pubblica.
L’accanimento fiscale negli ultimi dieci anni ha prodotto un aumento gigantesco di gettito che ha impoverito pesantemente famiglie ed imprese. Il fisco ha pesato per il 70 per cento, i tagli alla spesa pubblica sono stati pari al 30 per cento. Sono aumentati i professionisti della lotta all’evasione fiscale. Tanta indignazione, molte carriere politiche, molti talk-show, ma nessun risultato. È singolare quello che è avvenuto ed avviene ad esempio nel campo della riscossione.
Un dato allarmante è la decadenza delle rate concesse da Equitalia negli ultimi tre anni: 9 miliardi di euro non sono stati riscossi. Equitalia, con le modifiche introdotte con la riforma fiscale, pensa ora di riuscire a recuperare appena 2,8 miliardi di euro. Inaccettabili, infine, i dati resi pubblici da Equitalia in una recente audizione alla Commissione Finanze della Camera: ci sono 682 miliardi di euro che Equitalia non riesce a riscuotere. Erano 545 due anni fa. Si tratta di somme dovute all’Agenzia delle Entrate, all’Inps, ai Comuni, alle Regioni.
Il sottosegretario all’Economia Paola De Micheli ha indicato la distribuzione dei crediti inesigibili: 127,8 miliardi verso falliti; 66,2 miliardi verso deceduti o ditte cessate; 82 verso nullatenenti. Per 304,8 miliardi sono state tentate azioni cautelari (pignoramenti, per esempio) senza successo e per 101 miliardi le azioni sono in corso.
La numero uno dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi ha, a sua volta, ricordato che nel 2014 sono stati recuperati 14,2 miliardi dagli evasori fiscali, mentre le evasioni accertate sono state circa 30 miliardi. La lotta all’evasione fiscale è diventata un luogo comune; assistiamo ad un uso e ad un abuso quasi rabbioso della leva fiscale; registriamo la trasformazione della progressività fiscale in regressività che colpisce i soggetti più deboli e più poveri del Paese. Anche i provvedimenti di semplificazione diventano infernali: sono stati propagandati i 730 precompilati; in questi giorni l’Agenzia delle Entrate ha inviato a 220 mila cittadini che avevano utilizzato quella procedura, altrettanti avvisi di accertamento. E da precompilati i moduli si sono trasformati in «precomplicati».
È stato un grave errore unificare il Ministero del Tesoro con il Ministero delle Finanze. Alla politica della spesa è stata subordinata la politica fiscale. Sono aumentate le diseguaglianze (il peso fiscale sui redditi fissi è più oneroso di quello sul lavoro autonomo); il federalismo con la proporzionalità delle addizionali sui redditi e sul lavoro ha determinato una politica fiscale di vantaggio per il Nord penalizzando pesantemente il Sud.
In Italia la politica fiscale è una vera e propria mostruosità. In venti anni siamo stati sommersi da un diluvio di pseudoriforme che hanno complicato in modo irragionevole il rapporto tra cittadini e Stato. Lo Statuto del Contribuente è stato in dieci anni aggirato o violato per quasi cinquecento volte; le leggi fiscali sono diventate sempre più incomprensibili (permane il vizio di normare per fattispecie giuridiche); l’amministrazione fiscale e la Guardia di Finanza sono spesso bloccate dalla carenza di risorse e da una assurda politica di penalizzazione degli operatori (blocco dei contratti e delle carriere, annullamento degli incarichi dirigenziali, interventi a gamba tesa della politica nell’autonomia gestionale ecc.).
Siamo l’unico Paese in Europa in cui esiste il sostituto d’imposta per i lavoratori e i pensionati; l’unico Paese che tassa il lavoro e l’occupazione favorendo la rendita e la finanza. C’è molto da fare e da cambiare. L’ultima «riforma» fiscale ha impiegato dieci anni e tre legislature per arrivare in porto; i decreti delegati hanno richiesto 550 giorni e lungo la strada parlamentare si sono smarriti il riordino del Catasto, l’istituzione delle imposte sul reddito dell’imprenditore, la nuova tassazione ambientale. Insomma, la montagna ha partorito il topolino.
In linea più generale il Governo Renzi, affetto dalla sindrome degli «annunci», in 18 mesi ha varato solo il 50 per cento delle deleghe, molte sono rimaste al palo, inattuate o attuate in modo parziale. L’evasione si fronteggia invece anche ricostruendo una collaborazione vera, non di facciata, tra fisco e contribuenti. Le leggi fiscali, la loro interpretazione, la loro applicazione vanno fatte con equilibrio. La politica tributaria deve essere assennata. È ridicolo il can can sul limite dei tremila euro al contante. Lo Stato, se vuole, conosce tutto sul contribuente. C’è la tracciabilità. L’Agenzia delle Entrate ha un eccellente sistema informatico. Ci sono le sanzioni. Tutto è previsto ed è normato. Non c’è però controllo. È quello che avviene nelle grandi città: ci sono precise regole sul traffico, sulla sosta, sulle multe. Nessuno le applica e tutti fanno quello che vogliono. E pensare che basterebbe ripristinare il provvedimento adottato a suo tempo dall’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Massimo Romano, che aveva messo in rete per ogni contribuente il totale delle entrate con indicate le tasse pagate. Mal gliene incolse. Intervenne il garante della privacy che fece cancellare il provvedimento. Amaramente si deve constatare che la privacy dei potenziali evasori fiscali è per lo Stato un diritto da tutelare.
L’immagine della democrazia, come ha ricordato Francesca Pè nell’introduzione al libro del teorico del movimento innovativo spagnolo «Podemos» Juan Carlos Monedero (dal titolo «Corso urgente di politica per gente decente»), non può essere rappresentata da «un mezzo busto su uno schermo di plasma che parla a consumatori di politica di due soldi». «Il ritratto autentico della nostra democrazia–scrive la Pè–non può invecchiare di nascosto in soffitta, mentre noi viviamo l’illusione di un’eterna giovinezza nata dalla sorgente immortale dell’immacolata transizione». L’economia di mercato ignora la democrazia. In Europa si cambiano presidenti e Costituzioni ignorando le promesse elettorali; in Cina i successi economici si accompagnano ai fallimenti democratici. Stiamo perdendo cose per le quali in passato tanta gente si è giocata tutto quello che aveva. La politica delle riforme deve essere una cassetta con gli attrezzi con i quali sottolineare la cecità della pratica senza la teoria e l’inutilità della teoria senza la pratica.
Il Governo, gli enti locali, gli altri enti impositori devono praticare un fisco intelligente per stimolare la crescita, riducendo e non elevando ulteriormente la già insostenibile pressione fiscale. La missione del fisco deve concretarsi in misure che ne aumentino l’efficienza, la semplificazione, l’equità, in sintonia con una realtà economica-produttiva in continua evoluzione. Una politica fiscale veramente di sinistra deve realizzare un equilibrio tra l’entità delle imposte e l’efficienza del welfare. È decisivo che ogni cittadino venga convinto che le leggi e le tasse servono a garantire servizi efficienti e, soprattutto, che cessi il finanziamento sfrenato ed incontrollabile della spesa pubblica. Il coinvolgimento delle forze intermedie (sindacati, imprese, lavoratori autonomi) è fondamentale per sconfiggere i comportamenti sbagliati dei contribuenti e dell’Amministrazione che troppo spesso si confrontano senza fidarsi e rispettarsi reciprocamente. Il Governo deve dialogare e confrontarsi con loro per fare vere e innovative riforme. I cerchi «magici» dei collaboratori che circondano il presidente del Consiglio non debbono trasformarsi paradossalmente in cerchi tragici.
Albert Einstein amava dire agli amici: «Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose. L’inconveniente delle persone e delle Nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita. Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa che è la tragedia di non voler lottare per superarla». Oggi non dobbiamo rassegnarci alle politiche di austerità, al giudizio dei mercati, alla crescita delle ineguaglianze, alla dissipazione dei diritti. Dobbiamo reagire ad un realismo ipocrita che soffoca la dialettica, la morale, l’immaginazione, il pensiero. È giunto il tempo di stimolare idee nuove, audaci, morali, per definire, come auspica Luciano Gallino, un mercato conforme alla democrazia e non una democrazia conforme al mercato.   

Tags: Novembre 2015 Renzi Giorgio Benvenuto

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