Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

la nuova minaccia jihadista

Antonio Marini

L'allarme questa volta proviene dalle principali agenzie di intelligence: i jihadisti dell’Isis avrebbero escogitato un piano per diffondere il virus Ebola in Occidente, usando terroristi kamikaze. Lo sciagurato progetto prevede che i terroristi contraggano il virus, iniettandosi nelle vene sangue infetto e poi lo diffondano in America o in Europa andando in giro per strade, nelle metropolitane, nei luoghi più frequentati dalle persone. Il virus diventerebbe così un’arma biologica mortale, peraltro non rilevabile al metal detector e nelle perquisizioni, capace di mietere migliaia di vittime. Lo scopo è chiaro: diffondere il panico e la paura tra la popolazione, giocare con il nostro senso di sicurezza, facendoci sentire tutti più vulnerabili ovunque e in ogni momento.
Sarebbe già pronta la nuova campagna mediatica su web attraverso videoclip diffusi in rete che mostrano i terroristi che si iniettano il virus e poi vengono ripresi mentre si aggirano in luoghi ad alta concentrazione di persone come piazze, stazioni, metropolitane, centri commerciali, stadi, musei delle principali capitali, compresa Roma. La nuova strategia del terrore sarebbe stata elaborata nella Sierra Leone, il Paese africano in cui l’incidenza del virus è maggiore. Stando ad alcune fonti dei Servizi segreti occidentali, qualche mese fa un gruppo di terroristi dell’Isis ha attaccato un presidio sanitario e tenuto in ostaggio i medici dai quali ha voluto sapere tutto sulle modalità del contagio e sulle possibilità di usare sangue infetto per una sorta di guerra batteriologica.
È comunque da notevole tempo che i terroristi starebbero studiando questa nuova strategia per la guerra contro l’Occidente. All’inizio dell’anno in un covo tra la Siria e la Turchia è stato ritrovato un computer che conteneva, tra le migliaia di file, anche numerosi testi relativi alla fabbricazione di bombe ed armi batteriologiche. Lo scorso agosto, durante un raid, è stato ritrovato un altro computer contenente file e studi sulla peste bubbonica. Site, il sito di monitoraggio dell’integralismo islamico sul web, ha di recente affrontato il tema degli attacchi batteriologici con il virus Ebola, riferendo di discussioni on line tra gli affiliati dell’Isis sull’ipotesi di diffondere tale virus negli Stati facenti parte della coalizione contro lo Stato islamico.
Ancora più allarmanti sono le notizie che provengono da alcune fonti vicine ai Servizi segreti israeliani che parlano di terroristi che avrebbero già contratto il virus. L’idea di usare l’ebola come arma biologica venne la prima volta al gruppo terroristico giapponese Aum Shinrikyō che nel 1992 si recò nello Zaire e cercò di impadronirsi del virus. Si tratta dello stesso gruppo che il 20 marzo del 1995 realizzò l’attentato alla metropolitana di Tokyo tramite l’impiego del Sarin, un gas nervino micidiale, che provocò la morte di 12 persone mentre oltre seimila rimasero intossicate. Durante le indagini emerse che membri vicini ad Aum Shinrikyō avevano già compiuto a Matsumoto nel 1994 un attacco con gas nervino contro la casa di un giudice che indagava sulla loro attività. Nell’attacco rimasero uccise 7 persone. L’attentato di Tokyo mise in mostra la debolezza e l’inadeguatezza delle autorità giapponesi nel fronteggiare un’emergenza derivante da attacchi terroristici di quella natura, suscitando tante polemiche. In un’audizione in Parlamento il ministro dell’Interno ammise le carenze e promise l’adozione di misure adeguate per fronteggiare il bioterrorismo.
Un precedente ancora più inquietante si riscontra negli Usa con le lettere contenenti spore di antrace, inviate a due senatori del Partito democratico e ad alcuni giornalisti appena una settimana dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 a New York e a Washington. Il fatto causò la morte di 5 persone e l’intossicazione di altre 17, portando ad un’ulteriore destabilizzazione del clima interno alla nazione. Dopo anni di indagini difficili e complesse, che coinvolsero principalmente al Qaeda e i servizi segreti di Saddam Hussein, l’FBI giunse alla conclusione che il responsabile di tutto era Bruce Ivins, ricercatore microbiologico specializzato nella biodifesa, ma non si poté arrivare alla sua incriminazione perché il 27 luglio del 2008 lo stesso morì per una overdose di tranquillanti, e il caso fu chiuso.
Gli amici dello scienziato hanno però sostenuto sempre la sua innocenza e tuttora la dinamica del suicidio è avvolta nel mistero. Tornando all’ebola e alla possibilità di una diffusione deliberata del virus da parte dei terroristi, non si può negare che la tecnica degli untori del terzo millennio, sebbene abbia scarse possibilità di attecchire come canale di diffusione dell’epidemia in quanto lo stato di salute del terrorista malato può pregiudicare fortemente la riuscita del piano, rischia tuttavia di produrre un effetto devastante nell’immaginazione collettiva e nel nostro senso di sicurezza. Comunque è bene non sottovalutare la minaccia e tenere alta la guardia in campo sia nazionale sia internazionale.
Le condizioni per compiere un attacco bioterroristico con l’Ebola in Africa vi sono tutte e, considerata la contagiosità del virus, il rischio di una deliberata epidemia internazionale, in un mondo globalizzato, costituisce un problema di sicurezza globale. Quindi la minaccia, anche in campo internazionale, deve esser presa in seria considerazione. L’Isis è un gruppo terroristico particolarmente pericoloso che teorizza una guerra totale e interna allo stesso Islam, oltre che contro l’Occidente, proponendosi addirittura la conquista di Roma e del mondo intero. Il suo sanguinario leader, il califfo Abu Bakr al Baghdadi, in un recente messaggio diffuso in rete da siti jihadisti, non ha esitato ad evocare la città eterna come obiettivo della Jihad, costringendo il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, a riferire urgentemente al Parlamento, come riferito nel numero di Specchio Economico dello scorso ottobre.
Apprezzabili, quindi, le misure messe in atto dal Governo italiano per valutare e individuare ogni eventuale rischio di importazione del virus e contenerne la diffusione. Le regioni italiane più esposte geograficamente al rischio di importazione deliberata sono naturalmente quelle costiere, specie la Sicilia a causa dei periodici sbarchi lungo le sue coste di migranti irregolari, tra cui possono facilmente infiltrarsi i kamikaze di Ebola. Certo la vigilanza è alta, ma nessuno può escludere che esista un rischio del genere. Il ministero della Salute da parte sua continua ad aggiornare in tempo reale le disposizioni per il rafforzamento delle misure di sorveglianza nei punti di ingresso internazionali - porti e aeroporti presidiati dagli uffici di Sanità Marittima, Area di Frontiera. Usmaf -, impartendo specifiche direttive affinché il rilascio della libera pratica sanitaria alle navi che, nei 21 giorni precedenti, abbiano toccato uno dei porti dei Paesi colpiti, avvenga solo dopo la verifica da parte dell’Usmaf della situazione sanitaria a bordo.
Per ciò che concerne gli aerei è stata richiamata la necessità dell’immediata segnalazione dei casi sospetti a bordo, per consentire il dirottamento dell’aereo verso uno degli aeroporti sanitari italiani designati ai sensi del Regolamento Sanitario Internazionale del 2005. Quanto alle condizioni dei migranti provenienti dalle coste africane via mare, è stato precisato che la durata di questi viaggi fa sì che persone che si fossero eventualmente imbarcate mentre la malattia era in incubazione manifesterebbero i sintomi durante la navigazione e sarebbero, a prescindere dalla provenienza, valutati per lo stato sanitario prima dello sbarco, come avviene con l’operazione Mare Nostrum.   

Tags: Novembre 2014 africa immigrazione terrorismo Antonio Marini giappone tokyo jihad

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa