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Sviluppo. L’Italia non brilla nella classifica mondiale. Soddisfa in qualche settore

Lucio Ghia

Pressoché ignorata dalla stampa, la massa dei dati sui vari aspetti dello sviluppo economico e sociale dei principali Paesi del Mondo ha anche l’effetto di spingere le varie economie a diventare più dinamiche e competitive. Effetto prodotto quindi anche dalla pubblicazione del Doing Business, ossia la classifica delle posizioni guadagnate o perdute dai suddetti Paesi. A completamento della prima parte pubblicata nello scorso numero di Specchio Economico, va rilevato che in alcune aree negli ultimi 5 anni consistenti progressi sono stati compiuti da Paesi non del tutto industrializzati, ma comunque in crescita.
Per esempio, nell’espansione delle registrazioni elettroniche degli assets che possono essere usati come collaterali, i maggiori passi avanti sono stati fatti da Repubblica Democratica del Congo, Gibbuti, Lituania e Palau. Nella creazione di un registro unificato delle proprietà mobiliari, che in Italia non esiste, brillano Afghanistan e Corea; Macedonia e Ruanda nelle varie tipologie mobiliari e obbligazionarie che possono essere oggetto di garanzie; nella classifica generale tra i Paesi più sensibili in questo tema, si distinguono anche Malesia, Georgia, Australia, Stati Uniti e Nigeria.
L’Italia è nella parte finale della classifica. Questo è un grave segnale d’allarme che sottolinea lo sforzo che banche e istituzioni finanziarie dovranno compiere per essere competitive sugli scenari mondiali. Infatti l’Italia è del tutto assente nella graduatoria delle economie che negli ultimi 5 anni hanno compiuto progressi nel regolamentare la concessione di credito alle imprese; conseguente è l’abbassamento del rating.
Il sesto indicatore riguarda la protezione che i vari sistemi-Paesi danno all’investitore. Infatti, senza accesso al credito internazionale non c’è sufficiente sviluppo nelle economie che si affacciano al mercato mondiale né superamento delle crisi di impresa. Nell’ultimo periodo si sono distinti Macedonia, Ruanda, Turchia, Panama, Kuwait, Emirati Arabi, Congo e Vietnam. Si tratta di economie in via di sviluppo, ma il Doing Business 2014 pone in evidenza come, anche attraverso la tutela degli investitori in capitale di società, in Europa e Asia Centrale esistano sostanziali facilitazioni a start-up.
È stata valutata anche l’introduzione, nei vari sistemi giuridici, di norme volte a rendere più trasparenti i rapporti tra parti correlate, cioè società che controllano altre società. Nella riforma del diritto societario l’Italia ha introdotto l’obbligo di rendere pubblica la loro appartenenza allo stesso gruppo, ma ciò non è stato ritenuto sufficiente per farla avanzare in classifica. Ai primi posti sono Nuova Zelanda, Hong Kong, Cina, Irlanda, Stati Uniti, Gran Bretagna, Albania e Georgia.
È uno dei limiti della Doing Business poiché pone tutti i Paesi sulla stessa base di partenza indipendentemente dalle loro specificità, e non considera che esistono sistemi normativi avanzati e altri iniziali. Anche in questo, con effetti negativi sul rating generale, l’Italia non viene presa in considerazione per i cambiamenti effettuati nella protezione degli investitori.
L’ulteriore indicatore incentrato su imposte e tasse esamina il prelievo fiscale sugli stipendi dei lavoratori e i contributi obbligatori. Il trend degli ultimi 5 anni premia le economie meno complesse e i sistemi di regolamentazione normativa più semplici. Europa e l’Asia centrale hanno messo a punto una struttura avanzata per tasse e contribuzioni sociali, ma si sono distinti anche i Paesi dell’Africa subsahariana, dell’America Latina e dei Caraibi. 11 Paesi hanno semplificato i sistemi di pagamento con mezzi e modalità elettroniche e unificato tasse, tributi e contributi sociali, riducendo le ore dedicate dal cittadino a questi adempimenti.
Il Guatemala ha reso più facile il pagamento delle tasse con un sistema on line per registrare e pagare, con addebito bancario diretto, tutte le tasse, incluse quelle destinate ad interventi di solidarietà e i contributi socio-sanitari. Questo ha ridotto i pagamenti da 21 a 7 e il tempo per queste attività a 6 ore annue. Anche altre economie si sono distinte per la semplificazione del numero di tasse da pagare. Albania, Panama, Romania, Congo, Islanda, Sud Africa, Qatar e Ucraina hanno semplificato la tassazione su introiti e utili. L’Italia non ha fatto grandi passi. Tra i Paesi a noi vicini, Turchia, Germania, Austria, Bulgaria, Spagna, Polonia ci sopravanzano di molto.
L’ottavo indicatore è relativo al commercio internazionale. Vengono considerati i trasporti marittimi e aerei. Il Doing Business ha esaminato 22 riforme in vari Paesi del mondo per renderli più facili e ben 133 riforme attuate negli ultimi 5 anni. Anche in questo caso le economie più semplici hanno fatto passi avanti; quelle più avanzate tra cui l’Italia non hanno dato segnali di miglioramento. Penso che pesino le molte navi gestite da società italiane battenti bandiere straniere, e che hanno il quartier generale in Paesi a tassazione più comprensiva e amichevole. Infatti l’Italia non figura fra i Paesi che negli ultimi 5 anni hanno dedicato riforme interessanti per sviluppare questo tipo di commercio. È singolare vedere in alto nella classifica Grecia, Spagna, Messico, Nuova Zelanda, Belgio, Giappone, Austria, Israele, Singapore e Corea. Evidentemente il legislatore italiano non è concentrato su questa area economica che potrebbe essere sviluppata, considerate anche le nostre caratteristiche geografiche.
La nona indagine è dedicata all’esecuzione dei contratti. In caso di inadempimento, come reagisce il sistema Paese? Gli interventi normativi per migliorare l’efficienza del sistema giudiziario hanno registrato risultati in Cina, Colombia, Estonia ed anche in Italia con l’introduzione del Tribunale delle imprese. Hanno reso più efficiente l’esecuzione delle sentenze Croazia, Repubblica Ceca, Mauritius; ha introdotto Corti specializzate la Costa d’Avorio; Togo e Palau hanno introdotto una sorta di processo telematico. In alcuni Paesi l’esecuzione delle sentenze relative ad obbligazioni restitutorie e di pagamento viene affidata a un esecutore, cui spetta la responsabilità dell’esecuzione della sentenza.
Nella classifica che registra i miglioramenti compiuti negli ultimi 5 anni l’Italia avanza di qualche posizione, ma sempre nella terz’ultima parte della graduatoria. Al riguardo pesano i tempi di definizione dei giudizi estremamente lunghi e l’esecuzione della sentenza è la coda di un processo lungo e complesso; e, come sappiamo, «in cauda venenum». Veniamo all’ultimo indicatore, che è concentrato sulla capacità del sistema Paese di risolvere i problemi dell’insolvenza ovvero della crisi dell’impresa. Anche in questo settore il Doing Business ha esaminato le soluzioni offerte dalle legislazioni e le forme di riorganizzazione e liquidazione anche stragiudiziale. Queste procedure presentano tre obiettivi comuni: permettere ai creditori privilegiati di ottenere più facilmente il pagamento dei loro crediti; rendere possibile la continuazione degli affari; ritornare sul mercato dopo la procedura di insolvenza. Gli obiettivi sono ovunque concentrati nel privilegiare la salvaguardia dell’impresa, quando la stessa sia ancora in grado di creare valore, evitando quando possibile le liquidazioni fallimentari.
L’Italia si è distinta nello sviluppo di diverse soluzioni per rendere più facile la riorganizzazione delle imprese in crisi: è stata estesa la protezione dell’automatic stay al periodo in cui il piano di ristrutturazione viene preparato. È stata garantita priorità di pagamento alla finanza accordata dopo l’inizio della procedura di concordato in bianco, permettendo ai debitori sotto ristrutturazione di partecipare a gare pubbliche. La regolamentazione di professioni e professionisti specializzati nell’insolvenza non è stata ancora affrontata, non sono state eliminate le troppe formalità giudiziarie, né introdotto un limite temporale entro il quale le procedure concorsuali devono trovare termine, né disciplinati casi di esenzione dalla possibilità di proporre appelli. Ciò appesantisce la legislazione rispetto ad altre economie anche se di tipo più semplificato e non paragonabili alla nostra.
La promozione della riorganizzazione anziché della liquidazione costituisce per noi un traguardo precedentemente raggiunto, mentre negli ultimi anni la nostra legislazione ha potenziato la tutela dei diritti dei creditori privilegiati. Il Doing Business 2014 tiene conto del raggiungimento di questo obiettivo ma sottolinea che alcuni Paesi hanno puntato soprattutto sulle procedure di composizione alternative a quelle giudiziarie, introducendo una regolamentazione cornice per le ristrutturazioni al di fuori della Corte.
Comunque lo sforzo fatto dal nostro legislatore negli ultimi 5 anni per ammodernare la legge fallimentare è stato colto appieno perché in questo l’Italia si classifica tra i primi 30 Paesi su 183. Quest’anno il Doing Business presenta un’appendice sui diritti dei lavoratori e sulla loro tutela nei vari Paesi. La nostra disciplina appare più che soddisfacente, ma eccessivamente sindacalizzata e carente per la rigidità del nostro mercato del lavoro ingessato dai troppi diritti di coloro che sono già occupati. L’analisi delle oltre 306 pagine del Doing Business 2014, ricca di dati, offre una fotografia del nostro sistema Paese che deve far riflettere. Quest’anno l’Italia si colloca nella 33esima posizione, risultato migliore rispetto agli altri 9 indicatori, decisamente negativi. Per e nuove iniziative imprenditoriali l’Italia è al 90esimo posto e si distingue per i costi elevati connessi alla loro realizzazione. Per il rilascio di permessi di costruzione sono necessari 283 giorni, con costi molto elevati.; per le registrazioni di proprietà è al 34esimo posto e delle transazioni su beni mobili o proprietà intellettuali, ancora molto indietro. Per il commercio estero al 56esimo posto. Ma note davvero dolenti riguardano l’esecuzione forzata dei contratti, con il 103esimo posto. Questo risultato negativo è dovuto ai tempi dei processi - oltre 3 anni - e ai loro costi, che incidono sul totale per il 23 per cento, comprese le tasse di registrazione delle sentenze.
Nella protezione degli investitori siamo al cinquantaduesimo posto, ma estremamente allarmanti sono il 109esimo posto nella concessione di credito da parte di banche e finanziarie e il 138° nella pressione fiscale con un’incidenza di questa di oltre il 66 per cento degli incassi, e con le 269 ore all’anno dedicate ai calcoli e pagamenti di tasse. Ma concludo con un dato positivo: quest’anno l’Italia ha conquistato il 65esimo posto guadagnando circa 20 posizioni rispetto all’anno scorso. Ulteriori miglioramenti sono conseguibili, ma lo sforzo deve essere collettivo; il legislatore deve prendere atto di questa sintesi annuale fornita dalla Banca Mondiale e tale attenzione va condivisa da ciascuno per recuperare efficienza nell’interesse del lavoro futuro e dell’immagine del Paese.    

Tags: Aprile 2014 banca banche finanza Lucio Ghia

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