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Andrea De Angelis: innovazione, qualità e investimenti sono il futuro della sanita privata

Andrea De Angelis, amministratore delegato delle cliniche Paideia e Mater Dei di Roma

Andrea De Angelis, amministratore delegato delle cliniche Paideia e Mater Dei di Roma, guarda al presente e al futuro della sanità con il pragmatismo e la visione prospettica di un imprenditore abituato a macinare fatturati e risultati, a far quadrare i bilanci con ricavi da «clienti» e senza poter contare su ripianamenti di deficit a pie’ di lista.
Domanda. Qual è il punto di partenza di un’analisi del sistema sanitario?
Risposta. Il punto è che ci troviamo al centro di un periodo difficile, contrassegnato da grandi cambiamenti in tutti i campi e quindi anche in quella che può essere la gestione delle strutture sanitarie e ospedaliere. Quello che è mancato di più nel pubblico è stata una gestione attenta e oculata dell’organizzazione delle strutture ospedaliere e non solo, che tenesse ben presente gli obiettivi delle varie aziende sanitarie. Forse lo stesso Stato avrebbe dovuto incentivare, già a suo tempo, scuole di management sanitario, piuttosto che collocare e nominare dirigenti e direttori generali inesperti che, purtroppo, si sono formati sul campo, con conseguenze che in parte conosciamo. Fortunatamente queste sono vestigia per lo più del passato, visto che negli anni più recenti per poter diventare direttore generale di una struttura sanitaria è necessario aver acquisito qualifiche e competenze ufficiali importanti. Ma non è facile, per chi oggi è qualificato ed è sul campo, gestire la sanità pubblica con i pesanti tagli subiti dal deficit della Regione.
D. Come si configura oggi il privato?
R. Innanzitutto è importante fare una netta distinzione tra il privato convenzionato con il sistema sanitario nazionale e il privato puro. Oggi l’attività privata è in una fase di grandi cambiamenti che richiedono anche consistenti investimenti in qualità, intesa a tutto tondo. È indiscutibile che il presente richieda un radicale cambiamento nella mentalità, ed è impensabile gestire strutture sanitarie private come venivano gestite fino a 20, 10 o anche solo 5 anni fa. Negli ultimi anni la società ci ha messo di fronte a cambiamenti epocali ed io credo che chi è motivato e crede in progetti di alto spessore, al punto tale da esporsi anche con investimenti economici, ha delle chance maggiori. Non credo che ci sia più tanto spazio per chi resta fermo.
D. Lei è un imprenditore della sanità privata: come vede lo sviluppo del settore?
R. Lo spazio di crescita del settore esiste. Il segnale evidente è nello sviluppo di forme alternative di copertura sanitaria, assicurative, corporative, mutualistiche, che hanno avuto il naturale sfogo nel settore privato. C’è tanta richiesta di «privato» anche se oggi purtroppo il cittadino tende ad essere attratto più dal costo dell’esame che non dagli standard qualitativi. Questo accade anche perché è aumentata notevolmente la quantità dell’offerta di prestazioni sanitarie private. Addirittura a volte ci troviamo di fronte a prestazioni offerte a prezzi stracciati su siti che propongono sconti di vario genere. Volumi crescenti ma anche tariffe tendenti a un livellamento, rappresentano un processo apparentemente virtuoso per il cittadino, ma che può contenere in sé un rischio di riduzione di qualità nelle prestazioni sanitarie, la cui percezione avviene spesso in modo tardivo. Sarebbe opportuno distinguere le strutture private, un po’ come avviene negli alberghi, a seconda della qualità dei servizi resi e del grado di innovazione tecnologica. Alcune compagnie assicurative si stanno attivando in questo senso.
D. Come potrebbero dialogare nel modo migliore pubblico e privato?
R. Facciamo l’esempio dell’imminente Giubileo: il servizio pubblico si sta rafforzando in vista dell’evento, le aspettative parlano di milioni di turisti in arrivo nella Capitale ed è facile immaginare la mole di servizi che dovranno essere garantiti. Un’alta percentuale di questi turisti stranieri verrà in Italia coperta da una polizza assicurativa. Anche noi italiani, del resto, quando andiamo all’estero spesso abbiamo nel pacchetto viaggio proprio un’assicurazione che ci garantisce il rimborso delle spese sanitarie in caso si verifichi un problema. Allora, piuttosto che far correre a questi turisti il rischio di attendere nell’astanteria dell’ospedale, dove si dovrebbe dare maggior spazio alle reali urgenze, sarebbe utile trovare la formula per una sinergia migliore e per una risposta più adatta. Sicuramente questo dell’isolamento del privato è anche un problema culturale. Perché forse non si è ancora capito in che direzione sta andando il mondo del privato assicurato con le varie compagnie e i vari fondi. Non si è ancora compresa la proporzione dello sviluppo di questo trend. Si pensi solo che quasi il 65 per cento del nostro fatturato deriva da pazienti coperti in forma diretta, quindi senza anticipo di spese, da assicurazioni, fondi, mutue ecc. e il rimanente prevalentemente da altre forme di convenzionamento. Come emerso da un recente studio realizzato dal Censis e presentato nello scorso mese di giugno, la diffusione tra i lavoratori dipendenti delle forme sanitarie integrative ha raggiunto un tasso di penetrazione di circa il 44 per cento dei potenziali assistibili. Questo è un dato davvero importante e destinato a crescere se si considera che il welfare aziendale sta entrando ormai nella contrattazione collettiva.
D. Sistema e sinergia tra pubblico e privato: se esistesse un tavolo di confronto quali esigenze farebbe presente?
R. In prospettiva, credo ci sia la reale esigenza di mettersi attorno a un tavolo in cui il pubblico, il privato convenzionato e il privato puro possano davvero parlarsi e stabilire i codici per una giusta sinergia. Le esigenze che farei presenti? Collaborare insieme anzitutto. Non voglio parlare soltanto come imprenditore della sanità ma innanzitutto in qualità di cittadino. E da cittadino sapere che esiste una realtà articolata e coordinata, in cui la sanità pubblica e privata siano collegate in un sistema organico e sinergico, in cui siano diversificate competenze e funzioni nell’ottica della centralità della figura del cittadino/paziente, mi farebbe sentire davvero meglio, senz’altro più garantito nella tutela di un bene cosi prezioso come la salute.
D. Non ritiene che gli interessi del pubblico e del privato possano essere contrastanti?
R. Da cittadino chiederei che si possa studiare, attraverso comitati, commissioni e altro, un sistema più elastico. Da operatore sanitario, chiederei di favorire la creazione di sane sinergie tra mondi che adesso non si incontrano, ma che hanno ognuno molto da dare all’altro, al sistema complessivo e naturalmente, in primis, ai cittadini.
D. Il settore privato, secondo lei, in cosa sbaglia?
R. La lacuna più grave degli operatori della sanità privata consiste nel fatto che non siamo pienamente consapevoli di quanto sia fondamentale che le nostre strutture abbiano una spina dorsale. Una struttura privata è anch’essa una struttura ospedaliera a tutti gli effetti e deve avere standard organizzativi che diano garanzie di alto livello ai pazienti. Per ottenere tutto ciò sono necessari consistenti investimenti in organizzazione, attivazione di servizi e tecnologia. Il privato sempre più deve candidarsi ad essere un settore che può dire la sua studiando innovazione, trovando ispirazione, guardando anche all’estero, al mondo anglosassone, agli Stati Uniti e a quegli standard organizzativi e di risultato che noi italiani possiamo raggiungere, possedendo già tutti gli strumenti necessari per essere competitivi. In quelle strutture all’estero si è preso coscienza del fatto che il privato deve crescere e svilupparsi sempre di più. La nostra colpa è che nel passato la clinica privata era considerata semplicemente un albergo dove i medici affittavano stanze per ricoverarvi i propri pazienti. Oggi l’albergo, inteso come comfort, si può anche avere, ma gli elementi più essenziali sono lo standard qualitativo delle strutture e l’efficacia della prestazione medica. Questo s’iscrive nel quadro di un’adeguata organizzazione, allora ecco il «benchmark»; si può quindi alzare l’asticella dello standard e verificare se le altre strutture vi si adeguino, per essere valutate come affidabili.
D. Siete imprenditori sanitari da 50 anni, cos’è cambiato in questo lungo periodo?
R. Mater Dei e Paideia nascono come cliniche nelle quali i cosiddetti «baroni» potevano lavorare privatamente e far lavorare i propri aiuti e assistenti, in un contesto storico in cui si poneva molta attenzione all’aspetto alberghiero. Le tecniche chirurgiche si sono evolute e in diversi casi la medicina è corsa in aiuto della chirurgia delimitandone il campo. Il concetto di prevenzione ha modificato la considerazione che il paziente ha verso la sanità, creando i presupposti per un rapporto fiduciario che si è trasformato da medico/paziente in medico/struttura/sanitaria/paziente. Quanto più l’organizzazione, la tecnologia e i risultati sono convincenti, tanto più il modello sarà vincente. La comunicazione, anche in questo settore è diventata molto significativa, e costituisce la conferma evidente della metamorfosi compiuta da queste attività da semplici cliniche dei baroni, a vere e proprie aziende.
D. Un imprenditore sanitario come affronta un periodo di crisi economica come quello in atto?
R. Con grande coraggio, avendo sempre chiaro il proprio compito e i propri valori aziendali. Nei momenti di burrasca sono questi che ci aiutano a tenere dritta la barra e sono questi che ci guideranno in «porti sicuri». Credo inoltre che ogni momento di crisi rappresenti un’opportunità di crescita, di condivisione e di cambiamento. Naturalmente anche nel nostro settore si applica la teoria darwiniana, e noi continueremo a svilupparci anche nei prossimi cinquant’anni.   

Tags: Settembre 2015 sanità innovazione ospedali Roma Paideia Mater Dei tutela della salute strutture sanitarie Censis investimenti

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