wojciech ponikiewski: Polonia avanti con l’innovazione, c’è molto spazio per l’italia
Dall’ottobre 2010 Wojciech Ponikiewski è ambasciatore della Polonia presso i Governi d’Italia, Repubblica di San Marino e Malta; precedentemente ha ricoperto vari incarichi nel Ministero degli Affari esteri di Varsavia e alle Nazioni Unite, negli uffici di New York e Nairobi. È stato vice capo Missione e capo della Sezione politica della stessa ambasciata polacca presso il Quirinale, a Roma.
Domanda. La Polonia è tra i Paesi più innovativi del mondo. Quale potenziale ha liberato l’innovazione?
Risposta. È vero che la Polonia ha compiuto grandi progressi nel campo dell’innovazione e lo dimostrano anche le classifiche dei Paesi di tutto il mondo; il settore più vigoroso delle nuove tecnologie è quello informatico. Già adesso questo settore contribuisce con il 4 per cento al nostro prodotto interno, un importo abbastanza consistente, e riguarda il 3 per cento dell’occupazione e più del 7,5 per cento delle esportazioni polacche, cifre che dimostrano il peso di questa nuova attività nell’economia polacca. È utile anche esaminare i motivi di questo successo: di sicuro sono stati significativi sia l’alto livello di scolarizzazione di una società abbastanza giovane, con entusiasmo e con voglia di lavorare in tale settore, sia il ruolo dello Stato che ha creato una base istituzionale per svilupparlo. Le spese nel campo della ricerca e sviluppo sono aumentate, dal 2007, di quasi il 35 per cento; si è molto sviluppato il partenariato pubblico-privato; sono stati creati vari parchi tecnologici, infrastruttura propria delle start-up e delle piccole imprese che vogliono investire nelle nuove tecnologie; è avvenuto lo stesso per gli incubatori di imprenditoria. Questa infrastruttura istituzionale ha permesso una crescita veloce. Tutto ciò è relativamente recente e di sicuro il nostro ingresso nell’Unione Europea e l’ausilio dei fondi strutturali hanno facilitato il processo.
D. Può nominare qualche azienda innovativa?
R. Tra gli esempi più spettacolari figura il campus di Google che aprirà a Varsavia, terzo nel mondo ed esempio dell’attrazione anche delle grandi imprese per questo settore, come anche il Samsung R&D Research Institute. Per quanto riguarda le imprese polacche, si registrano molte start-up ma non hanno ancora raggiunto fama mondiale: non siamo ancora ai livelli americani o israeliani, noti per il loro ambiente stimolante, ma qualcosa si muove in questa direzione. Già prima della II guerra mondiale la Polonia aveva una tra le migliori scuole di Matematica e di Logica: una propensione, quindi, alle materie scientifiche c’è, e il potenziale nel settore si sta adesso consolidando.
D. Dall’adesione all’Unione Europea in cosa la Polonia è leader o si propone come tale?
R. L’adesione è stata la svolta di maggiore portata per qualunque aspetto della vita in Polonia, dallo sviluppo economico al progresso sociale e le libertà individuali. A dieci anni dalla nostra membership la valutazione è molto positiva. Qualche dato statistico: creazione di due milioni di posti di lavoro; diminuzione drastica della popolazione che viveva in semipovertà; boom degli investimenti e delle esportazioni. Queste ultime, per esempio, sono cresciute del 300 per cento.
D. Quali sono i settori leader?
R. L’auto, l’elettronica, gli elettrodomestici, l’arredamento e ovviamente l’agroalimentare. Siamo avanti anche nei servizi, non solo nei settori più tradizionali come i trasporti, ma anche nelle tecnologie informatiche.
D. Quali imprese scelgono la Polonia per i propri investimenti?
R. Le imprese europee sono senz’altro avvantaggiate per ragioni geografiche quali la vicinanza dei grandi mercati, l’assenza di fuso orario, la capacità linguistica o la cultura. Oltre a investimenti nell’industria automobilistica o in quella degli elettrodomestici, ultimamente in Polonia molte aziende straniere investono in centri servizi, ad esempio per curare la contabilità di gruppi transnazionali. È un settore che si sta sviluppando e crea molta occupazione, nonostante sia ormai difficile competere nel costo del lavoro; occorre anche la qualità dei servizi. Al contrario delle grandi industrie che si trovano in provincia, gli investimenti nel settore dei servizi si collocano principalmente nelle grandi aree urbane che sono anche importanti centri universitari e, pertanto, rispondono alla richiesta di personale altamente qualificato. Gli investimenti nel settore dei servizi costituiscono una buona occasione di crescita per le grandi città, favorendone l’urbanizzazione e lo sviluppo sociale che riguarda in particolar modo la classe media. Un ottimo esempio possono essere Breslavia e Cracovia.
D. I fondi europei sono stati da voi impiegati egregiamente in molti settori. Come saranno usati i nuovi, che verranno erogati fino al 2020?
R. La maggioranza dei fondi finora è stata impiegata per la costruzione di infrastrutture fisse. Ovviamente è più facile usarli per costruire qualcosa di tangibile; molto più difficile è spendere bene le risorse per programmi riguardanti lo sviluppo umano, la ricerca, l’educazione. Questo sarà l’obiettivo negli anni a venire. La base più o meno è stata realizzata, ovviamente si può migliorare. In Polonia è stato forse più facile che altrove, ma all’inizio sono sorti problemi giuridici legati alla proprietà: occorre tener presente che siamo usciti dal comunismo che non aveva alcun rispetto per la proprietà privata; dopo la sua caduta, questo tema è diventato molto attuale e sono sorti problemi legati alle privatizzazioni e alle confische forzate operate durante il regime comunista. È stato difficile per lo Stato espropriare la proprietà di un cittadino anche per costruire un’autostrada. Ora questi problemi sono stati risolti. Con i nuovi fondi saremo uno dei Paesi più sostenuti dall’Unione Europea e questi fondi dovranno essere spesi per creare uno sviluppo a lungo termine. Quindi meno infrastrutture e più capitale umano, obiettivo più difficile che richiede un lavoro intellettuale più raffinato, perché si sa come costruire una strada ma è ben diverso sviluppare la ricerca ottenendo, inoltre, risultati visibili.
D. Sono da voi sostenuti i settori dell’istruzione e della cultura?
R. Abbiamo compiuto progressi significativi nell’istruzione, anche preuniversitaria: molti test di valutazione dimostrano gli ottimi risultati delle scuole polacche nell’insegnamento delle materie soprattutto scientifiche, e la comprensione da parte degli studenti di tali materie. Questo è potuto avvenire perché abbiamo adeguato in fretta l’educazione alla riforma richiesta dall’Unione Europea e dall’Ocse. Per quanto riguarda le università è accaduto un fenomeno interessante, non legato all’ingresso nell’Unione Europea, ma all’uscita dal comunismo: sono nate molte università private creando persino concorrenza.
D. Perché è avvenuto questo?
R. Perché c’era richiesta: la nuova generazione di polacchi ha capito che senza una laurea non si può avanzare nel mondo e si è quindi creata una forte propensione ad iscriversi a corsi universitari. Ovviamente non è possibile che metà della popolazione riesca a laurearsi; ciò comporta che alcune di queste università non siano di altissimo livello, ma è sintomatico che molti giovani siano disposti a pagare per migliorare le proprie conoscenze e salire socialmente di grado. Questo è un fattore culturale positivo: in Polonia c’è volontà di applicarsi, migliorare e progredire per alzare il proprio status sociale. Ed è significativo che i polacchi comprendano che ciò si può fare solo tramite lo studio.
D. Cosa ci riserva il binomio dei commissari europei Donald Tusk-Federica Mogherini?
R. Si tratta di due nomine complementari: da un lato un uomo del centrodestra con un’esperienza geografica e storica particolare, dall’altro una donna di sinistra con un’esperienza completamente diversa. Un’interessante combinazione che speriamo funzioni. Di sicuro non saranno anni facili per l’Unione Europea, che dovrà affrontare molti problemi.
D. Come procede il piano di sviluppo della rete energetica?
R. Siamo in una situazione energetica abbastanza particolare: quasi il 90 per cento della produzione di energia elettrica proviene dal carbone. Questo ci crea molti problemi nel campo della politica climatica, ma ci dà molta sicurezza a livello geopolitico. Oggi particolarmente si vede che non si può rinunciare alle risorse nazionali e diventare troppo dipendenti dalle fonti esterne, soprattutto quando la quasi totalità di queste ultime si trova in Paesi poco o per nulla stabili politicamente. Sarebbe peraltro interessante vedere se e quanto proprio queste fonti energetiche sono causa di instabilità.
D. Ritiene che tutto nel mondo dipenda dal possesso di energia?
R. L’unico Paese che ha una propria fonte energetica che gli ha consentito di raggiungere il benessere ed è rimasto stabile è la Norvegia; tutti gli altri sono destabilizzati e destabilizzanti: Medio Oriente, Nord Africa, Venezuela, Russia. L’eccessivo approvvigionamento da fonti esterne è pericoloso. L’indipendenza energetica per noi passa attraverso il carbone, il gas di scisto e, in parte minore, le rinnovabili. Si potrebbe sviluppare il progetto di un’Unione Europea anche energetica: sarebbe opportuno avere interconnettori nella trasmissione del gas e nella rete elettrica. Su questo si deve lavorare, e ciò ci darà maggiore sicurezza energetica nel futuro. Con una volontà politica non sarebbe né difficile né lontano.
D. In quali settori, oltre quelli già noti, potrebbero collaborare i nostri Paesi?
R. È già presente una cooperazione ben avviata. Molte imprese italiane hanno investito in Polonia e sono soddisfatte dei risultati di qualità e dell’ambiente economico generale, propenso allo sviluppo a lungo termine. Credo però che vi siano molti settori in cui poter far meglio. Innanzitutto c’è in Italia una mancanza generale di nostri investimenti, che i polacchi evitano perché spaventati dalla burocrazia. Le imprese polacche non sono consolidate quanto altre, non possono permettersi il rischio di attendere anni per acquisire un mercato; preferiscono essere più aggressive dove ci sono più possibilità. Credo si possa fare molto di più per la ricerca e l’innovazione, anche mediante progetti comuni con fondi strutturali pubblici e privati; è un settore poco sviluppato e ci sono molte potenzialità. Sarebbe inoltre importante potenziare la collaborazione nel settore turistico.
D. Quanti turisti polacchi preferiscono l’Italia?
R. Molti. La Polonia è il secondo Paese nelle presenze di sciatori che ogni inverno si recano nelle Dolomiti; sono circa 300 mila, molti considerando che è una destinazione per turisti benestanti e che non è uno sport tra i più economici. Negli ultimi due anni l’Italia ha registrato il più alto numero di arrivi dopo la Germania e l’Inghilterra. Sono invece ancora pochi gli italiani che visitano la Polonia, perché come meta turistica è poco nota e poco pubblicizzata. C’è molto turismo religioso, però non ci sarà mai un turismo di massa. Le spiagge polacche difficilmente attrarranno il turista italiano, ma molti viaggiano per interesse culturale e paesaggistico e restano sempre meravigliati da quello che la Polonia ha da offrire da questo punto di vista: è un’attrazione con 14 siti Unesco, città storiche, 426 castelli, 768 musei e molti parchi nazionali e paesaggistici.
D. Il settore culturale in passato era più sviluppato di oggi?
R. In Italia alcuni nomi sono maggiormente noti, come Wislawa Szymborska, Nobel per la letteratura nel 1996, o Ryszard Kapuscinski, ma della nuova letteratura non si sa nulla, come del nuovo cinema. Lo scorso anno nei cinematografi italiani è apparso il film «Ida», di Pawel Pawlikowski, che ha avuto un successo incredibile soprattutto tra il pubblico un po’ più raffinato e colto. Tali film rimangono però di nicchia, non entrano nell’interesse del grande pubblico italiano e questo è un peccato, perché la Polonia ha davvero molto da offrire.
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