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*SPECIALE UNIVERSITA'* Giovanni Azzone: Polimi, come prepariamo i nostri studenti

Il professor Giovanni Azzone, Rettore del Politecnico di Milano

Tra le eccellenze universitarie statali italiane degli studi a carattere scientifico-tecnologico, al primo posto c’è il Politecnico di Milano. Fondato nel 1863 con il nome di Regio Istituto Tecnico superiore, il PoliMi, come viene abbreviato, è un’università che laurea architetti, ingegneri e designer, italiani e stranieri, molto ricercati nel mercato del lavoro. Rettore del Politecnico è il professor Giovanni Azzone, nato a Milano nel 1962, città dove si laurea nel 1986 in Ingegneria delle tecnologie industriali con la votazione di 100/100 e lode presso il Politecnico di Milano, l’ateneo nel quale percorre tutta la carriera accademica. Nel 1994 diventa professore straordinario e, nel 1997, professore ordinario di Sistemi di controllo di gestione presso la Scuola di Ingegneria dei sistemi. Presidente del Nucleo di valutazione dal 1999 al 2002 e prorettore vicario dal 2002 a novembre 2010, è eletto Rettore il primo dicembre 2010. Dal 2011 è presidente del Consiglio di amministrazione della nuova azienda tecnologica Awparc srl e membro del Board dell’Ècole Centrale Paris e dell’editorial board della rivista «Journal of engineering valuation and cost analysis».
Domanda.  Quali sono i numeri del Politecnico di Milano relativamente agli studenti?
Risposta.  Complessivamente da noi studiano 42 mila persone, di cui 24 mila seguono i corsi per la laurea triennale, 17 mila per quella magistrale e un migliaio frequenta il dottorato di ricerca; 6 mila sono invece gli studenti stranieri provenienti da più di cento Paesi. Di questi, come area di riferimento, abbiamo 10 Paesi, quattro dei quali fanno parte del Brics, cioè delle maggiori economie emergenti quali Brasile, Russia, India e Cina, cui si sommano i quattro partner europei principali, Spagna, Francia, Inghilterra e Germania. Aggiungiamo, infine e con percentuali diverse, gli studenti degli Stati Uniti e del Giappone. Questi 10 rappresentano il 48 per cento dei nostri studenti internazionali. E non mancano due numerose comunità provenienti da Turchia e Iran.
D.  Annualmente, che budget ha a disposizione e come lo ripartisce tra le varie Facoltà?
R. Riceviamo dallo Stato italiano circa 200 milioni di euro l’anno sotto forma di finanziamento ordinario, cui aggiungiamo circa 70 milioni di contribuzione pagata dagli studenti e circa 100 milioni di finanziamenti su base competitiva, cioè contratti di ricerca con le imprese o contratti europei. Non abbiamo una divisione tra Facoltà perché questi fondi sono in parte per infrastrutture a disposizione di tutti gli studenti e di tutti i dipartimenti, ed in parte ad appannaggio della didattica puntuale, avendo un procapite sulla base di indicatori quantitativi. Sul fronte della ricerca, i finanziamenti ricevuti per il programma comunitario del periodo 2014-2020 ammontano a circa 35 milioni di euro, un po’ più del doppio di quelli ricevuti dal Politecnico di Torino. Sono poi una fonte importante i «grant» dell’European Resources Council, finanziamenti che vanno da 1,5 a 2,5 milioni di euro per ricerche di frontiera di cui, ad oggi, abbiamo usufruito per un totale di 19 milioni di euro.
D. Tra i vari corsi di studio, Architettura, Ingegneria e Design, quali risultano attualmente i più frequentati?
R. Come ateneo, complessivamente abbiamo 7.500 posti per le lauree triennali, precedute, quest’anno, da 18 mila domande di iscrizione ai nostri test. All’interno del corso di Ingegneria occorre però distinguere tra quella civile, che si occupa dei cantiere, e quella chiamata ingegneria industriale dell’informazione, che comprende i chimici, i meccanici ed i gestionali, aventi come sbocco naturale il sistema delle imprese. All’interno di questo settore, i tre corsi più richiesti sono il gestionale, il meccanico e l’informatico, che quest’anno hanno totalizzato all’incirca 700 matricole ciascuno. In merito ad Architettura, l’abbiamo invece concentrata in un unico corso che si chiama Progettazione architettonica, che quest’anno ha registrato mille matricole. Nel corso di Design, dove abbiamo a disposizione 900 posti e che quest’anno ha ricevuto circa 4.500 domande di ingresso, c’è stata una ripartizione degli studenti un po’   fra tutte le sue aree.
D. Molti e celebri gli alunni del PoliMi. Tra questi Gae Aulenti, Renzo Piano, Dario Fo e Gianfranco Ferré. Nella lectio magistralis dell’inaugurazione del 152esimo anno accademico, Renzo Piano ricordava, emozionato e commosso, i propri anni da studente di architettura in un’università «libera, che funziona ed inventa». Ne condivide la definizione?
R. Le parole di Renzo Piano racchiudono perfettamente la nostra filosofia. Dico sempre ai miei studenti che alla fine del loro corso di studi dovrebbero aver ben appreso che la diversità è un valore e non qualcosa da temere e, per assimilarlo meglio, devono essere confidenti nelle proprie forze e considerare l’incontro con gli altri arricchente e non una barriera. L’università libera è proprio quella che offre tali opportunità. Poi, ovviamente, la macchina universitaria deve ben funzionare, assicurando la qualità dei servizi nei quali lo studente deve poter orientarsi avendo a disposizione le risorse che sono nel suo diritto. Infine, l’inventare è proprio il motivo per cui è nato il Politecnico 153 anni fa, quello di supportare il sistema industriale nello sviluppo dell’industria lombarda. Oggi non si guarda più solo a quest’ultima, ma anche ai servizi ed al sistema generale della cultura. Lo scenario di competizione si è allargato poi all’Europa, se non al mondo intero, con l’impegno di essere sempre innovatori.
D. All’inaugurazione del 153esimo anno accademico, lo scorso 26 ottobre, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, lei ha parlato di una doppia missione del Politecnico, una locale ed una globale. In che modo?
R. Proprio perché gli orizzonti geografici ai quali ci rivolgiamo si sono allargati, abbiamo un doppio dovere. Da un lato, fare in modo che le aree in cui operiamo rimangano attrattive per le persone e per le imprese producendo innovazione e garantendo qualità della vita. Dall’altro, continuare a sentire l’alta responsabilità che nasce dall’essere stati inseriti nei ranking tra i centri di ricerca più importanti a livello mondiale, che possono migliorare la qualità della vita anche negli altri Paesi. Ad esempio, da noi si stanno studiando delle forme di villaggi autonomi da un punto di vista energetico con tecnologie che potrebbero essere utilizzate nell’Africa subsahariana, e ciò servirà a migliorare la vita ed eviterà la migrazione naturale di queste popolazioni.
D. L’annuale classifica «QS World University Rankings», che tiene in considerazione 3.539 università e ne valuta 891, ha classificato il PoliMi come prima università italiana riguardo alla sua area vocazionale, l’Engineering & Technology, mentre l’ha posto al 187esimo posto nell’area generale, anche se è stata protagonista di una brillante risalita che l’ha visto scalare oltre 40 posizioni nell’arco di dodici mesi. Potreste in futuro entrare nei primi 100 posti?
R. Per arrivarci dovremmo avere una facoltà di Medicina come anche di Lettere, perché la valutazione di tipo generale media i risultati di diverse aree disciplinari e con tali assenze la nostra posizione è limitata. Siamo però 24esimi nel mondo in Engineering & Technology, la nostra area di forza, a pari merito con la prestigiosa Università di Princeton. Sottolineerei però un nostro dato basilare, il rapporto studenti-docenti. Su questo, in confronto al Mit, il Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, che è la migliore università tecnologica in tutte le graduatorie, noi abbiamo una reputazione accademica, cioè una qualità scientifica percepita, del 15 per cento in meno, poi una valutazione della qualità dei laureati minore del 7-8 per cento. Invece, sul rapporto studenti-docenti la percentuale è dell’88 per cento peggiore, cioè loro a parità di studenti hanno 8 volte più docenti. Questi dati totali rappresentano il nostro differenziale competitivo.
D. Per attrarre studenti da tutti il mondo e incentivare quelli italiani a beneficiare di esperienze all’estero, dal 2014 tutti i corsi di laurea magistrale e i dottorati sono erogati in inglese, con un investimento previsto fino al 2017 di 3,2 milioni di euro per far venire a insegnare nel triennio 120 visiting professor, 30-35 post-doctoral e 15 docenti associati di ruolo da università internazionali. Come procede tale internazionalizzazione?
R. Direi molto bene. Sul fronte studenti riceviamo 4.500 domande per mille posti per studenti stranieri, il che ci consente di selezionare nel modo migliore. Nelle lauree magistrali oggi gli studenti internazionali sono un po’   più di un terzo di tutti gli ingressi, numeri comparabili alle università straniere con cui ci confrontiamo. Abbiamo avviato un reclutamento di docenti internazionali e, tra post-doctoral ed associati, siamo ad un centinaio. Ci rende orgogliosi, poi, l’aver reclutato grandi eccellenze accademiche: dallo scorso anno il professore portoghese Eduardo Souto de Moura, da quest’anno la professoressa giapponese Kazuyo Sejima, vincitori entrambi del prestigioso Pritzker Architecture Prize, il Nobel dell’architettura.
D. La scorsa primavera avete firmato un patto di collaborazione scientifica con la Veneranda Fabbrica per la tutela e la conservazione del Duomo di Milano. Che impegno comporta?
R. L’obiettivo della collaborazione è fare in modo che le tecnologie e il Politecnico siano utilizzate a supporto di un processo continuo di manutenzione e di «mantenimento in vita» del simbolo monumentale di Milano attraverso un piano pluriennale, in cui insieme individuiamo, tramite rilevamenti, le priorità e le aree soggette a maggiore criticità, per intervenire poi con una manutenzione che ottimizzi le risorse disponibili.
D. Avete inaugurato i nuovi laboratori da 6 mila metri quadrati al Campus Bovisa in cui saranno ospitate dotazioni di punta di livello internazionale, come una camera per irraggiamenti e una per gli studi su idrogeno, anidride carbonica e produzione di carburanti sintetici. Quale investimento economico è stato?
R. Abbiamo investito 15 milioni di euro, tutti di risorse nostre. Il campus Bovisa è un’  area a forte sviluppo, con l’aumento maggiore di studenti ed una connessione molto forte con il sistema delle imprese. Lì abbiamo il settore aerospaziale, la meccanica, l’energetica e il gestionale. In sostanza, le migliori avanguardie del Paese sono là.
D. Mappare la città di Milano attraverso i dati pubblici prodotti dalle telefonate, dai tweet e dagli accessi a piattaforme come Foursquare, sono i capisaldi di «Urbanscope», progetto da voi realizzato e molto appoggiato dal sindaco Giuliano Pisapia. Quali realtà metropolitane sono state portate alla luce?
R. È un progetto sviluppato per cercare di capire come avere qualche segnale del cuore pulsante della città. Infatti, siamo andati a studiare la lingua con cui si twitta a Milano, registrando che ci sono tre città dentro la metropoli: una che twitta in inglese e si rivolge sostanzialmente al mondo, una che lo fa in italiano rimanendo quindi nei nostri confini, e poi c’  è la terza, multietnica, che comunica in filippino, in malese, in arabo ecc., e si localizza in aree specifiche della città. L’uso di questi dati ci consente di cogliere dei segnali che poi sta alla politica, alle istituzioni, ma anche all’università, interpretare. L’intenzione è di espandere tale esperimento ad altre città italiane, e magari a qualcuna europea.
D. Alla fine del settembre scorso Federcalcio e Politecnico hanno avviato un rapporto di collaborazione continuo al fine della pubblicazione di studi e ricerche relativi alla progettazione, costruzione e gestione delle infrastrutture sportive, in particolar modo relative al calcio. Quale l’importanza dell’accordo?
R. L’accordo nasce per lavorare insieme sia su strutture «nobili», gli stadi ad esempio, sia su quella rete diffusa nel territorio in cui le competenze del Politecnico possono essere valorizzate.
D. Quale è stato il ruolo del PoliMi nel successo che l’Expo 2015 ha avuto in tutto il mondo?
R. L’attività di progettazione è stata avviata un anno prima dell’inaugurazione e noi abbiamo coordinato 17 università di tutto il mondo, accolte nei nostri laboratori di design per costruire dei progetti mettendo assieme gli studenti di Paesi diversi. Da qui sono nati i cluster, che tutti abbiamo ammirato, strutture con le quali i Paesi minori partecipanti hanno ottenuto una visibilità diversa e maggiore rispetto al passato. Questo risultato si è ottenuto cercando di legare, in maniera nuova ed originale, tali Paesi ai diversi modi di vivere nel mondo e nell’economia, basati, ad esempio, sul caffè, sul riso, sulle spezie e su molte altre specificità. Per noi ha rappresentato la migliore vetrina di come l’università può creare idee ed innovazione.
D. Riguardo al dopo Expo, sulla grande area di Rho che l’ha ospitato il piano proposto dal Governo prevede un polo internazionale di ricerca e tecnologia guidato dall’IIT, l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, coadiuvato dall’Università Statale di Milano e dal vostro ateneo. I finanziamenti previsti ad oggi sono di 50 milioni di euro per partecipare al capitale societario, di 20 milioni per i costi della sicurezza, e di un primo finanziamento di 80 milioni per il progetto scientifico «Italy 2040». Come procedono i lavori?
R. Apprezzo molto che, forse per la prima volta, un Governo abbia definito tra le priorità da perseguire quella di lanciare il nostro Paese nel mondo. L’investimento su Italy 2040 previsto è significativo. Sembra, ad oggi, che ci siano le condizioni per fare un bel lavoro, oltre all’ampia disponibilità dell’IIT e delle istituzioni a valorizzare le competenze specifiche dei soggetti coinvolti nei diversi campi, senza tener conto delle territorialità geografiche di ambito. Sono ottimista, quindi, sul futuro del progetto.
D. La vostra Scuola di Management sta studiando il mercato emergente dei cosiddetti «analytics» che continua a crescere e si avvia a chiudere l’anno con un giro di affari di 790 milioni di euro, con un aumento del 14 per cento rispetto al 2014, il cui core business è il mondo dei Big Data. Non a caso il PoliMi lancerà a settembre 2016 l’International Master in «Business Analytics and Big Data» di 12 mesi e in lingua inglese, che vuole creare nuove figure di strateghi dei numeri. Di cosa stiamo parlando, più esattamente?
R. La sfida di queste nuove professioni è quella di raccogliere e studiare l’incessante flusso di dati che passa su Internet e formare persone multidisciplinari che siano in grado di interpretarli, creando nuove figure chiave come il «Data scientist» o il «Datawarehouse manager». I campi applicativi di tali scienziati dei dati sono molteplici all’interno del mondo delle industrie e in quello delle istituzioni pubbliche. Oltreché sulla parte formativa stiamo perciò investendo sulla ricerca, attraverso i nostri Dipartimenti di Elettronica e Informazione, di Matematica e Ingegneria gestionale ma anche di Design. Siamo già in pieno futuro.  

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