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Tutto rincara strozzando una prossima uscita dalla crisi

Victor Ciuffa

di VICTOR CIUFFA

Tutto sta rincarando: in primo luogo le tariffe dei servizi pubblici; poi con il federalismo fiscale aumenteranno imposte e tasse che anzi, in alcune voci, sono già aumentate; quindi saliranno i prezzi. A scatenare l'offensiva sono stati per primi proprio i politici e i pubblici amministratori; gli operatori privati ineluttabilmente seguiranno a breve distanza, ma anche loro, più o meno giustificatamente, hanno cominciato. E questo nonostante il fatto che la crisi economica è ancora in atto, e che comunque le sue conseguenze sono destinate a protrarsi a lungo: quanti anni serviranno, a chi ha perduto il lavoro, per trovarne un altro? Quanti mesi occorreranno a un'azienda per recuperare, con il riallineamento dei prezzi, il fatturato perduto? Centinaia di migliaia di famiglie italiane sconteranno a lungo gli effetti di questa crisi mondiale della quale non hanno nessuna colpa, tranne quella di aver avuto e forse di avere ancora fiducia in economisti incompetenti.
La scienza economica non è una materia da super-esperti, da iniziati: l'economista più bravo è l'uomo della strada, l'individuo di buon senso. Come si fa ad aumentare le tariffe dei servizi pubblici dopo la recente galoppante inflazione determinata dall'inarrestabile corsa dei prezzi petroliferi, che ha provocato la riduzione del potere di acquisto di famiglie e imprese, la contrazione dei consumi e della produzione, il calo dell'occupazione e dei redditi familiari?
Come possono, politici e pubblici amministratori in generale, aumentare le tariffe quando, in tutt'altre faccende affaccendati, non hanno deliberato gli ingenti investimenti in opere pubbliche indispensabili in questi casi, non hanno favorito né difeso il monte salari e stipendi globale, anzi l'hanno ulteriormente assottigliato tagliando le spese in conto capitale pubbliche?
Senza discutere di questi problemi, senza approfondire, studiare, cercare soluzioni ragionevoli e soprattutto coerenti, hanno intrapreso ancora una volta a mettere le mani nelle tasche dei cittadini, in alcuni casi perfino retroattivamente. E comunque non hanno scoraggiato, con provvedimenti tassativi o magari solo con sagge argomentazioni e pratici esempi, gli intraprendenti, incalliti, smaniosi predatori dei risparmi di famiglie e imprese.
Qualche esempio. A Roma, ad inizio di anno è giunta agli utenti le bollette per il pagamento non solo della tassa sull'occupazione di suolo pubblico per il 2011, aumentata rispetto a quella del 2010; ma anche del conguaglio per quest'ultima. Spiegazione: la scorsa estate la Giunta, modificando le previsioni di entrata, l'ha raddoppiata con decorrenza immediata ma con pagamento nel 2011. Fosse solo questo.
Gli aumenti attuati o programmati riguardano imposte e addizionali comunali, tassa sulla raccolta della nettezza urbana, tariffe di energia elettrica, gas, acqua, taxi, autostrade, contratti di affitto, canone di abbonamento alla radiotelevisione, oltre ovviamente ai prezzi di benzina e gasolio; e alla revisione di estimi catastali e altre operazioni di accatastamento più o meno legittime, che si aggiungono agli altri infiniti, pesanti oneri imposti ai contribuenti proprio nel momento di più probabile uscita dalla crisi.
Aumenti che colpiscono direttamente le famiglie e le imprese industriali e artigianali, costrette a loro volta a rincarare prodotti e servizi. Ma l'adeguamento di prezzi e tariffe a carico dei consumatori non è mai razionalmente e giustamente commisurato ai maggiori costi affrontati dalle aziende; costituisce l'occasione per lo scatenarsi di una speculazione incontrollata, messa in atto da singoli operatori e da intere categorie. In questi casi si conoscono i prezzi di partenza ma non quelli di arrivo, perché speculazione significa sperequazione e non esiste autorità di controllo capace di imporre un calmiere. In nome di una pseudo liberalizzazione, di illusorie prospettive di contenimento dei prezzi dovuto alla concorrenza, sono stati aboliti negli ultimi anni organismi e strumenti idonei a porre un freno alla sempre rinascente e fiorente giungla.
Nuovi oneri, balzelli, tasse e speculazione hanno il risultato di strozzare la ripresa proprio sul nascere. È razionale questo modo di amministrare? Da quale motivo è determinato? È irrazionale ed è determinato dalla licenza che si sono arrogati i pubblici amministratori di gestire una massa sempre crescente di risorse finanziarie, destinate in parte ad alimentare le cosiddette spese correnti, ossia il regolare funzionamento della macchina dello Stato, e in minima parte alla realizzazione di opere pubbliche indispensabili ai cittadini e allo sviluppo dell'economia, e conseguentemente alla produzione di altre risorse finanziarie pubbliche.
Buona parte delle entrate dello Stato e degli enti locali - Regioni, Province, Comuni, Comunità montane ecc. -, sono destinate a retribuire pletore inutili ma sempre crescenti di pubblici amministratori, di loro supporter e attaché, di dipendenti. Forse perfino di disinibite escort, di stucchevoli intrattenitori, di acefali cortigiani. In un certo senso costituiscono un sostegno dell'economia, un «ammortizzatore sociale».
Sarebbero guai se il «sogno» del ministro Renato Brunetta si realizzasse, se una massa di impiegati, precari, scansafatiche restassero a casa. Da quale altro settore o attività attingerebbero i redditi? Come potrebbero alimentare i consumi, quindi la produzione di beni, l'occupazione, i profitti e di nuovo gli investimenti? In presenza di uno Stato che non provvede a questo, che non investe adeguate risorse finanziarie, che non sostiene la produzione e l'occupazione, magari aumentando un debito pubblico via via ridotto dall'inflazione, quale altro modo c'è per evitare il caos politico e sociale?

Tags: Victor Ciuffa febbraio 2011

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