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come devono lavorare i p.m. e la polizia giudiziaria

Adelchi d’ippolito

Qualche giorno dopo la presentazione a Roma del «Codice dell’ordinamento giudiziario» di Michele Vietti che aveva attratto l’attenzione non solo degli addetti ai lavori, nell’antico Circolo del Tiro a volo è stata presentata un’altra non meno interessante novità nel settore della giustizia, non solo per addetti ai lavori ma anche per quel pubblico che, dinanzi all’accanita contesa in atto da anni tra politici e magistrati, attende un chiarimento definitivo su chi ha ragione, i primi o i secondi. L’interesse è dovuto al fatto che nel libro si parla della funzione del pubblico ministero in Italia. Edito da Giuffré e scritto da Adelchi d’Ippolito in collaborazione con Ernesto Pisanello, si intitola: «Rapporti tra pubblico ministero, polizia giudiziaria e difensore nelle indagini preliminari».
Adelchi d’Ippolito (nella foto), componente di spicco fino a qualche tempo fa della Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, è stato chiamato, negli ultimi due Governi a fare il consigliere legislativo in delicati settori governativi. Una figura quindi, come quelle di tutti i suoi colleghi, ben lontana dalla rappresentazione di inquirenti di altri Paesi diffusa da riempitive trasmissioni televisive, ma nello stesso tempo da mettere necessariamente a fuoco dopo l’ultima riforma che, riducendo i compiti della polizia giudiziaria, suscita spesso perplessità nei cittadini. Ed è proprio questo l’argomento che coraggiosamente e intelligentemente d’Ippolito affronta.
Il codice di procedura penale, egli ricorda, assegna al pubblico ministero un ruolo di direzione e di responsabilità dell’indagine; però per poter avere successo l’indagine ha bisogno che tutti gli altri protagonisti di essa diano un contributo concreto. E gli altri protagonisti è in prima linea la polizia giudiziaria che non deve avere un ruolo meramente subalterno nei confronti del pubblico ministero, ma anche propositivo. Cioè deve portare all’interno dell’indagine tutto quello che è il suo bagaglio di professionalità e di esperienza, e segnalare eventualmente quali sono le migliori piste investigative da seguire, fermo restando che poi la decisione è di competenza del pubblico ministero.
Questi dirige, quindi, una squadra nella quale ognuno deve svolgere un proprio ruolo: «Potremmo dire che il pubblico ministero in qualche modo è il capitano, ma il capitano da solo non può vincere se non c’è il contributo di tutti gli altri partecipanti al gioco; inoltre, secondo come è stata delineata, questa ultima figura di pubblico ministero deve essere tecnica, dotata di grandi strumenti sul piano culturale, ma deve avere soprattutto un atteggiamento di umiltà».
Questo è il punto da chiarire: «Il pubblico ministero bravo non è testardo, non si accanisce, valuta le decisioni alla luce dei risultati che le indagini fanno emergere. È capace di abbandonare una pista investigativa nel caso in cui si rivelasse non sostenuta dai risultati investigativi; non deve aver timore di fare un passo indietro». Insomma deve confrontare la propria ipotesi investigativa con le risultanze delle indagini, e se queste non la confermano ma addirittura la smentiscono, deve fare un passo indietro».
Una riflessione, quindi, attesa. Ma come deve essere, che cosa deve fare a sua volta la polizia giudiziaria? Il pubblico ministero deve mantenere una posizione di preminenza nelle indagini, ma il suo ruolo deve essere maggiormente propositivo, essa non deve solo ricevere ordini ma anche proporre al P.M. strategie investigative, fermi restando il potere e il diritto del pubblico ministero di accettarle o meno.
Ma al momento il problema è costituito dalle leggi vigenti e dai compiti che esse assegnano alla polizia giudiziaria. «Le leggi le danno la possibilità di svolgere indagini di propria iniziativa, ma secondo me è giusto avviare un dialogo tra i due organi perché non deve crearsi un rapporto nel quale il pubblico ministero emani ordini, ma un confronto per definire in comune una strategia investigativa», ha precisato d’Ippolito nel corso della presentazione del libro, nella quale sono intervenuti il primo presidente della Corte di Cassazione Giorgio Santacroce, il viceministro per lo Sviluppo Economico Antonio Catricalà, il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Franco Anelli.
Ne è emerso un preciso avvertimento, dettato dall’esperienza e dal buon senso; una collaborazione del genere è consentita dalle leggi vigenti, non c’è bisogno del varo di qualche specifico provvedimento; c’è solo bisogno che il pubblico ministero svolga il proprio compito con razionalità e saggezza, comprendendo che il suo lavoro deve essere come un gioco di squadra, deve giovarsi di tutte le risorse, mentre talvolta si sono verificati atteggiamenti di singoli magistrati che non l’hanno consentito; questi devono capire che la polizia giudiziaria è una risorsa di professionalità e di esperienza.
«Desidero poi sottolineare–ha detto in conclusione Adelchi d’Ippolito–, l’atteggiamento di umiltà del pubblico ministero il quale non deve innamorarsi della propria indagine, ma deve andare nella direzione in cui lo conducono i risultati investigativi: se indicano che un indagato è innocente, deve saper abbandonare quella pista, non intestardirsi a trovare prove che dicano il contrario».
Il libro porta alla ribalta e fa il punto su un problema esistente, e sprona P.M. e ufficiali di polizia giudiziaria a collaborare; invita i primi a chiedere consigli alla polizia giudiziaria, e questa a non essere incerta o timida e a fornire indicazioni al pubblico ministero.     

Tags: Novembre 2013 libri Michele Vietti Giorgio Santacroce

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