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Neyda Garcia: Repubblica dominicana, spiagge, caffè, cacao, rum e molto altro

Neyda Garcia, direttrice dell’Ente del Turismo della Repubblica Dominicana

a cura di

FEDERICO GEREMEI

Da una quindicina di anni Neyda Garcia dirige l’Ente di promozione turistica della Repubblica Dominicana. Ha sede a Milano ed opera, come gli altri venti enti distribuiti nei vari Paesi, alle dipendenze del Ministero del turismo. Ma quali attrattive offre la sua terra oltre all’epica patinata tutta spiagge, rum, ambra e merengue? Quali sono vere e quali sarebbero da aggiornare o da superare alla luce dei nuovi impegni che i viaggi nell’area caraibica impongono agli operatori? E qual è la consistenza del comparto «travel» nei conti economici nazionali?
Domanda. Cominciamo con i dati fondamentali. Solitamente ci viene rimproverato di non sapere che Santo Domingo è il nome della capitale e non dell’intero Paese che, per la precisione, si chiama Repubblica Dominicana e non Domenicana. È così?
Risposta. È vero, è come se io dicessi Roma invece di Italia. Un errore indicare una parte per il tutto. Farei forse contenti tre milioni di romani, ma gli altri cinquantasette milioni di italiani non lo gradirebbero.   L'equivoco nasce molto tempo fa nella fase iniziale di promozione nel mercato italiano, in quanto i primi operatori si riferivano all'intero Paese con il nome Santo Domingo. E così è rimasto per tanto tempo.  Mi sono stati necessari  anni, e non mesi, per ripristinare la locuzione corretta. Va però notato che la confusione è comprensibile poiché la colonia inizialmente si chiamava Real Audiencia de Santo Domingo.
D. Sistemati in tal modo i nomi, possiamo parlare allora di cifre. Qual è il dato più recente relativamente agli arrivi nel Paese?
R. Nei primi sei mesi di quest’anno sono sbarcati nella Repubblica Dominicana 45 mila italiani, un numero considerevole ma in calo e comunque lontano dagli standard cui eravamo abituati prima che la crisi economica generale colpisse l’Europa. È tuttavia una situazione diffusa, che riguarda anche la Spagna ed alcuni altri Paesi.
D. Italiani a parte, quanti turisti visitano la Repubblica Dominicana?
R. Il totale delle presenze, sempre con riferimento al periodo dal gennaio al luglio 2013, è stato di circa 3 milioni 200 mila unità, in linea con il dato del corrispondente periodo del 2012. Come di consueto, tirano la volata i nordamericani, in particolare gli Stati Uniti che hanno registrato un notevole incremento, pari all’8,6 per cento, seguiti dai turisti di due soli Paesi europei, la Francia e la Germania. I dati completi e articolati sono in possesso della Banca Centrale della Repubblica Dominicana. Io comunque ho maturato un’idea abbastanza valida della situazione, avendo continuamente rapporti con agenzie di viaggio e con tour operator.  I partner che si aggiornano continuamente seguono le nostre tante iniziative e sono capaci di trasmettere il nostro entusiasmo e le tante informazioni sulla destinazione, registrano i migliori risultati in termini di vendite e fedeltà della clientela.
D. E quale idea s’è fatta?
R. Bisogna comunque diversificare e consolidare l’offerta turistica. Partiamo dai trend consolidati: qual è il profilo di chi viaggia per diletto nel suo Paese? Ve ne sono diversi, com’è naturale. Al primo posto figurano le famiglie, quelle già formate e quelle che stanno per nascere. E inoltre gruppi di amici e soprattutto di amiche; sono tante le donne single con disponibilità di risorse, tempo libero e voglia di nuove scoperte. Nel complesso in Italia le aree di provenienza più consolidate sono le regioni del nord, con la Lombardia e il Veneto in testa. Da qualche tempo gli equilibri si sono modificati, ed altre zone hanno acquisito un peso relativo degno di nota. Una su tutte è la Campania. Il soggiorno medio è di otto o dieci giorni, con una spesa giornaliera di circa 100 euro. Le zone maggiormente amate dagli italiani sono La Romana-Bayahibe, Bàvaro, Punta Cana.
D. Su che cosa punterà il suo Ente del Turismo l’anno prossimo? Si prospetta qualche novità?
R. Il segmento Mice, composto dai settori meetings, incentives, conferenze ed esibizioni, mi interessa particolarmente. In Italia non l’abbiamo mai veramente promosso in maniera massiccia, ma adesso il momento è arrivato. Il motivo è costituito dal fatto che il mercato è ormai maturo per «incentivare il turismo incentive», mi perdoni il gioco di parole, tra i Paesi mediterranei. Destinazioni a voi prossime, come l’Egitto e la Tunisia, sono evidentemente penalizzate, e c’è dunque spazio per altri soggetti. Noi abbiamo una buona tradizione in questo tipo di turismo, ed una solida esperienza, soprattutto con gli statunitensi.
D. Oltre a confondere il nome della capitale con quello del Paese, ci sono altri errori che i visitatori italiani commettono?
R. Fanno quello che pensano in molti. Cioè, che il Paese sia soltanto spiagge e musica. L’immagine esotica della Repubblica Dominicana non è infondata, sia chiaro. Del resto resiste al tempo che passa, ed è per noi un bene. È però parziale, molto parziale. È la solita oleografia del Caribe, ma per noi va bene. Anzi, dirò di più: se è per questo, vi sono anche altri elementi che contribuiscono a definirla, il rum, il caffè, il cacao ed il tabacco.
D. Che cosa può dire dell’ambra e del larimar?
R. Che siamo ricchi anche di risorse di quel tipo. È uno dei tanti aspetti che gli esperti e gli appassionati conoscono bene, e che tutti gli altri scoprono solo quando cominciano a girare per la Repubblica Dominicana. Ce n’è anche un altro, il vino. Abbiamo iniziato a produrlo di recente e ne andiamo molto orgogliosi.
D. Torniamo ai sigari e al rum. Sono settori-chiave, come il cacao, da sempre in mano a poche famiglie. Un’oligarchia ottocentesca?
R. Io ritengo che l’attività del settore privato, quando è dinamica, sia un buon segnale di vitalità e che incoraggi gli investimenti. E poi, in mano a pochi o a tanti che cosa cambia? Si tratta sempre, a mio modo di vedere, di qualcosa «made in Repubblica Dominicana». Nell’industria alberghiera, per esempio, c’è posto per soggetti diversi. Lo sviluppo di Puerto Plata, per citarne uno solo, ha fatto scuola: siamo stati i pionieri mondiali dei resort all inclusive, un settore che ha stimolato grandi infrastrutture come gli aeroporti.
D. Due dei principali scali aerei dominicani, Punta Cana e La Romana, sono privati. Non lo ritiene un vincolo all’azione istituzionale?
R. No, l’integrazione del settore pubblico con le imprese private è radicata e, a mio giudizio, efficiente. Vale anche per la rete stradale: la nuovissima Autopista del Coral unisce poli turistici considerevoli, la considero un servizio per tutti e non solo per i turisti. Anche nel nord sono stati realizzati molti interventi strutturali in opere di viabilità, soprattutto nella provincia di Samanà.
D. Quella dell’Isola dei Famosi?
R. Sì, dieci anni fa. La prima edizione s’è svolta lì, ma non ne ho un buon ricordo, tutto il parco è stato ridotto a qualche spiaggia per finti naufraghi. C’è tanto altro da scoprire, è un paradiso naturale. Non si rischia di metterlo in pericolo con il turismo perché le tutele sono tante, come i vincoli. Quella dell’esistenza di tanto cemento è più un’impressione che una realtà.
D. Il termine megaresort mischia il greco con l’inglese, ma il significato è chiaro, non le pare?
R. Sì, ma lo sviluppo edilizio si verifica su superfici estese, non in verticale. Secondo me questo è un bene, in quanto l’impatto sull’ambiente risulta minore. A livello normativo l’iniziativa turistica è bene orientata e regolata, la legge 158 costituisce il suo riferimento principale, ed in queste settimane è in corso un dibattito parlamentare per aggiornarla estendendo al turismo il potere di incentivare l’economia ma salvaguardando il patrimonio ambientale.
D. Con i suoi 49 mila chilometri quadrati la Repubblica Dominicana occupa due terzi dell’isola di Hispaniola, il terzo restante è territorio haitiano. Quali sono i rapporti con i vicini, presenti in gran numero nel vostro Paese?
R. Sugli haitiani presenti nel territorio dominicano preferisco non esprimermi perché la società di Haiti è decisamente più polarizzata della nostra. Vi è una classe media molto esigua e quindi, a mio giudizio, è facile imbattersi in casi estremi e farsi un’impressione poco mediata.
D. Esistono forme di collaborazione sul versante turistico?
R. Al momento no, ma presto dovrebbero essercene; è prematuro parlarne.
D. Un altro tema difficile costituito dal fatto che non tutti coloro che arrivano nel suo Paese hanno interessi condivisibili. La piaga del turismo sessuale non può essere taciuta. Qual è il suo parere?
R. È un comportamento che non si può che biasimare. Io personalmente considero malate quelle persone. Faccio fatica a parlarne. Le leggi ci sono, non è quello il problema. C’è stata troppa tolleranza, ma la situazione cambierà presto. La campagna di sensibilizzazione e di informazione sarà sempre più capillare e incisiva per far comprendere una volta per tutte che si tratta di reati che vengono perseguiti e puniti. Stiamo cercando di intervenire anche presso gli operatori dell’industria alberghiera affinché denuncino gli abusi sui minori e aderiscano al codice di condotta che l’Unicef promuove in campo internazionale.
D. Quali zone sono già pronte e attrezzate per il turismo ma poco note?
R. La prima che segnalerei è l’area di Jarabacoa e Constanza, zona montagnosa che ha una vetta di 3.175 metri, la più alta dei Caraibi. È al centro del Paese e consente di muoversi verso altre aree molto diverse per il clima, il paesaggio, la storia e molto altro. Oppure tour tematici lungo le rotte del caffè o del cacao.   

Tags: Ottobre 2013 turismo caffè Repubblica dominicana Federico Geremei cacao

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