TERRORISMO: ESTREMISMO JIHADISTA E IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Dalle indagini compiute in questi ultimi anni nell’ambito di procedimenti riguardanti il terrorismo internazionale emerge in maniera evidente l’esistenza di pericolose collusioni tra estremismo jihadista e immigrazione clandestina. Non è rara, infatti, la presenza, fra i flussi di clandestini provenienti dall’area medio-orientale e dal Maghreb, di soggetti coinvolti in attività eversiva e in fuga dai Paesi di origine. Nel 2009 sono stati espulsi dal territorio nazionale due clandestini tunisini che avevano presentato richiesta di protezione internazionale, ricercati dalle autorità del loro Paese per pregressa militanza in organizzazioni salafite-jihadiste. È stato arrestato, inoltre, un estremista tunisino già coinvolto in un’indagine antiterrorismo negli anni scorsi, rientrato clandestinamente nel nostro territorio.
In entrambi i casi si è trattato di soggetti che si erano inseriti fra i flussi di clandestini provenienti dalla Libia e diretti a Lampedusa. Il maggior rischio a riguardo è che le organizzazioni terroristiche, a cominciare da «Al Qaeda nel Maghreb Islamico», possano sfruttare tale canale per inviare soggetti in grado di compiere azioni terroristiche. Il nostro Paese può quindi essere utilizzato come punto di approdo o di transito per tali finalità.
Volendo approfondire il fenomeno alla luce di alcune autorevoli fonti di analisi, si possono prevedere due ipotesi: la prima è quella che vedrebbe elementi fondamentalisti adoperarsi per costituire una struttura, interna a quella più propriamente terroristica, diretta a favorire il traffico di clandestini con finalità di autofinanziamento, ovvero diretta a favorire l’arrivo o il transito di combattenti; la seconda è quella in cui i tradizionali canali dell’immigrazione illegale servirebbero esclusivamente all’arrivo di estremisti, i quali finirebbero con l’essere l’unico incidentale punto di contatto tra l’organizzazione terroristica e quella dedita al traffico di esseri umani.
Da un’analisi dell’attività investigativa condotta in Italia in direzione degli ambienti dei fondamentalisti, si può osservare come entrambe le ipotesi, seppure con contorni sfumati, siano emerse all’attenzione degli investigatori. Significativa al riguardo è l’indagine compiuta nel settembre del 2008, allorché fu arrestato un algerino, precedentemente segnalato, insieme a un connazionale, dalle autorità algerine come attiguo alla organizzazione terroristica di matrice jihadista «Al Qaeda nel Maghreb Islamico», partito nel giugno del 2007 insieme a un gruppo di clandestini sbarcati sulle coste della Sardegna, da qui trasferiti in un Centro di Identificazione in Calabria, da dove poi erano fuggiti facendo perdere le proprie tracce.
L’arrivo in Italia di questo soggetto consentiva di riscontrare alcuni messaggi d’intelligence che avevano segnalato la rotta della costa occidentale della Sardegna quale possibile approdo di elementi gravitanti nei gruppi terroristici nord-africani in fuga dalla regione. In quel caso è stato possibile rilevare come la criminalità organizzata transnazionale, dedita al traffico degli esseri umani, si sia trovata a favorire l’ingresso clandestino in Italia di un soggetto gravitante intorno a un’organizzazione terroristica.
Un ulteriore e significativo indice della connessione tra terrorismo internazionale e immigrazione clandestina è emerso in maniera evidente dai risultati di un’attività investigativa che ha riscontrato gli stretti legami esistenti tra gli esponenti di vertice di un’organizzazione terroristica, avente la propria base in Belgio, e due cittadini francesi tratti in arresto in Italia, a Bari, nel novembre del 2008. Questi ultimi, infatti, furono fermati mentre tentavano di agevolare l’ingresso di clandestini in territorio europeo.
Per una migliore comprensione del fenomeno va inoltre evidenziato che una parte considerevole degli stranieri, coinvolti nelle indagini condotte in Italia sull’estremismo islamico, a partire dall’inizio degli anni 90 ha fatto ingresso illegalmente in territorio nazionale e, successivamente, ha tentato di regolarizzare in qualche modo la propria posizione di soggiorno attraverso diversi strumenti, compresa la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato.
In relazione a quest’ultima circostanza si sottolinea come di recente siano stati avviati, in varie strutture periferiche, procedimenti per il riconoscimento dello status di rifugiato politico a favore di stranieri provenienti dall’Afghanistan o dal Pakistan, i quali, al momento della formalizzazione dell’istanza, nell’esporre le proprie vicende personali hanno riferito episodi concernenti le formazioni terroristiche talebane stanziate nelle aree tribali presenti al confine fra quegli Stati asiatici.
L’aspetto inconsueto è che, nonostante i richiedenti asilo siano stati ascoltati in province del territorio nazionale anche molto distanti tra loro, sono state rilevate analogie nei racconti riferiti da ciascuno, su passate militanze nelle file dei talebani, con partecipazioni ad azioni di guerra contro militari occidentali, periodi di permanenza in carceri afghane e modalità e circostanze di fuga dal Paese.
Ciò ha portato a sospettare che dietro tali apparenti coincidenze possa in realtà celarsi un raffinato metodo di immigrazione illegale che preveda l’istruzione specifica del clandestino, da parte delle organizzazioni criminali, sulla storia da raccontare come propria, al fine di ottenere i benefici previsti per i rifugiati politici. L’aspetto più preoccupante al riguardo è che questa tecnica possa essere sfruttata dai militanti jihadisti per raggiungere scenari operativi.
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