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FILMO, POSTO, CONDIVIDO: SENZA FOTO E VIDEO NON È VERA RIVOLUZIONE DIGITALE

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«Postare» senza sosta è un riconoscimento di identità e presenza. Ossessivo. E siamo solo all’inizio, la corsa all’utilizzo commerciale delle nuove tecnologie va di pari passo con la disponibilità di banda adeguata per avere tutto ciò in vero tempo reale, ma la «killer application» sarà quella che maggiormente ci farà sentire protagonisti e visibili tra la gente

È vero, «posto» è proprio brutto in italiano, ma non ho trovato altro modo di tradurre dall’inglese la cosa attualmente più popolare su Facebook, Twitter, Instagram per condividere frasi e commenti o video o fotografie. Le piattaforme social sono la vera benzina nel motore inesauribile dei dati che girano nella rete. E fra i dati non sono i testi quelli più pesanti dal punto di vista della trasmissione in rete ma le immagini, e soprattutto i video, che vengono postati con una frequenza impressionante a livello mondiale.
D’altra parte, leggere delle righe di testo spesso annoia e richiede tempo, cosa non più accettabile dalla frenesia imposta dalla rivoluzione digitale: fare un post senza una foto è ormai «vintage», cosa di altri tempi.
Con gli smartphone si fanno foto di eccellente qualità e si condividono facilmente con i gruppi ristretti dei propri «amici» (Facebook) o sulla piazza in mezzo alla città (Twitter), ed è la facilità d’uso che crea la «killer application», non la tecnologia avanzata.
Inondare la rete di foto fatte al momento ha però l’effetto di svilire l’atto stesso della fotografia, la quantità va a discapito della qualità se ci ricordiamo gli anni in cui scattare una fotografia di valore era un’arte riservata a pochi in possesso della macchina giusta e della conoscenza per svilupparla. E averne centinaia nelle gallerie dei nostri smartphone non aiuta certamente a selezionarle e catalogarle, altro che incollarle sugli album: adesso se si cambia il cellulare si corre il rischio di perdere tutto.
Le applicazioni si moltiplicano: le immagini e le foto cambieranno il mercato della moda permettendo l’acquisto online di capi di abbigliamento simulando la prova d’abito in camerino, chiedendo l’intervento del sarto, vedendosi addosso il vestito finito.
Ma la grande rivoluzione comportamentale, a mio avviso, è costituita dai video via smartphone che stanno veramente saturando la rete a ritmi impensabili e che richiedono reti di trasmissione dati sempre più veloci e spazi di memoria sempre maggiori. La voglia di condividere, stupire, mettere il proprio «io» al centro di tutto alimenta questa esplosione di filmati: dalla gita all’impresa sportiva, dal tutorial su ogni argomento dello scibile umano ai reportage in tempo reale che stanno veramente trasformando il mondo dei media e della carta stampata.
La cybersecurity ormai mette al centro delle analisi il riconoscimento facciale, sfruttando alla bisogna i filmati e le foto scattate dai sistemi di videosorveglianza, che è stato il vero nuovo business in Italia negli ultimi anni: se non ci credete, quando camminate per strada alzate un attimo lo sguardo e vi accorgerete che non esiste piazza nelle grandi città senza una telecamera di controllo.
I filmati personalizzati cambiano la «customer experience» perché ogni soggetto può riprodurre un suo video e condividerlo con la comunità sciando, o facendo surf, o giocando a tennis. E iniziano a diffondersi a prezzi abbordabili anche droni o pseudo tali che volano su una vigna e filmano lo stato di maturazione dell’uva permettendo di controllare da casa se ad esempio sono già arrivati gli uccelli a mangiarsela tutta.
Questo immenso materiale digitale diventa oggetto di analisi dati sempre più sofisticate, che vedono nell’intelligenza artificiale la frontiera più avanzata.
Esistono algoritmi di intelligenza artificiale che permettono l’estrapolazione dell’audio di un labiale con tante positive applicazioni, quali ad esempio la possibilità di comprendere discorsi sovrapposti o venire incontro a chi ha problemi di udito. Ma nello stesso tempo si possono creare delle «fake news». Come, è presto detto: convertendo un file audio estrapolato da un discorso in un labiale realistico e incollandolo su un viso preso da un video disponibile in rete, cioè mettendo in bocca ad una persona cose che non ha mai detto manipolando filmati ormai raggiungibili con un solo click.
Siamo solo all’inizio, la corsa all’utilizzo commerciale delle nuove tecnologie va di pari passo con la disponibilità di banda adeguata per avere tutto ciò in vero tempo reale, ma la «killer application» sarà quella che maggiormente ci farà sentire protagonisti e visibili tra la gente.   

Tags: digitalizzazione pillole digitali cybersecurity digital transformation Dicembre 2017 smartphone social

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