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Ritorno al Sesterzio Romano, come affrontare la crisi con la moneta complementare: ecco a cosa (non) serve una valuta alternativa

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Si avanzano nuove proposte come quella della moneta fiscale, della moneta alternativa, della moneta complementare, cui si affianca la moneta virtuale. Quella che sta colpendo la fantasia, soprattutto a Roma, è la moneta complementare, uno strumento che affianchi la valuta ufficiale (euro) consentendo lo scambio di beni e servizi in un ambiente definito

La crisi economica ha creato una forte diffidenza, per non dire rifiuto, verso l’Europa e l’euro. Atteggiamento, per chi scrive, totalmente sbagliato. Un’eventuale uscita dall’Europa comporterebbe, dopo un breve periodo forse di vantaggi dovuti alla svalutazione del valore del denaro, un tracollo dell’economia italiana, un isolamento internazionale, un esplodere del debito pubblico, una forte inflazione provocando un colpo forse definitivo per i redditi delle classi sociali più basse.
In questo contesto, quasi la colpa fosse dell’euro e non dei comportamenti politici ed economici, s’inizia a capire che il ritorno alla moneta nazionale è, sostanzialmente, impossibile. Per convinzione o per tenere il punto, allora, si avanzano nuove proposte come quella della moneta fiscale, della moneta alternativa, della moneta complementare, cui si affianca, con motivazioni e finalità diverse, la moneta virtuale (le più famose il bitcoin e l’ethereum).
Quella che sta colpendo la fantasia ed è oggetto di discussione, soprattutto a Roma, è la moneta complementare, nella definizione più diffusa uno strumento che affianchi la valuta ufficiale (euro) consentendo lo scambio di beni e servizi in un ambiente definito. A Roma è stato lanciato il progetto «Fabbrica Roma», che vuole (o vorrebbe) rilanciare economicamente la capitale d’Italia, anche attraverso l’introduzione di una «moneta complementare». Al momento non è ben chiaro l’obiettivo della «moneta», per cui sono già stati coniati vari termini, sesterzio, buono acquisto comunale, B2B. Non è chiaro perché le due proposte in discussione, «baratto amministrativo» e «moneta complementare», sono del tutto diverse. Proviamo a esaminarle.
Con il baratto amministrativo il cittadino romano svolge alcune attività che spetterebbero al comune in cambio di sconti su tariffe e tributi. Quali attività? Si deve immaginare quelle su cui Roma è in forte crisi, nettezza urbana, manutenzione del verde pubblico. Altre funzioni sembrano difficilmente delegabili.
Bene. Pur se il progetto richiama tanto gli LSU, lavori socialmente utili, ammettiamo che questo sia il progetto finale, bisogna capire quali siano le contropartite che il Comune è disposto a pagare per il lavoro dei cittadini: efficientamento dell’azienda municipale ambientale, meglio nota come AMA, di altre municipalizzate, utilizzo del personale «liberato» in altre funzioni importanti e i risparmi ottenuti come saranno utilizzati? Si potrebbe avere un positivo miglioramento dei servizi, ma anche una probabile riduzione del personale aziendale. Quei lavoratori faranno anche loro lavori socialmente utili non pagati oppure entreranno nella schiera dei lavoratori in cassa integrazione e in mobilità, scaricando il loro costo sullo Stato centrale. Da valutare poi lo sconto di tariffe e tributi cui godranno i cittadini per i lavori svolti, avendo presente che comunque la fiscalità comunale è solo una minima parte di quella generale. Quanto meno dovrebbero essere, pro ora lavoro, pari alla retribuzione di chi svolge quel lavoro professionalmente. Qualche dubbio che il Comune possa far fronte alla riduzione degli introiti nelle proprie casse.
L’altra possibilità è l’emissione di una moneta complementare che dovrebbe essere utilizzata per lo scambio di beni e servizi tra cittadini e imprese, ma anche con il Comune, aderenti a una piattaforma comune: ad esempio il commerciante che accetta la «moneta» di un consumatore, oppure i mezzi pubblici pagati, i tributi, le multe pagate con la «moneta», i pagamenti tra imprese. Sembra essere tornati ai miniassegni degli anni ottanta, quando per sostituire la penuria di monete metalliche molte banche decisero di emettere piccoli assegni (come valore e come misura), sempre sotto l’autorizzazione e la vigilanza della Banca d’Italia, oppure grandi catene distributive che decisero di emettere i cosiddetti «buoni merce».
Il vantaggio sarebbe probabilmente la maggiore velocità di regolazione delle transazioni. Eventuali altri vantaggi non sono ancora ben definiti mentre i dubbi sono molti. Si sostiene che esistono monete complementari in Italia. Il Sardex, un po’ quello che si prende come esempio per Roma, anche se il Sardex è un circuito solo commerciale che opera attraverso una piattaforma creata da una start up fintech, che prevede l’apertura di un conto corrente e, nel suo «successo», coinvolge 3.500 soggetti a fronte di oltre 1,5 milioni di abitanti e circa150 mila imprese; oppure il Tibex attiva a Roma e Lazio, di cui pochi hanno la conoscenza; oppure il Consorzio Goel, una cooperativa privata che ha funzione del tutto diversa, quella di sviluppo della legalità in un territorio, quello calabrese, molto inquinato, dove partecipare a una piattaforma e l’utilizzo di una «moneta» è partecipazione attiva contro la criminalità.
Esempi del tutto impropri. Quelle citate sono iniziative private, create da alcune start up o con funzioni sociali, che agiscono solo tra gli aderenti alla piattaforma, esercenti o consumatori. Il pubblico, Stato o Comune che sia, non c’entra assolutamente nulla né in termini di emissione né di utilizzo (incassi e pagamenti). Per fare un esempio elementare che rende chiara l’idea, si tratta di moderne cooperative che operano solo tra i propri soci. Iniziative come quella in discussione a Roma sono state attuate con il Napo a Napoli o il Tallero a Livorno che pur meno ambiziose, non hanno avuto alcun successo.
L’unico esempio non fallito è quello del «consorzio scec» («napolenatizzazione» di cheque, assegno). Anche in questo caso è un esempio improprio, perché si tratta di un vero e proprio «buono merce». Non basta: il progetto finale è definito solo in parte. È stato detto che varrà un euro che non prevede il riconoscimento di interessi, che non è accantonabile e che ha una durata predeterminata. Non è ancora deciso se la «moneta» sarà cartacea, metallica o elettronica.
Nel caso di emissione di una «moneta» cartacea o metallica, si deve pensare che sia un titolo di credito, emesso dal Comune e non da una banca, per cui servirebbe comunque un’autorizzazione degli organi di controllo, che però non hanno potere sui Comuni ma solo verso gli intermediari bancari e finanziari.
Nel caso di piattaforma digitale, dovrà essere usato un sistema di blockchain technology per rendere sicure le transazioni e per rispettare le indicazioni che, in materia di emissione e utilizzo di monete complementari, ha fornito Banca d’Italia. Se mai fosse possibile bisognerebbe fissare un limite massimo di emissione. Lo stesso bitcoin, la più famosa moneta virtuale, ha un limite massimo invalicabile.
Emissione che dovrebbe essere valutata alla luce del bilancio comunale, nel caso il controvalore non venisse inserito correttamente in esso, quale debito. Se così non fosse chi impedirebbe al Comune di Roma di emetterne quante ne vuole, alterando il mercato rispetto alla moneta ufficiale con il rischio da non sottovalutare di alimentare una forte inflazione. Quale commerciante non sapendo quando e se potrà convertire questa pseudo moneta, non coprirà il proprio rischio aumentando i prezzi.
Non si ha notizia dei costi di produzione, delle misure di sicurezza, delle modalità di eventuale distribuzione della carta moneta o di accordi per l’emissione di una carta di credito/debito. Costi, qualsiasi sia la scelta, non indifferenti, di cui, peraltro, non è chiaro a chi sarebbero posti a carico. Ancora più importante da sapere è la possibilità di libera conversione in euro; la mancata convertibilità renderebbe molto difficile l’eventuale accettazione da parte di chi deve pagare stipendi, forniture, tasse, con denaro contante, di cui avrebbe certamente minore disponibilità. In caso contrario, possibilità di conversione, dove potrà avvenire il cambio, presso le casse comunali, in una stanza di compensazione? Nonostante questo già si parla di prossima sperimentazione in alcuni municipi romani (quartieri Montesacro e Appio-Tuscolano), complessivamente oltre mezzo milione di abitanti.
Ovviamente non potrà che essere una «moneta» locale, utilizzabile fino al raccordo anulare e non oltre. Non è neppure vero fino in fondo. Per poterla utilizzare bisognerà aderire a una piattaforma (gratuita o a pagamento?) Nessuno ha ancora parlato di speculazione. Chi ha una età molto adulta ricorderà quando, in un altro momento di crisi, lo Stato pagò una parte degli stipendi, con titoli di Stato. Molti pur di avere denaro contante vendettero i titoli con un forte sconto e gli acquirenti fecero affari d’oro attendendo la scadenza dei titoli.
Nessuno ha parlato degli anziani, che ancora ragionano in lire, obbligati a pensare in due diverse «monete», ai turisti (altra speculazione) che usciti dal raccordo anulare avrebbero in tasca solo carta straccia, dei commercianti, obbligati a una doppia contabilità e molto altro è quello di cui non si è ancora parlato. Rilevante il ruolo del Comune. Sembra poco credibile che i tributi o le multe possano essere pagate con questa «moneta»; sarebbero meno introiti reali, aggravando così la già precaria soluzione; stesso ragionamento per le aziende municipali, bus piuttosto che farmacie comunali o altri, in perenne deficit.
Impensabile che il Comune possa pagare i propri creditori con la «moneta». Se così fosse significherebbe che il Comune di Roma voglia solo far fronte alla propria mancanza di liquidità, rinviando i pagamenti effettivi a periodi successivi, più o meno lontani, magari quando alla guida dell’amministrazione ci sarà una maggioranza politica diversa. Una scelta quindi che sembra essere da un lato non percorribile se non inutile, dall’altro un’operazione di marketing politico, che non tiene neppure conto dei fallimenti precedenti.
Si ritorno così alla domanda iniziale. Qual’è il vantaggio del progetto, considerato che il valore tra «moneta» e euro è fissato uno a uno, che il commerciante non avrebbe alcun vantaggio ad accettarlo, anzi dei costi e neppure il consumatore avrebbe vantaggi, magari in termini di sconto. I promotori dicono che la «moneta complementare» è utile quando ci sono pochi soldi in circolazione o quando si restringe il credito bancario per aprire, gestire un’attività commerciale o per la compravendita di beni e servizi. Premesso che si parla di attività commerciale e non di attività dell’ente locale, non sembra questo il caso, liquidità in circolazione ce n’è, il credito bancario, anche se lentamente sta riprendendo.
Se il problema reale fosse rimettere in moto l’economia romana attraverso una maggiore circolazione di moneta, questo è già ora possibile: si pensi all’utilizzo delle carte di credito e di debito, a partire dal Bancomat che consente l’immediata disponibilità del denaro, si pensi al peer to peer che attraverso una semplice app sullo smartphone consente di scambiarsi somme tra persone diverse; si pensi infine al prossimo avvio delle procedure bancarie di «instant payment», per alcuni intermediari già attive, che consentiranno l’immediata conclusione delle transazioni finanziarie.
Un progetto, quindi, che invece di aiutare l’economia romana rischia solo di creare confusione, maggiori costi per il Comune, rischi di speculazioni e per la sicurezza. Un progetto da accantonare al più presto; se così non fosse le motivazioni sarebbero altre, non dette, che dovrebbero essere al più presto conosciute dalla cittadinanza romana.   

Tags: Fabio Picciolini Settembre 2017 Roma smartphone moneta monetica blockchain

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