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ITALIA, UN PAESE DI INDEBITATI: MA LA COLPA È ANCHE DEL FISCO

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Un Paese di indebitati con il fisco: 21 milioni di italiani hanno debiti a vario titolo con gli oltre 8 mila enti creditori per cui Equitalia esercita la riscossione. Un terzo della popolazione. Considerato che, almeno per il momento, i bambini non pagano tasse e che le dichiarazioni Irpef nell’anno d’imposta 2015 sono state 40,8 milioni, si tratta di un contribuente su due. Un bollettino di guerra!
A snocciolare i dati, l’amministratore delegato di Equitalia, Ernesto Maria Ruffini, in audizione alla commissione Finanze della Camera. La montagna di debiti accumulata con il Fisco dal 2000 al 2016 ammonta ad 817 miliardi, una cifra monstre pari ad oltre il 36 per cento del debito pubblico italiano, attestato a 2.250 miliardi. Inutile dire quanto le tasse potrebbero abbassarsi se tutti le avessero regolarmente pagate. Ma è possibile che ci siano così tanti evasori? Evidentemente no! Non possono essere tutti furbetti del quartierino. Un fenomeno così esteso attesta che, oltre alla rottamazione delle cartelle, dovremmo rottamare il Fisco italiano.
Una prima considerazione: se si chiedono i soldi a chi non ne ha, come si può pretendere che paghi? Degli 817 miliardi di carichi residui da riscuotere, 147,4 miliardi sono stati chiesti a soggetti falliti, 85 miliardi a persone decedute e imprese cessate e 95 miliardi a nullatenenti. Certo può darsi che tra quei nullatenenti ci siano anche evasori totali che si fingono indigenti, ma in tal caso avrebbero dovuto ricevere una visitina della Guardia di Finanza, più che una cartella esattoriale. Se un’impresa è sull’orlo del fallimento e, nonostante ciò, deve pagare delle tasse, significa che il Fisco è iniquo e che non si chiede a ciascuno di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva. Per questo urge una riforma fiscale nel rispetto dell’ormai dimenticato art. 53 della Costituzione.
Di quei 21 milioni di contribuenti, il 53 per cento ha accumulato pendenze che non superano i 1.000 euro. Non si tratta, insomma, di grandi evasori, ma dei soggetti più deboli. Non dimentichiamoci che per l’Istat il 39,9 per cento degli italiani è incapace di far fronte ad una spese imprevista di circa 800 euro, come, appunto, una cartella esattoriale.
Ma l’importo relativamente basso dei debiti e, soprattutto, l’abnorme numero di debitori, oltre a confermare che si percuotono i soggetti sbagliati, dimostra una seconda verità: anche chi può pagare le tasse ed è onesto, difficilmente riesce a farlo senza incorrere in errori e sviste che conducono al tunnel della cartella esattoriale. Abbiamo complicato il Fisco nel tentativo di stanare l’evasore, oltre che per l’incapacità del legislatore, ma mentre il vero evasore nei cavilli ci sguazza, grazie anche a fior di consulenti, è il cittadino medio che resta intrappolato dai commi incomprensibili delle norme tributarie, in perenne mutamento. Codicilli astrusi che spesso non comprendono nemmeno gli addetti ai lavori, almeno fino a quando non arriva una sospirata circolare esplicativa. Tra le leggi più violate in Italia, lo Statuto del contribuente: l’art. 3, ad esempio, prevede che si debbano dare almeno 60 giorni per tutti gli adempimenti fiscali. Peccato che dalla mini Imu alla dichiarazione sostitutiva per il canone Rai, non sia avvenuto. Per non parlare di quelle multe al codice della strada che non sapevi nemmeno di avere preso, non essendoti mai state notificate, salvo poi vederti arrivare la cartella per il mancato pagamento della sanzione. Un fisco inefficiente e pasticcione che chiede soldi a chi ha regolarmente pagato, a chi non li deve e che non funziona già a monte di Equitalia, nella fase ordinaria.
Non che poi nella riscossione la situazione migliori: 384,4 miliardi su 817 si riferiscono a contribuenti rispetto ai quali si sono già tentate invano azioni. Per Ruffini, oltre il 43 per cento dei debiti, ossia 351 miliardi, è difficilmente recuperabile. Per usare le sue parole, la «quota su cui azioni di recupero potranno ragionevolmente avere più efficacia» si ferma a 51,9 miliardi, ossia il 6,35 per cento degli oramai famosi 817 miliardi. Che dire: alziamo bandiera bianca!
Lo stesso Ruffini si pone un quesito interessante: «i dati del magazzino debiti residui imporrebbero una riflessione in ordine alle ragioni per le quali nel 2017 ancora si discuta della possibilità di riscuotere somme iscritte a ruolo dagli enti impositori oltre 15 anni fa». In altri termini: ma è mai possibile che ci sia ancora qualcuno che pensa di poter recuperare quanto affidato ad Equitalia nel lontano 2000? Dopo 17 anni di tentativi? Ovviamente no! La verità è che per i comuni creditori, fino a che i debiti restano in pancia ad Equitalia, restano partite attive. Viceversa, cancellarli significa tradurli in una perdita di bilancio. Ma i revisori dei conti non hanno nulla da dire su questo trucco contabile?
Un interrogativo: invece di provare ancora a recuperare i vecchi debiti inferiori a mille euro, con costi di recupero superiori a quanto si può effettivamente incassare, non sarebbe meglio concentrare gli sforzi su quegli 800 mila contribuenti, il 4 per cento, che devono al fisco oltre 100 mila euro. Nel 2016 è stato fatto: quasi il 55 per cento di quanto riscosso da Equitalia, oltre 8,7 miliardi, proviene da posizioni con debiti superiori a 100 mila euro. È ora di farlo anche per il passato. È su questi grandi evasori che bisogna puntare i fari.   

Tags: Maggio 2017

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