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un paese ove sembra perduto ogni buon senso

di Bruno Piattelli

A prescindere da quell’assioma che, alla luce di quanto oggi accade, appare ben dimenticato, e secondo il quale le sentenze si commentano ma non si discutono, mi sono chiesto come abbia fatto il Pubblico Mini-stero del caso giudiziario riguardante l’on. Nichi Vendola a chiederne la condanna, quando poi dalla sentenza è risultato che il fatto attribuitogli era inesistente. Quale discrasia oggettiva consente alla giustizia di rispondere in modo così conflittuale tra il dubbio di un reato avvenuto e la determinazione della sua non esistenza? La risposta è che oggi il diritto non è più sostenuto nè dalla logica né dalla realtà, e che pertanto è impossibile umanamente gestirlo sempre con perfetta logica e giustezza. Pensiamo a Perry  Mason, il protagonista dei romanzi gialli dello scrittore statunitense Erle Stanley Gardner; prima di essere un avvocato, Perry Mason è un detective che ricerca sempre il nesso di causalità. Spesso ci abbandoniamo ad elucubrazioni che non possono ricondurre al diritto. Ricordiamo quando, negli anni di piombo, il ladro di fabbrica che rubava ai propri colleghi operai non era messo fuori, perché il furto non atteneva ai rapporti di lavoro. Ma il rapporto con la realtà? Aumentano così i dubbi che il diritto, invece, dovrebbe cancellare. Della libertà di stampa si parla, secondo me, più che a sproposito, al di fuori del tema oggettivo. Ma come può sfiorare la mente di qualcuno l’idea che in un Paese democratico non vi sia? E perché gli organi professionali non intervengono loro - non il Tribunale, che ha già tanto e forse troppo da fare - a ricordare l’etica e la deontologia che costituiscono il diritto del professionista, a giudicare quei membri che escono dalla retta via, che poi è quella normale della coscienza? Dal momento che la differenza tra l’opinione e la falsità è sottilissima, perché gli Ordini professionali non intervengono per comminare adeguate sanzioni, da quella pecuniaria fino all’estromissione dall’Ordine di appartenenza? Ma non parliamo di carcere. Per fare prima, si arriva ad estremi assurdi. E non si considerino solo false accuse o diffamazioni, ma anche i modi con i quali vengono presentate le notizie. Giova ricordare un episodio. Crollò a Roma una palazzina sulla quale, se è vero, era stato compiuto un sopralluogo appena 15 minuti prima; nel piano terreno ospitava un piccolo opificio nel quale morirono alcune donne. E quale fu il titolo dato da alcuni giornali che pubblicarono la notizia? «Morte per 4 euro l’ora». Possiamo prendercela con il titolista, ma il contenuto dell’articolo non si distaccava da tale interpretazione. Cosa c’entrava con la tragedia avvenuta? Se quelle sfortunate operaie avessero percepito 50 euro l’ora, il crollo della palazzina sarebbe stata meno grave? Perché speculare su un argomento tanto serio quanto altrettanto tragico, ma che non aveva nulla a che fare con il contesto? Nel caso specifico non sentii parlare, né tantomeno lessi su quei giornali, che fossero stati adottati provvedimenti immediati diretti ad appurare nel più breve tempo possibile le eventuali responsabilità e manchevolezze che avrebbero causato il crollo dell’edificio. Dopo gli allarmi lanciati dagli abitanti, chi era andato a controllare? Era autorizzato, era qualificato, aveva redatto un rapporto? Aveva giustificato e documentato l’inesistenza del pericolo? Più tardi si giunse a un processo. In Italia prima del processo non si crocifigge nessuno. E quanto al lavoro sottopagato o nero, perché, nello sciorinarne i protagonisti e i conseguenti risvolti sociali, non si parla di chi lo causa, di chi costringe i lavoratori ad accettarlo e anzi a richiederlo? E sempre nel caso specifico - dal momento che è inutile parlare in astratto, - occorreva, come occorre sempre, illustrare la situazione culturale che porta a un modo di vita che non ha nulla a che fare con lo sfruttamento e la speculazione. Infatti non risultò che quei «padroni» operanti in quel maledetto pianterreno fossero diventati miliardari; fu accertato invece che vivevano l’identica modesta vita delle loro sfortunate lavoranti, anzi che stavano lavorando con esse. In quanti Paesi i telai battono sotto le mani della casalinga intenta a sbrigare anche le faccende di casa? Ma il discorso porterebbe lontano. Invece da noi certa stampa dà subito addosso al «padrone», il quale invece risolve situazioni che altrimenti si chiamerebbero «fame». Si confonde la mancanza di professionalità, di competenza e soprattutto di coscienza - concetti ormai rimossi - con un problema sociale di tutt’altro campo: come si muove infatti il diritto nei confronti dei presumibili colpevoli? E nei confronti di chi non rende un servizio ma diffonde allarmismi, di chi alimenta reazioni fuori luogo e forse contro persone innocenti? 

Tags: Gennaio 2013

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