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ENERGIA ELETTRICA, IL PIANO DEL GOVERNO MONTI PER RIDURNE IL COSTO

Un impianto per la produzione di energia fotovoltaica

L'energia è il motore delle società complesse. Ciò che infonde vitalità ad ogni tipo di occupazione o impegno quotidiano, da quello produttivo e industriale, alla mobilità, alla ricerca, sino al tempo libero. Una priorità strategica coniugata con dovizia di approfondimenti in ogni corso accademico o ricerca internazionale. Peccato che né gli uni né tantomeno gli altri siano appartenuti alle competenze o agli interessi dei Governi italiani nei decenni trascorsi. Il risultato, sconfortante, come troppi altri che avvelenano la nostra vita pubblica o privata, è che gli italiani pagano l’energia elettrica dal 20 al 30 per cento in più degli altri Paesi europei.
Le imprese vedono aumentare a dismisura i costi di produzione con il rischio di essere sempre meno competitive nei mercati internazionali o confinare verso la marginalità i loro beni e servizi. Le famiglie sono costrette a sostenere bollette crescenti che falcidiano salari e pensioni con una lievitazione impressionante dei costi. Basti pensare che l’Autorità per l’energia e il gas nella primavera scorsa ha concesso aumenti, in due soli mesi, superiori al 10 per cento di fronte a una conclamata riduzione degli stipendi certificata dall’ Istat e dalla Banca d’Italia.
Il sommarsi di gravi carenze strategiche nell’ambito della produzione e distribuzione di energia elettrica e gas produce oggi risultati inattesi, capaci di moltiplicare la fragilità del sistema energetico italiano. Siamo in presenza di una caduta sensibile dei consumi del 9 per cento per l’elettricità, un dato che non può essere ricondotto esclusivamente alla crisi economica che piega con inusitata violenza il sistema produttivo, ma mette in luce la sofferenza della società italiana, soprattutto degli strati popolari e delle categorie più fragili ed esposte come i pensionati, i monoreddito, le famiglie numerose.
Le responsabilità di questo stato non sono congiunturali, né imprevedibili, dipendono bensì dalle mancate scelte dei Governi nazionali, dall’affastellarsi senza alcuna logica di dissennati piani energetici regionali, svincolati da ogni progettualità di sistema, da una visione di corto respiro capace di privilegiare interessi dell’una o dell’altra parte, necessità occasionali di imprese o lobbies senza pensare ai bisogni integrati delle imprese nel medio o lungo periodo, e ancor meno in quello di milioni di cittadini, artigiani o dei sistemi di produzione e distribuzione delle reti elettriche.
Le strategie energetiche o elettriche sono state per decenni passate in secondo piano, lasciando che fossero Eni e Enel, gli unici due campioni industriali rimasti al nostro Paese, a tracciare una sorta di percorso tra gli interessi diretti di queste società di valore internazionale e le necessità dei sistema sociale e produttivo italiano. Non vogliamo scomodare nomi passati alla storia più o meno meritatamente, osserviamo che l’assenza perniciosa di una buona e lungimirante politica in campo energetico è stata sostituita da una supplenza, a questo punto necessaria quanto opportuna, esercitata in modo autorevole e sostanzialmente efficace da chi aveva il compito di approvvigionarsi di materie prime energetiche e di chi doveva assicurare un servizio elettrico su scala nazionale.
La discussa riforma del titolo V della Costituzione, varata in fretta e furia nel 2000 da un agonizzante Governo di centro sinistra con il puerile scopo di contenere le spinte leghiste, si è rivelata esiziale soprattutto per i sistemi a rete. Energia, trasporti e infrastrutture hanno dovuto fare i conti non solo con le proverbiali inefficienze della Pubblica Amministrazione, ma con gli appetiti, le richieste, gli indirizzi delle comunità locali, anche quelle più piccole e riottose. Il risultato è stato non riuscire a realizzare pressoché nulla, né rigassificatori né nuove centrali elettriche o ammodernamenti di quelle esistenti, né sistemi di stoccaggio. Tutti elementi indispensabili per creare un avanzato quanto efficiente sistema energetico, che tra l’altro non scontasse le oscillazioni di prezzo delle materie prime energetiche, senza poter in alcun modo calmierare i costi o riequilibrarli con un mix di fonti. Oggi la generazione elettrica in Italia è prodotta per il 24 per cento dalle rinnovabili, per il 60 per cento dal gas, per il 13 per cento dal carbone, con evidenti squilibri rispetto a quanto avviene in Europa.
In una recente audizione presso il Cnel la Confindustria ha posto l’attenzione, tra l’altro, proprio sulle norme attuali che consentono alle singole Regioni di esercitare un primato insormontabile proprio nel settore energetico. Senza l’accordo con l’ente territoriale, per essere chiari, non si realizza nulla, anche se quell’impianto serve vaste aree del Paese, magari territori amministrati da 4 o 5 Regioni. Non basta, i piani energetici regionali non debbono rispondere a criteri generali di sistema, con la conclusione che basterebbe sommare le previsioni in essi contenuti per ogni singola fonte, sulla quale si investono risorse pubbliche, per avere indici aggregati di gran lunga più elevati delle effettive necessità dell’intero sistema socio-produttivo italiano.
La bolletta elettrica in Italia è di oltre 19 centesimi di euro per kilowatt/ora, seconda, per indice elevato di costo, solo alla Danimarca con 23 centesimi di euro, ma ben più alta di quella della Germania (16 centesimi) della Spagna (13 centesimi), della Gran Bretagna (12 centesimi) per non parlare della Francia dove, grazie al nucleare, il prezzo sfiora un centesimo di euro.
I mali cronici del sistema sono evidenti e conosciuti: molto uso di gas, scarso ricorso al carbone «pulito», nulla di nucleare, grande dipendenza dalle importazioni per l’84 per cento, difficoltà di trasferire l’energia delle fonti rinnovabili dalle reti dove viene prodotta ai luoghi di maggior consumo della Penisola; un sistema che rischia di avvitarsi su se stesso, di aumentare la propria fragilità a tutto detrimento dell’intera società italiana. Il problema energetico, oggi, è di grandissima attualità e la crisi ne sta amplificando dimensioni e caratteristiche, in particolare per i costi dell’energia e per la sicurezza degli approvvigionamenti.
Gli Stati europei sono interdipendenti tra loro, sia dal punto di vista energetico che da quello ambientale: le decisioni politiche di un Paese si ripercuotono sul funzionamento del mercato energetico di tutti gli altri. Serve, quindi, un quadro europeo certo e rassicurante per realizzare investimenti strutturali, un mercato efficiente, con prezzi non speculativi, una relazione chiara e trasparente tra produttori, venditori e consumatori, la consapevolezza della necessità di uno sviluppo ecosostenibile: senza un’adeguata diversificazione delle fonti, una tale condizione non è realizzabile.
Va definita una strategia comune, fondata sull’uso di tecnologie avanzate e innovative che raccordi le politiche energetiche, economiche e ambientali dei singoli Stati, modernizzando le infrastrutture, integrando le reti di interconnessione, sviluppando le risorse energetiche a partire dalle rinnovabili, intervenendo con decisione per l’abbattimento della CO2, attraverso l’efficienza e il risparmio energetico, aumentando la sicurezza degli approvvigionamenti.
«Servono interventi politici strutturali, e non episodici–afferma a questo riguardo il Segretario generale della FLAI-CISL Carlo De Masi–; il sistema energetico deve essere governato da modifiche normative che ne ridisegnino aspetti impositivi, oneri e accise, prevedendo incentivi, mirati a progetti per la ricerca e l’innovazione». In particolare, in seguito ai processi di liberalizzazione e privatizzazione il settore elettrico è ormai fuori controllo, per mancanza di coordinamento e di indirizzi strategici nazionali. Le aziende sono concentrate prevalentemente sui risultati economico-finanziari, si assiste ad uno scadimento progressivo della qualità del servizio.
I processi di liberalizzazione, aggiunge De Masi, hanno portato a una frammentazione fra diversi soggetti delle funzioni di garanzia già esercitate dall’ex monopolista pubblico. È arrivato il momento di raccogliere e coordinare i vari «pezzi» del sistema. «Dobbiamo sostenere il rilancio della ricerca applicata pubblica e privata, con il pieno sfruttamento delle potenzialità di Erse e Cesi e la riproposizione del Cerse, Comitato di esperti di ricerca per il sistema elettrico, per definire e pianificare i progetti, regolare l’accesso al finanziamento delle attività e usare le professionalità esistenti».
Il sistema Paese sconta un’assenza strutturale di coordinamento, di controllo e di programmazione strategica rispetto a un’efficace politica energetica nazionale e, intorno a questa configurazione debole delle politiche di settore, convergono oggi elementi di contesto ambientale e geopolitico che complicano ulteriormente lo scenario: la situazione del Nord Africa, con i suoi potenziali effetti di destabilizzazione energetica; la sospensione del programma nucleare; i ritardi nell’avvio delle riconversioni a carbone di molte centrali termoelettriche; i problemi che stanno incontrando le centrali a carbone di Porto Tolle dell’Enel, Fiume Santo dell’E.On, Vado Ligure della Tirreno Power e Saline Ioniche della Repower. Per non parlare dell’incertezza nei processi autorizzativi.
Un’articolazione di fattori che pone l’Italia - il sistema elettrico nazionale dipende per oltre il 70 per cento dagli idrocarburi - in condizioni di estrema debolezza sia nei confronti dei partners europei sia rispetto alle esigenze del sistema produttivo che subisce una lievitazione dei costi di produzione anche a causa di una bolletta energetica tra le più onerose in ambito europeo. Peraltro un’evidente carenza di reciprocità tra l’Italia e alcuni Paesi europei, Francia e Germania in primis, ha fatto sì che una parte degli assets italiani di generazione elettrica siano oramai sotto il controllo di imprese estere e, pertanto, sottratti a qualsiasi decisione strategica funzionale alla competitività delle imprese italiane. È quindi necessaria una normativa capace di rilanciare la visione generale di un sistema energetico ed elettrico nazionale, accompagnata da politiche in cui la logica industriale non soccomba a interessi di natura finanziaria e speculativa.
Le scelte energetiche, economiche e ambientali vanno integrate modernizzando le infrastrutture, sviluppando le reti, diversificando l’uso delle risorse energetiche a partire dall’abbattimento della CO2 anche attraverso la diffusione dello sviluppo del risparmio e dell’efficienza energetica, e di una nuova cultura dell’energia. Lo scorso mese il presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti ha presentato ufficialmente la «Sen», strategia energetica nazionale, sino al 2020. Una decisione attesa da almeno 15 anni che, al di là dei contenuti che vanno approfonditi, merita il plauso solo per il fatto di avviare un processo strategico che segna una profonda cesura con l’immobilismo imperdonabile del passato.
Questo piano prevede la riduzione di circa 14 miliardi di euro l’anno della fattura energetica italiana rispetto ai 62 miliardi di euro attuali, nonché un mix di investimenti per 180 miliardi di euro sino al 2020, oltre all’allineamento dei prezzi all’ingrosso agli standard europei per elettricità, gas e carburanti. La nostra dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti dovrà ridursi dall’84 al 67 per cento grazie all’efficienza energetica, alla minore importazione di elettricità a un’accresciuta produzione di risorse nazionali. Si prevede la riduzione del 19 per cento di emissioni di gas serra superando gli obiettivi europei; il raggiungimento del 20 per cento di incidenza delle fonti rinnovabili rispetto ai consumi finali lordi; una riduzione dei combustibili fossili dall’86 al 76 per cento; la riduzione di circa il 24 per cento dei consumi primari rispetto all’andamento inerziale al 2020 in virtù di azioni di efficienza energetica e innovazione tecnologica.
Il Governo, ha commentato il ministro per lo Sviluppo Economico Corrado Passera, ha messo in ordine tutto ciò che riguarda l’energia, avendo come obiettivo la riduzione della bolletta energetica e l’allineamento dei costi italiani a quelli europei. Molti i temi cui dare soluzione, tra questi la sicurezza del sistema poiché l’Italia dipende quasi totalmente dagli approvvigionamenti esteri, e i nuovi orizzonti della white e green economy. Operazioni in grado di ridisegnare l’intero mercato energetico superando, ci auguriamo, la stratificazione di interessi, le rendite di posizione, i corporativismi che imbrigliano il sistema, a danno dell’intera collettività, per garantire affari lucrosi e immeritati a singoli cartelli industriali.
Questa porta verso la modernizzazione dovrà restare aperta, nonostante i venti che presto cominceranno prepotentemente a soffiare contro ogni novità. Il bene collettivo, gli interessi di decine di milioni di cittadini, il futuro del sistema produttivo italiano dipendono dal coraggio che tutti insieme dimostrano scendendo subito in campo. Solo l’opinione pubblica potrà evitare, come sempre è accaduto nella storia del Paese, l’ennesima farsa che vuole che tutto resti sostanzialmente immutato.    ■

Tags: Novembre 2012

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