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SPENDING REVIEW NELLA SANITÀ - SENZA RIFORME STRUTTURALI SOLO SACRIFICI INUTILI PER I CITTADINI

Sen. CESARE CURSI, presidente della x Commissione del senato e responsabile del dipartimento salute e affari sociali del pdl

Nella Commissione Bilancio del Senato è stata viva la discussione su come emendare il cosiddetto decreto legge «spending review». Anche per l’art. 15, che riguarda le misure di contenimento della spesa sanitaria, è stato più che mai acceso il confronto fra le parti politiche. Misure che, stando al testo licenziato dal Governo, prevedono una riduzione della spesa di 7,9 miliardi di euro, nel triennio 2012-2014, con la diminuzione di circa 7 mila posti letto. Inoltre sostanziale riduzione di farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale, di accertamenti diagnostici mutuabili e, in controtendenza rispetto al passato, di stanziamenti per la ricerca scientifica. Insomma una misura che serve a fare cassa e che non accenna per nulla ad avviare quel percorso virtuoso di riduzione della spesa sanitaria che dovrebbe portarci a un recupero mirato degli sprechi del sistema sanitario nazionale.
L’Italia paga circa 240 milioni di euro al giorno per far fronte agli oneri finanziari del proprio indebitamento, poco più di 7 miliardi al mese. La manovra improntata per la spending review della sanità per i prossimi tre anni serve sì e no a pagare gli interessi del debito pubblico per il mese di settembre. Questo significa che non solo è errata nei presupposti, ma trascurabile e inutile per i saldi finanziari del Paese. Sulla qualità l’Italia da più di dieci anni occupa la seconda posizione nel mondo nella classifica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il che significa che abbiamo di certo un buon servizio sanitario nazionale che però costa troppo.
Tale conclusione deriva dalla constatazione che buona parte delle Regioni del Centro-Sud sono sotto Piano di rientro ed altre, finora ritenute virtuose, minacciano drastiche riduzioni dei servizi di fronte a quest’ennesimo taglio lineare operato dal decreto legge sulla spending review. È difficile oggi trattare di sanità senza premettere che la situazione italiana è spaccata in due: da una parte le Regioni del Centro-Nord che erogano buona sanità con i conti in ordine, dall’altra Lazio e Regioni meridionali fortemente in difficoltà nei conti nonostante gli sforzi, in qualche caso impensabili operati da alcuni neo-governatori in questi ultimi tre anni.
Mi sia consentito dubitare, al riguardo, sulla congruità dei criteri di riparto operati negli ultimi 7-8 anni nella Conferenza Stato-Regioni dove, a mio modo di vedere, le Regioni del Centro Nord sono state sensibilmente avvantaggiate dai saldi distribuiti a motivo del reclamato maggior indice di invecchiamento della popolazione residente. Ma questa è ormai storia passata.
Quello che sottolineo, anche in questa occasione, è la mancanza di coraggio che si è avuta per intervenire con riforme strutturali del sistema, piuttosto che ricorrere a misure che nel medio-lungo periodo non produrranno nessun risultato concreto. Innanzitutto la riflessione se è giusto continuare con 21 Servizi sanitari regionali, ciascuno diverso dall’altro. La riforma del Titolo V della Costituzione, del tutto improvvida a mio parere, ha costruito un mostro giuridico secondo il quale le competenze a livello centrale sono ridottissime e ormai marginali, consentendo ai singoli governi regionali di operare scelte in totale autonomia, che in molti casi poi riflettono sul bilancio dello Stato default assai rilevanti.
Inoltre i dati dimostrano che un ricovero su tre è inappropriato e che circa il 40 per cento degli esami radiografici e di laboratorio sono del tutto inutili. A vedere i saldi della spesa farmaceutica, sembra che in alcune Regioni, come il Lazio, ci si ammali più che nel resto del Paese. Esistono contratti di lavoro aziendali che, per parità di mansione, prevedono retribuzioni diverse anche del 30 per cento tra le varie Aziende sanitarie locali. Lo stesso riguarda l’acquisto di beni e servizi, nel quale lo stesso articolo può costare fino al doppio in differenti zone del Paese.
A tutto questo non viene data alcuna risposta nella spending review della salute; ci si limita ad affermare che anche da questo settore della Pubblica Amministrazione debbono arrivare sacrifici. Evito perfino di accennare all’inadeguatezza della misura prevista per la riduzione del 5 per cento dei contratti di fornitura dei beni e servizi, lasciandola più alla «propaganda» politica che alla reale possibilità giuridica di applicarla ai contratti in essere.
Ciò premesso, un sì deciso alla lotta agli sprechi, ma che questi vengano effettivamente enucleati e combattuti. Si è ricorsi con torbido populismo all’ennesimo taglio lineare al settore privato in convenzione, alle farmacie, alle industrie farmaceutiche, senza stabilire modalità e casi di intervento. L’azione del sottoscritto e del Popolo della Libertà, nell’iter parlamentare di tale provvedimento, si è concentrata proprio nella difesa di alcuni emendamenti che riguardano la difesa di tali categorie, che rappresentano un punto di assoluta forza del nostro sistema sanitario nazionale.
Mi riferisco alla possibilità di ridefinizione dei tetti della farmaceutica sia ospedaliera che territoriale, soprattutto per rendere meno gravoso il meccanismo concepito per la seconda metà del 2012, oltre alla richiesta di rimodulare in maniera diversa il payback delle aziende farmaceutiche, evitando di passare nei prossimi due anni dallo 0,35 allo 0,50, secondo un curioso quanto improbabile sistema consolidato nel nostro Paese, secondo il quale, di fronte allo sforamento della spesa farmaceutica, sono tenute a ripianare il disavanzo di bilancio le stesse aziende.
Abbiamo posto estrema attenzione, inoltre, alla difesa dei farmaci «rari» cercando di toglierli dal meccanismo del payback, e lo stesso sul principio di chiusura degli ospedali che non dovrà tener conto solo del numero dei posti letto ma anche della specificità e specializzazione di essi. Infine, un’altra occasione persa per riflettere seriamente sui futuri costi del sistema sanitario del Paese. Un Paese che invecchia avrà sempre maggiore bisogno di risorse. Ed è chiaro che il Fondo Sanitario Nazionale, che garantisce solo i 2/3 della spesa sanitaria complessiva, non sarà in grado di far fronte ad ulteriori richieste di risorse che, al contrario, sono previste in forte contrazione. Appare assurdo continuare a nasconderci dietro un dito.
Dobbiamo al più presto introdurre forme di mutualità integrativa che possano reggere al futuro impatto dei costi della sanità. I fondi integrativi, piuttosto diffusi nel Nord del Paese, sono pressochè sconosciuti nel Centro-Sud. Solo una mirata politica di defiscalizzazione degli oneri impiegati per tali fondi potrà consentirne la diffusione che presto diventerà necessaria nell’attuale sistema socio-assistenziale.

Tags: Settembre 2012

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