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Evviva la riforma del Titolo V e del governo del territorio

PIERLUIGI MANTINI presidente commissione disciplinare della Giustizia amministrativa

Lo scorso 2 aprile alla Camera dei deputati è accaduto un fatto singolare. Mentre l’aula era more solito in subbuglio, nella comoda sala delle conferenze si svolgeva uno dei primi atti fondativi della «Costituzione vivente» nell’Era Renzi. Il Consiglio Nazionale degli Architetti, assai attivo in questi anni sui temi della rigenerazione urbana e del territorio, ha riunito presidenti di Commissione e capigruppo di tutte le forze politiche per dire a chiare lettere al Paese che la riforma costituzionale s’ha da fare e che in Italia «è tornato» il tempo delle decisioni, delle scelte nazionali che superano la palude normativa ed amministrativa.
Leopoldo Freyrie, autorevole e dinamico presidente, degli architetti, ha affermato che il testo del disegno governativo di revisione del Titolo quinto della Costituzione, licenziato in questi giorni, va senza dubbio nella giusta direzione di correggere la «sbandata federalista» del legislatore costituzionale del 2001, ampliando le materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato, sopprimendo l’affollata scena della legislazione concorrente e reintroducendo il principio di supremazia dell’interesse nazionale.
Una posizione coraggiosa, tanto più perché maturata ancor prima del testo finale del Governo che lascia la bontà delle formule normative al legislatore costituzionale ma intende sottolineare che il Paese è stanco dei riti, degli accordi di programma inconcludenti, dei troppi attori nel territorio che impediscono chiare politiche nazionali. In effetti, i tredici anni di sperimentazione dell’assetto costituzionale delle competenze legislative figlie della riforma del 2001 sono stati sufficienti per constatare non solo l’esplosione dei conflitti di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale sull’articolo 117, ma anche i seri vizi derivanti dalla frammentazione delle competenze legislative, dalla moltiplicazione delle norme e dei centri di spesa fuori controllo, situazione questa non più tollerabile alla luce del nuovo articolo 81 della Costituzione in materia di pareggio di bilancio e di armonizzazione della finanza pubblica, di spending review e, in generale, di un’Italia alla ricerca di una maggiore semplificazione normativa e amministrativa.
Invertendo questa tendenza, il disegno di legge restituisce alla competenza legislativa dello Stato materie come «Energia e grandi reti infrastrutturali» che, obiettivamente, non possono essere lasciate alla logica delle «piccole patrie». In questo senso si può dire che il disegno di revisione costituzionale del Governo Renzi rappresenta bene lo spirito dei tempi del Paese, stanco dei lunghi e inconcludenti riti legislativi e desideroso di principi chiari e decisioni certe.
Nella materia definita «Governo del territorio» il disegno di revisione costituzionale presentato dal Governo Renzi supera in un certo senso le aspettative poiché la materia «Norme generali sul governo del territorio» viene tout court attribuita alla competenza esclusiva dello Stato, mentre si specifica che «Le Regioni salvaguardano l’interesse regionale alla pianificazione e alla dotazione infrastrutturale del territorio regionale».
Si può ovviamente disquisire sulla formula, ma non disconoscere i vantaggi concreti che ne derivano. Solo per fare degli esempi, si deve in primo luogo osservare che, alla luce della proposta riforma costituzionale, sarà finalmente possibile avere una legge nazionale di principi fondamentali del governo del territorio, cui le Regioni si sono strenuamente e con successo opposte negli anni passati, con conseguente abrogazione di una confusa e ingente legislazione urbanistica che risale ai tempi della legge fondamentale del 1942.
Oggi un qualunque funzionario usa leggi urbanistiche prêt à porter pescando da norme nazionali, regionali, comunali, secondo l’occasionale convenienza. Basta, occorre un reset. Una legge di principi è necessaria ed equa, non solo ai fini della semplificazione, ma anche per avere un comune regime nazionale della disciplina della proprietà e della concorrenza: vincoli, perequazioni, compensazioni, regimi dei diritti edificabili, negoziazione urbanistica ecc. La legge deve essere uguale per tutti.
In secondo luogo il nuovo assetto costituzionale consentirà di avere norme univoche e nazionali in materia di contenimento del consumo dei suoli, di riuso e di rigenerazione urbana, tema attuale e decisivo ma, anch’esso, frenato sin qui dalle Regioni. Secondo i dati ufficiali dell’Ispra, consumiamo 8 metri quadrati al secondo, 70 ettari al giorno, e superiamo la media annua di Francia e Germania la quale si è posta l’obiettivo, con legge, del «consumo di suolo zero» entro il 2050. È chiaro che occorre spingere verso riuso e rigenerazione dei territori urbanizzati, facilitando e non supertassando i cambi di destinazione d’uso, favorendo la bioedilizia, l’efficienza energetica, le smart cities. Si può fare tutto ciò con decine di legislatori diversi?
In terzo luogo, sarà possibile snellire e semplificare, con norme generali nazionali, la dismissione e la valorizzazione degli immobili pubblici, che ora si perdono nelle filiere delle politiche urbanistiche locali. Se devo vendere una caserma e non posso cambiarne subito la destinazione con norma nazionale, a chi la vendo, ad un «signore della guerra»?
In quarto luogo, anche attraverso la previsione, contenuta nel disegno di legge governativo di revisione costituzionale, di attribuire alla legislazione esclusiva dello Stato le «Norme generali sul procedimento amministrativo», sarà possibile ora stabilire termini certi, per tutto il territorio nazionale, per l’esercizio del potere amministrativo e della revoca degli atti amministrativi, così favorendo la certezza delle DIA, SCIA e degli atti di «auto-amministrazione» certificati su responsabilità professionale. In pratica, se la Pubblica Amministrazione non si esprime entro un certo termine, scatta l’amministrazione sussidiaria della società civile: ecco la vera semplificazione, che ora si potrebbe fare.
In quinto luogo, sarà forse possibile una più forte e incisiva semplificazione normativa: ad esempio sostituendo i Regolamenti edilizi comunali, oggi largamente inutili, con una normativa tecnica nazionale, di tipo esistenziale-prestazionale sulle caratteristiche degli edifici e del costruire. Il Comune di Firenze è andato in questa direzione, quello di Milano in senso opposto, con un nuovo Regolamento edilizio che somiglia alla Summa Perugina.
In sesto luogo, con la riforma costituzionale l’Italia riuscirà forse meglio ad essere parte integrante delle politiche di coesione territoriale dell’Unione europea, assai cresciute negli anni recenti, decisive ai fini dei programmi di sviluppo e di crescita (forse avremo anche noi i nostri «corridoi»). Gli esempi potrebbero essere innumerevoli, ma quelli esposti sono sufficienti per concludere che esistono buone, ottime motivazioni di Costituzione vivente per dare ragione a Matteo Renzi, ai riformatori e agli architetti.    

Tags: Maggio 2014

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