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CORSERA STORY. Enzo Grazzini, Sua Maestà di un popolo di cani e di cantanti

Certamente tutti i giornalisti e moltissimi lettori di giornali hanno letto articoli e libri e comunque hanno sentito parlare di grandi figure del giornalismo italiano, soprattutto del Corriere della Sera, il più grande giornale nazionale: Indro Montanelli, Dino Buzzati, Orio Vergani, Giovanni Mosca, i Barzini senior e junior e tanti altri. Ma è difficile scoprire oggi qualche giovane giornalista, anche del Corriere della Sera, che ricordi o abbia sentito parlare di una firma chiamata Enzo Grazzini. È vero che i giornalisti del Corriere sono in media oltre 300, per cui è impossibile che si conoscano anche tra loro, che sappiano i nomi di tutti i loro colleghi; e se ne leggono la firma sotto gli articoli e i servizi, talvolta non li hanno mai visti.
Si riesce a trascorrere una carriera di trent’anni nel Corriere della Sera senza che i suoi redattori, inviati, corrispondenti si incontrino una volta nella vita e si conoscano personalmente. Si va in pensione e solitamente si perdono anche i contatti con i colleghi con cui si è lavorato gomito a gomito per anni. Figuriamoci con quelli con i quali non ci si è mai incontrati. Lavorando nella redazione romana, dopo anni ho conosciuto di persona colleghi della redazione milanese con i quali per lavoro scambiavo più telefonate al giorno.
Enzo Grazzini, chi era costui? Molti lo confondono con un altro giornalista, Giovanni Grazzini, giunto al Corriere al seguito del direttore Alfio Russo, all’inizio degli anni 60, quasi in coincidenza con la scomparsa del suo omonimo. Ma perché rievoco proprio Enzo Grazzini tra i tanti la cui immagine e il cui ricordo sono svaniti? Perché la sua vicenda umana e professionale sarebbe di ottimo esempio, anzi lo è, per tanti giovani che, veramente appassionati del giornalismo, nonostante buona volontà, impegno, sacrificio, disponibilità, preparazione culturale e attitudine, non riescono a trovare un posto nel grande mondo definito oggi «mediatico», in quanto comprendente strumenti di informazione diversi della carta stampata: radio, tv, web, uffici stampa ecc.
Una massa di giovani cui corrisponde un’altra massa di miracolati che, invece, riescono subito a trovare un’occupazione nonostante la scarsa disponibilità, sensibilità e attitudine giornalistica, e in genere la manifesta e clamorosa incultura. Per conoscere la quale basta ascoltare al mattino qualcuno degli autolodati conduttori e conduttrici di telegiornali e trasmissioni tv varie.
Ho conosciuto bene Enzo Grazzini, quello che faceva nel Corriere della Sera e come era nei rapporti umani. Un grande signore, sempre gentile, cortese, disponibile, preparato e semplicissimo nei suoi comportamenti. Non sapendo nulla del suo passato, immaginavo che fosse nato per il giornalismo, per la «cronaca buona» dei suoi tempi, della quale ho fatto in tempo a vedere il tramonto. Invece veniva da tutt’altro mondo.
Raccontavano, i più anziani, che prima di diventare giornalista era stato vigile notturno, uno di quelli costretti, per campare, a vegliare per salvaguardare di notte la sicurezza personale e patrimoniale dei più fortunati; costretto a girare con il freddo, la pioggia, la neve, la nebbia che all’epoca inghiottiva Milano molto più di ora; a privarsi del sole, a vivere in un certo senso appartato dall’umanità.
In questa sua attività Grazzini aveva conosciuto prima della guerra, non so come e perché, gli editori dell’epoca del Corriere della Sera, i fratelli Aldo, Vittorio e Mario Crespi, che non riuscirono a farlo assumere come giornalista al Corriere della Sera: cosa poteva fare, in che cosa poteva essere utile a un quotidiano un vigile notturno? Uno dei fratelli Crespi lo assunse allora come segretario e solo dopo la guerra, con la nascita del Nuovo Corriere della Sera, Grazzini poté entrare nel giornale, rivelandosi di una bravura eccezionale. Scrisse vari libri e vinse premi tra cui il prestigioso Saint Vincent.
Divenne inviato speciale e si specializzò in due settori che all’epoca interessavano ed anzi commuovevano la massa dei lettori. Raccontava le più significative vicende di cui erano protagonisti gli animali domestici, specialmente gatti e cani. Per far conoscere ai lettori un singolare episodio o comportamento di cui era protagonista una gattina o un cagnolino, attraversava in aereo, in treno o in auto tutta l’Italia, si recava sul posto, rintracciava la bestiola, interrogava proprietari e testimoni e inviava al giornale un racconto dettagliato trasformando una gatta o una scimmietta in un’eroina, una diva, una stellina.
Storie da Domenica del Corriere con la copertina a colori disegnata a mano da Achille Beltrame e poi da Walter Molino, degni di figurare accanto agli scritti di Pitigrilli o alla «Realtà romanzesca»; una sequenza di episodi attraverso i quali Grazzini raccontava ai lettori l’«umanità» degli animali. Ma semplice, schivo, riservato, era specializzato anche in un altro settore: i festival di musica leggera. Era l’inviato speciale del Corriere al seguito delle grandi dive e divi della canzone italiana di quegli anni. Assistito dal fedelissimo Mino Durand, divenuto poi anch’egli giornalista, anzi direttore di giornale, era presente in tutte le maggiori manifestazioni canore di un’Italia musicalmente semplice, ingenua, quasi infantile. Era il re di un mondo che lo chiamava proprio «Sua Maestà».
Quando era a Roma mi invitava sempre a pranzo in un ristorante situato in Via della Colonna Antonina, a fianco di Piazza Colonna. Più che di cani e di gatti, parlavamo di dive della canzone e dintorni, un mondo sul quale all’epoca potevo fornirgli molte notizie e raccontargli piccanti retroscena. L’unica cosa che non mi convinceva però, di Grazzini, era la sua predilezione per quel ristorante che si chiamava «Battaglia» ed era specializzato in cacciagione.

Victor Ciuffa

Tags: Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista giornalisti Luglio Agosto 2010 Giulia Crespi

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